Bruno Quaranta, La Stampa 16/10/2008, pagina 40, 16 ottobre 2008
Magris dice sempre che si è fatto da sé, mentre io dovrei tutto a Anna Carlucci». Ed è come accendere il televisore degli anni Ottanta, Parola mia, la fortunata trasmissione registrata sotto la Mole, a condurla Luciano Rispoli, in veste di giudice della lingua, ma indulgente, Gian Luigi Beccaria, quale valletta, ma di sicuro intelletto, una delle tre catodiche sorelle
Magris dice sempre che si è fatto da sé, mentre io dovrei tutto a Anna Carlucci». Ed è come accendere il televisore degli anni Ottanta, Parola mia, la fortunata trasmissione registrata sotto la Mole, a condurla Luciano Rispoli, in veste di giudice della lingua, ma indulgente, Gian Luigi Beccaria, quale valletta, ma di sicuro intelletto, una delle tre catodiche sorelle. Si congeda dall’Università, il professore di Parola mia. E forse neanche gli sembra vero. «Volarono anni corti come giorni», sovviene Montale, fra i poeti di quest’antico ragazzo del 1936. Dove lo si è incontrato? Nel piccolo schermo, certo, nelle aule dell’Ateneo, cattedra di Storia della lingua italiana, e - ecco - in un racconto di Evelyn Waugh. Sì, il tal signore che non si separava mai da un trenino elettrico, «un relitto del college. Da giovane si dilettava a rivolgersi ad esso in alcaici latini e a coniare termini greci per ogni parte del meccanismo». E così da grande... Un denso viaggio fra «i nomi del mondo» lungo mezzo secolo (la laurea in glottologia risale al 1959) sarà ripercorso oggi e domani nel convegno «Lingua storia cultura. Una lunga fedeltà». E subito appare Gianfranco Contini (Una lunga fedeltà è il suo saggio su Montale, ndr), filologo princeps del Novecento, la cui scuola sarà rappresentata, nella due giorni di studi, da Cesare Segre, tra «le sue benemerenze - gli ha reso omaggio Gian Luigi Beccaria - l’averci abituato a leggere i testi nella loro autonomia, come produzione e laboratorio di forme da analizzare, oggetti da montare e da rimontare», i trenini di Waugh... «Contini, la filologia al massimo grado, come esecuzione del testo. Una specie di nume inavvicinabile, la fama che lo accompagnava. E invece... Lo incontrai nel ”72 a San Mauro, un convegno pascoliano. A un certo punto lasciai la sala. E lui con me. Si avvicinò, mi invitò a fare due passi insieme. ”C’è una mostra di pittura qui vicino, visitiamola, immaginiamo di essere la giuria: vuole?”. Irradiando un’affabilità, una simpatia rare». Contini, un maestro «indiretto». Accanto al «maggiore» Benvenuto Terracini. «Mi condurrà maieuticamente alla laurea (secondo relatore Giovanni Getto). Una tesi che germinava dalla mia passione musicale (ho studiato pianoforte al Conservatorio): la prosa d’arte nel primo Novecento, dal punto di vista del ritmo, dell’intonazione, da Gabriele D’Annunzio a Cesare Pavese. Ne ho un ricordo nobile, fra stile e umanità». Terracini scompare nel ”68, Beccaria diviene ordinario di Storia della lingua italiana (insegnamento fino allora complementare) nel 1970. Addio, giovinezza... «Trascorsa fra Palazzo Campana e il collegio universitario di via Galliari, i luoghi dove maturarono le amicizie cardinali: da Magris a Salvadori, a Guglielminetti. Quando studio e vita erano in simbiosi, la vita che si dispiegava, che pulsava, anche nelle aule, non otturata dalla burocratizzazione, dalla ricerca spasmodica dei crediti, quando, come diceva Maria Corti, sembrava di correre in autostrada, la fatica e la gioia del sapere...». Quella Torino, risalendo le stagioni. Dall’Idioma gentile di De Amicis a Leo Pestelli, all’Italiano di Beccaria, un’attenzione non comune alla lingua, all’arte di parlare e scrivere: «E l’Atlante linguistico, e il Tommaseo, e la dialettologia, e il Battaglia... Una sensibilità non casuale - osserva il professore -. Talmente indigena la vocazione pedagogica. E tale la nostra collocazione periferica: a lungo, qui, l’italiano è stato una lingua straniera, da scoprire. Penso agli appunti di lingua di Vittorio Alfieri: la parola in piemontese, in francese, in italiano». Di età in età, à rebours, alle fonti della lingua pura... «Ma io non sono un purista - non esita Beccaria, di cui Einaudi sta per riproporre Tra le pieghe delle parole -. Il forestierismo per lo più arricchisce. Dal francese nel Settecento, veicolo dell’illuminismo, all’inglese, il contemporaneo vessillifero di idee, di visioni del mondo. Ogni posizione rigorosamente puristica è improduttiva, atrofizza la mente». Dove riscoprire la lingua, dove riconoscere una purezza non accademica, non pedante? «Il Pavese di La luna e i falò, tra prosa e poesia, una cadenza lenta, iterativa, monotona, ma in senso positivo. E Beppe Fenoglio: leggerei i suoi racconti all’infinito. No: purtroppo non l’ho conosciuto. E dire che i nostri paesi non erano lontani. Partecipammo entrambi a Campanile sera, io a Mondovì, Beppe a Alba». nato a Costigliole Saluzzo, Beccaria, ma è Niella Tanaro, l’estrema Langa a un passo dal Monregalese, la sua piccola patria: «L’humus dei miei interessi, legati alla terra, alla cultura contadina. Ho registrato, negli anni Settanta, numerosi canti popolari. Un depositum che un giorno dovrò elaborare. Nell’attesa sto lavorando intorno alle parole del gusto». L’entusiasmo non si esaurisce con il tempo universitario. Il commiato non è vissuto come un crepuscolo. Ma come un’occasione. Nel segno di Montale: «Una vita indivisa suddivisa». Claudio Magris («Lo sguardo da lontano») inaugura oggi a Torino, Accademia delle Scienze, inizio alle ore 11, il convegno di studi in onore di Gian Luigi Beccaria: «Lingua storia cultura: una ”lunga fedeltà». Seguirà la lezione di Cesare Segre. I lavori proseguono nel pomeriggio al Circolo dei Lettori (con José Antonio Pascual, Vittorio Coletti e Luca Serianni). Per spostarsi domani nell’Aula Magna del Rettorato (parleranno Luigi Blasucci, Maria Antonietta Grignani, Franco Fanciullo, Emilio Jona e Pier Vincenzo Mengaldo). Bruno Quaranta