Massimo Giannini, la Repubblica 16/10/2008, pagina 37., 16 ottobre 2008
la Repubblica, giovedì 16 ottobre L´«era glaciale» del capitalismo non è affatto finita. La gelata delle Borse conferma la gravità della crisi finanziaria
la Repubblica, giovedì 16 ottobre L´«era glaciale» del capitalismo non è affatto finita. La gelata delle Borse conferma la gravità della crisi finanziaria. Chi si era illuso che bastassero il «cordone sanitario» di Bush e Paulson in Usa e la «cassetta degli attrezzi» di Sarkozy e Merkel in Europa si dovrà ricredere. Tra gli ottimisti della prima ora ha brillato Silvio Berlusconi. Il governo italiano è stato piuttosto efficiente nell´azione, ma fin troppo rassicurante nella comunicazione. I decreti a garanzia delle banche sono stati puntuali. Ma i messaggi a tutela dei cittadini sono stati banali. L´esigenza di non alimentare il panico non può e non deve diventare reticenza nel dire tutta la verità all´opinione pubblica. E la verità è che in un´economia globale in gravissimo affanno, l´Italia soffre e soffrirà molto più degli altri. Siamo già in recessione. L´unico che ancora non lo ammette è proprio il presidente del Consiglio, che continua a raccontare barzellette, dal pulpito di Palazzo Chigi come dal palcoscenico del Bagaglino. In un sussulto di realpolitik, Berlusconi ha fatto ieri due ammissioni importanti. La prima è che con questa crisi finanziaria ci potranno essere riflessi negativi sull´economia reale. La seconda è che con questi tracolli di Borsa ci potrebbero essere scalate ostili contro le imprese italiane. Bentornato sulla terra, verrebbe da dire. Finora il Cavaliere ha gestito questa delicatissima fase come quel simpatico colonnello che, in un surreale racconto di Dostoevskij, amministra il villaggio di Stepancikovo. Succede di tutto, in quel piccolo borgo, chiuso ed ottuso: drammi, lutti, carestie. Ma per il colonnello non c´è mai da preoccuparsi: secondo lui, in quella piccola porzione di universo, tutto va sempre per il meglio. Purtroppo le cose non stanno affatto così. Il conto che la «finanza canaglia» farà pagare al mondo sarà salatissimo. E nel pieno di uno tsunami globale che neanche i grandi del mondo riescono a fronteggiare risaltano ancora di più l´astenia e l´autarchia della «piccola Italia». Questa tempesta perfetta non può essere affrontata con il respiro corto ed asfittico di chi, per tranquillizzare a tutti i costi i risparmiatori-elettori, continua a ripetere che tutto andrà bene, e che tutto si aggiusterà. Questo è esorcismo, non riformismo. E perché le cose vadano bene davvero per le famiglie, e perché tutto si aggiusti per le imprese, non servono favolette ansiolitiche, occorrono riforme economiche. Sul primo problema finalmente riconosciuto dal premier (le ricadute del crac finanziario sull´economia reale) le riforme latitano. un paradosso, per un centrodestra che ha vinto le elezioni grazie anche alle analisi di Giulio Tremonti. Nel suo best-seller, «La paura e la speranza», c´era già previsto tutto. La «fine dell´età dell´oro» e l´inizio di «un tempo di ferro». Il collasso di una finanza globale che ti propone di volare a Londra con 20 euro ma ti impone di fare la spesa spendendone 49, ti spinge a comprare più telefonini ma ti costringe a fare meno bambini. La puntualità della diagnosi offriva al governo un vantaggio formidabile nell´elaborazione della terapia. Un piattaforma culturale-egemonica poteva trasformarsi in un progetto politico-programmatico. Cioè in misure concrete e immediate per sostenere il reddito, alimentare i consumi, finanziare gli investimenti. In questi mesi non c´è stato nulla di tutto questo. Sul secondo problema tardivamente scoperto dal premier (il pericolo che Piazza Affari diventi un gran bazar per i fondi sovrani arabi o cinesi) le riforme ballano. Berlusconi annuncia che nei prossimi giorni sarà varata una norma che modifica la disciplina italiana delle Offerte pubbliche di acquisto e la cosiddetta «passivity rule»: la regola, fissata dall´articolo 104 del Testo unico della finanza, impone alle spa quotate oggetto di un´Opa di astenersi dal compiere atti ed operazioni che possono contrastare il conseguimento dell´offerta, a meno che non siano autorizzate dall´assemblea ordinaria o straordinaria. Di fatto, le aziende italiane sotto attacco non possono reagire all´offensiva, se non previa delibera assembleare passata con almeno il 30% del capitale sociale espresso con il voto. Se all´annuncio del premier seguirà una modifica normativa, i manager delle aziende italiane potranno difendersi da un´Opa (senza asperttare i tempi lunghi delle assemblee) con le tre contromisure classiche: la ricerca di un «cavaliere bianco» italiano (che lancia una contro-Opa migliore di quella iniziale), la conversione di azioni di risparmio in azioni ordinarie (che aumenta il capitale sociale e quindi impone all´aggressore un´offerta più alta), oppure la cessione di asset (che riduce il valore della società e quindi la convenienza del raider a comprarla). Fornire queste munizioni aggiuntive alle nostre imprese, in un momento di assoluta vulnerabilità borsistica come questo, può avere un senso. Ai prezzi attuali, colossi come l´Eni e l´Enel si potrebbero comprare per metà della loro capitalizzazione, pari a circa 62 e 31 miliardi di euro. Pezzi pregiati come Generali e Telecom si potrebbero portare via a prezzi di saldo, tra i 15 e i 10 miliardi di euro. Ma sarà opportuno valutare a fondo tutti gli interventi correttivi. vero che la «passivity rule» italiana è una delle più lasche d´Europa. Ma è anche vero che è stata introdotta per rendere contendibili imprese per troppi anni cristallizzate nei salotti buoni e blindate nei patti di sindacati, quasi sempre a danno dei soci minori. giusto che il governo si muova, e si muova in fretta. Purchè esca dalla logica blandamente paternalistica e falsamente protezionistica di questi mesi. L´Italia, nonostante tutto, è un grande Paese europeo. Non merita di essere governato come il villaggio di Stepancikovo. Massimo Giannini