Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 16 ottobre 2008
IMERTI
IMERTI Antonino Villa San Giovanni (Reggio Calabria) 22 agosto 1946. ”Ndranghetista, capo e fondatore della cosca omonima di Villa San Giovanni. Sposato dal febbraio 85 con Giuseppa Condello, cugina di Pasquale Condello, detto il Supremo (maestra elementare, abilitata all’insegnamento degli alunni diversamente abili, non è ancora di ruolo e va avanti a supplenze) • Alias Nano feroce • Detenuto dal 23 marzo 1993, al 41 bis da subito. Condannato in via definitiva all’ergastolo per associazione mafiosa e reati collegati (omicidi, armi, estorsioni), nei processi celebrati per i fatti della prima e seconda guerra di mafia (vedi CONDELLO Pasquale e DE STEFANO Giorgio): ”Albanese Mario + 96”, ”Imerti Antonino + 40” (c.d. ’Santa Barbara”), ”Condello Pasquale + 202”. Ultima condanna definitiva il 7 giugno 2004, per un tentato omicidio che era rimasto impunito • Anni Ottanta, era da poco finita la prima guerra di mafia (scatenata, tra gli altri, dal boss di Reggio Calabria Paolo De Stefano), e si cominciava a parlare del Ponte sullo Stretto e quindi di appalti. Capo del governo Bettino Craxi, che aveva pure annunciato data di inizio e fine dei lavori (1988-1996), il che fu messo nero su bianco nell’85 in una convenzione tra Stato e Società dello Stretto di Messina. Ma la zona di Villa San Giovanni era controllata da Antonino Imerti. Scoppiava perciò la seconda guerra di mafia: «Liberando il territorio da Antonino Imerti, Paolo De Stefano si assicurava il controllo della zona e, quindi, dei futuri lavori » (il pentito Filippo Barreca). Da una parte i destefaniani, dall’altra gli Imerti, Condello, Rosmini, Serraino. Così i giudici: «Attonita e sorpresa all’inizio, successivamente sempre più fatalisticamente rassegnata e quasi indifferente, la popolazione ha assistito all’incalzante succedersi di agguati e sparatorie di cui sicari spregiudicati, quasi sempre infallibili e giovanissimi, si sono resi protagonisti, spingendosi fin nelle strade del centro cittadino, in ore di punta, tra passanti inermi ed atterriti (…) Padroni del territorio e timorosi solo della reazione degli avversari, bande di criminali si sono per anni affrontate in quella che gli inquirenti hanno definito guerra di mafia e che ha mietuto numerose vittime... Di tale feroce guerra è stata individuata una data di inizio ben precisa: l’11 ottobre 1985». Quando, alle sette di sera, sulla via Riviera di Villa San Giovanni, esplode una Fiat 500. Vittima designata Antonino Imerti, che invece rimane solo ferito (muoiono le sue guardie del corpo, Spinelli Umberto, Palermo Vincenzo e Palermo Angelo). La vendetta scatta due giorni dopo, con la morte di Paolo De Stefano. Imerti rimane nel mirino degli avversari. Il 7 luglio dell’86 battezza la primogenita, ma la sera deve andare a firmare la carta precettiva presso la stazione dei carabinieri di Fiumara. Ci va in macchina, un’Alfetta 2000 blindata, lo accompagnano il cognato, Condello Vincenzo, e Buda Pasquale. Ma un commando li aspetta ben nascosto dietro un ovile. Vengono sparati 55 colpi, alcuni riescono a penetrare nella macchina, uccidendo, però, il Condello, mentre Buda e Imerti rimangono solo feriti. Muore invece, ucciso per sbaglio dai complici, un giovane sicario, Saverio Cavalcante. I giudici: «L’attentato (…) costituisce uno dei più gravi episodi verificatisi nel corso della guerra di mafia sia per il numero delle armi che per la loro potenzialità offensiva. Si è trattato di una vera e propria azione da commando. Risultano adoperate non meno di 5 armi: un FAL Beretta BM 59, un fucile d’assalto kalashnikov (mod. AK 470 AKM), un mitra Sten verosimilmente MKII, una pistola semiautomatica colt mod. 1911/AI, un fucile cal 12 non automatico». Imerti si vendicherà con tanti omicidi che gli costeranno altrettante condanne • Viene condannato in base alle dichiarazioni di pentiti, per lo più appartenenti al suo schieramento, come Giuseppe Lombardo (detto ”Cavallino” «per l’attitudine sinistra di inseguire e finire le proprie vittime», come spiegano i giudici), che dichiarò: «Antonino Imerti mi propose di partecipare (…) ad un progetto che tendeva a delegittimare gli attuali collaboratori di giustizia attraverso pentimenti falsi e strumentali. In pratica tutte le persone menzionate avrebbero dovuto offrirsi come collaboratori indicando persone diverse rispetto a quelle che gli attuali collaboratori menzionano come responsabili di omicidi e di altri reati. In questo modo si sarebbe determinata una incredibile confusione e l’obiettivo era proprio quello di far saltare lo strumento della collaborazione. Il primo che avrebbe dovuto avviare questa strategia fu proprio Imerti Antonino che ha incominciato, e ritengo continui a farlo tuttora, a rendere dichiarazioni ai magistrati della Procura della Repubblica di Messina allo scopo di cui ho sopra detto. Tra gli obiettivi vi era, altresì, quello di screditare la Procura di Reggio Calabria» (in cambio gli vennero promessi 100 milioni). A proposito delle dichiarazioni rilasciate dall’Imerti, il Lombardo, richiesto di commentarle dai magistrati, rispose: «Ma è normale che fu una cosa negativa, anche perché non sa parlare e quindi quando si mette a parlare lui ... il mondo crolla». Non lo salvarono nemmeno i rapporti di comparatico, visto che si pentì pure il marito della madrina della sua primogenita, Giuseppe Scopelliti • A proposito del fatto che la maggioranza dei collaboratori di giustizia appartenesse prevalentemente al suo schieramento, il responsabile della DIA, Angiolo Pellegrini, diede una spiegazione. Lo schieramento nemico dei De Stefano era ricco e perciò in grado di sostenere economicamente i carcerati e le loro famiglie. Pentendosi, infatti, uno degli Imerti disse che la sua famiglia non riceveva una lira da oltre due mesi («I Condello, i Serraino, gli Imerti hanno grosse difficoltà economiche, che ancora non hanno i De Stefano a cui tendiamo, con le nostre indagini, a togliere quanto più possibile i beni che fanno loro capo») • Siccome alcuni pentiti non hanno smesso di parlare, tra questi Paolo Iannò, il 25 luglio 2007 gli hanno recapitato in carcere un’altra ordinanza di custodia cautelare per altri fatti della seconda guerra di mafia (operazione ”Bless”, in tutto 32 le ordinanze, tutte contro esponenti del cartello antidestefaniano) • Ancora adesso, se scoppia un’autobomba in Calabria, si ricordano di lui, e si teme l’inizio di un’altra guerra di mafia. Come il 26 aprile 2008, quando si è sfracellato a Gioia Tauro l’imprenditore Natale Princi, per l’esplosione di un ordigno collocato sotto la sua macchina, e il pm antimafia Vincenzo Macrì disse: «L’attentato contro Princi è da guerra di mafia. La prima volta che la ”ndrangheta ha ucciso con un’autobomba è stato per l’attentato di Antonino Imerti, che aprì una guerra di mafia a Reggio durata cinque anni. un gesto eclatante, quasi di tipo terroristico».