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 2008  ottobre 16 Giovedì calendario

MARCHESE Giuseppe

MARCHESE Giuseppe Palermo 12 dicembre 1963. Pentito, a suo tempo mafioso. Di famiglia mafiosa, figlio di Vincenzo e di Giuseppa Drago, due fratelli e due sorelle (una, Vincenzina, moglie di Leoluca Bagarella, s’impiccò nel 95 dopo avere avuto notizia del suo pentimento, vedi BAGARELLA Leoluca). Sottoposto a programma di protezione, è stato il primo dei corleonesi a pentirsi • La sua vita l’ha raccontata nel 2000 a Giovanna Montanaro e Francesco Silvestri, che l’hanno intervistato per il libro Dalla Mafia allo Stato (Gruppo Abele) • Si ferma alla quinta elementare perché di studiare non ne voleva sapere. Allora il padre, allevatore di bestiame, se lo porta con sé nella stalla, finché lui non preferisce imparare il mestiere in una carrozzeria, e poi andare a lavorare in una ditta. Lui e la sorella Vincenzina conoscono Leoluca Bagarella (cognato di Salvatore Riina), in una tenuta di Terrasini, dove il padre è latitante. La sorella si fidanza con lui (si sposano nel 91), e Giuseppe comincia a uscirci la sera, dopo il lavoro, per farsi introdurre nell’ambiente mafioso, con l’approvazione dello zio Filippo Marchese. Lascia il lavoro a 15 anni, per occuparsi dei contatti col fratello Nino, detenuto, e perfino con Totò Riina. «Mi sentivo una persona importante, perché mi davano fiducia. A quell’età vedere certe cose ti porta alle stelle, il cervello ti scoppia. Quando poi ti dicono cose riservate e segrete del tipo: «Da Riina devi andare tu» allora non ragioni più». A 17 anni viene combinato con il giuramento (cioè affiliato), anche se suo padre non voleva (infatti se la prese con lo zio Filippo) • «Il mio padrino, Filippo Algano, mi ha dato appuntamento a Casteldaccia. [...] Quando entrai nel salone, vidi che tutti erano seduti. Subito sono diventato rosso in faccia, temevo qualcosa. Vedevo tante persone che entravano e uscivano a un certo punto mio zio si avvicina e mi chiede se voglio far parte di questa ’cosa”. Io dico di sì. Allora il mio padrino mi punge il dito e viene bruciata la santina nelle mie mani. Poi c’è stata la presentazione: «A chi ti chiederà, tu dirai: ”Sono la stessa cosa”, mi hanno spiegato. Onestamente, devo dire che a queste cose io ci credevo» • Riina lo giudica affidabile e serio, infatti vuole che sia lui a portargli le notizie («ormai stravedevo, non capivo più niente»). Partecipa al primo gruppo di fuoco a 17 anni, per uccidere Totuccio Inzerillo, in piena guerra di mafia (vedi RIINA Salvatore). Viene arrestato il 15 gennaio 1982 per porto abusivo di armi. «Per la prima volta entrai nel carcere dell’Ucciardone di Palermo: per me fu come un ricevimento, mi avevano preparato la cella di tutto punto». Su suggerimento dello zio si finge pazzo, ma alla seconda perizia psichiatrica viene scoperto. Alla fine del maxiprocesso viene condannato all’ergastolo (16 dicembre 1987) • in carcere quando guarda per televisione i funerali di Stato di Giovanni Falcone, la moglie Francesca e i tre agenti della scorta, vittime della strage di Capaci. Ma quando sente Rosaria, la moglie dell’agente Vito Schifani, che a stento, tra le lacrime, si rivolge agli assassini («Io vi perdono, ma inginocchiatevi»), non riesce a trattenere le lacrime, e per non farsi vedere dagli altri uomini d’onore, si chiude in bagno. « questa la cosa che mi ha fatto ”rimuovere”. Ho pensato: ’che cosa infame che hanno fatto, hanno fatto saltare mezza autostrada, potevano esserci altri morti! Anche la mia famiglia poteva morire, era all’aeroporto quel giorno”. Allora ho deciso di collaborare. Ho detto allo Stato: ”Io vi do un contributo perché mi sono schifato. Cosa Nostra mi fa schifo, non la condivido più» • Si pente nel settembre 1992. I suoi familiari si sono dissociati dalla sua decisione, da allora non li ha più sentiti. «Comunque quello che ho fatto lo rifarei di nuovo, anche se mi trovo in una situazione di isolamento. Prima si ricordavano quando facevo il compleanno, anche in carcere il mio compleanno si festeggiava. Adesso no». Vive in una località segreta, ha un cane. Aveva conosciuto una ragazza, ma lo ha lasciato subito («Ma chi sta con uno come me...») Dichiarazioni Nel processo a carico di Bruno Contrada (vedi), ha dichiarato di aver aiutato Totò Riina, al tempo latitante, a spostarsi dal suo covo di Borgo Molara in altro rifugio, dietro avvertimento di farlo «senza indugio» da parte dello zio Filippo, che aveva ricevuto da parte del Contrada segnalazione di imminenti controlli e perquisizioni proprio in quella zona. [Paola Bellone]