Giorgio Dell’arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 15 ottobre 2008
GRAZIANO
GRAZIANO Arturo Quindici (Avellino) 16 novembre 1942. Camorrista. Capo, insieme al nipote Graziano Adriano (figlio di Salvatore Luigi Graziano e Chiara Manzi), del clan Graziano (operante a Quindici, Sarno e nell’Agro nocerino sarnese), in lotta, a Quindici, con il concorrente clan dei Cava. Figlio di Raffaele Pasquale Graziano, che nell’86 fu riconosciuto dai giudici come capo dell’organizzazione criminale facente capo alla famiglia Graziano (operante nel Vallo di Lauro a partire dal 1980 e aderente alla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo) •Detto anche ”o Guaglione•Già condannato per detenzione abusiva di armi, violazioni delle misure di prevenzione e per aver partecipato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Detenuto al 41 bis a Poggioreale, dal 24 giugno 2002. Condannato con rito abbreviato a otto anni di reclusione (pena poi ridotta in Appello il 24 gennaio 2006, diventata definitiva il 16 aprile 2007), per associazione camorristica, concorso in abuso d’ufficio, falso in atti pubblici, truffa aggravata ai danni di enti pubblici. Mentre era in carcere, nel 2004, gli è stata notificata un’altra ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere, di tipo camorristico e armata, estorsioni, consumate e tentate, per fatti commessi fino al 2003 (quindi in epoca anche successiva all’incarcerazione) • Impedendo a chiunque di candidarsi, nel 2000 impone una lista unica alle elezioni comunali (’Uniti per Quindici”), sostenendo Antonio Siniscalchi con l’accordo che, quando diventerà sindaco, continuerà a fare gli interessi dei Graziano (che di sindaci, dagli anni Sessanta, ne hanno avuti cinque, due morti ammazzati, tre rimossi dal presidente della Repubblica per rapporti con la camorra) • «La ”famiglia” aveva consentito l’eliminazione di potenziali oppositori, annientando ogni dialettica politica e mettendoli a tacere drasticamente anche con l’offerta copertura armata ai suoi favoriti» (Cassazione, 16 aprile 2007) • Per sicurezza, durante le operazioni elettorali, ha mandato a presidiare i seggi moglie e figlia, Gilda Rega e Maria Paola Scafuro (secondo i giudici «per rammentare con la sola loro presenza agli elettori di ”adempiere il loro dovere”»). Dopo aver vinto, per chiarire agli abitanti che erano sempre i Graziano a comandare, il Siniscalchi si è messo alla testa di un corteo di macchine per dirigersi verso frazione Bosagro, dove si è fermato davanti alla villa di Arturo Graziano, per dare tutto il tempo al neo eletto consigliere comunale Caliendo Gaetano di urlare al megafono «Don Arturo olè» (mentre Arturo rispondeva alla finestra con cenni di saluto) •Il rapporto tra l’amministrazione e i Graziano, definito dai giudici «un’identificazione quasi assoluta tra il potere politico-amministrativo e quello camorristico, identificazione, peraltro, pubblicamente esplicitata e a tutti nota e riferita con manifesta arroganza, in quanto vissuta dagli interlocutori con assoluta naturalezza, essendo la realtà politica di Quindici ormai caratterizzata da uno storico coinvolgimento criminale» • «Vive in una villa bunker, intorno alla quale, con le complicità dell’amministrazione di Quindici, è stato costruito un muro di cemento armato a spese della Regione » (Cassazione, 16 aprile 2007). In pratica il Siniscalchi, per fargli risparmiare 50 milioni di lire, ha fatto passare il muro di cinta del bunker per un muro di contenimento contro le frane. Altri 60 milioni glieli ha fatti risparmiare facendo passare la strada privata su cui si affaccia la villa, traversa Masseria D’Alia, per una strada comunale in modo da comprenderla nei lavori di urbanizzazione • Oltre a risparmiare facendosi i lavori coi fondi pubblici, Arturo Graziano (in questo approfittando dei fiumi di denaro pubblico arrivati per la ricostruzione seguita all’alluvione del 1998) faceva aggiudicare le gare d’appalto solo alle ditte che diceva lui (dove i giudici parlano di «patto scellerato tra amministrazione comunale e i Graziano») • Si arricchiva anche con le estorsioni, in pratica facendosi cambiare con denaro liquido titoli di credito insolvibili (di provenienza illecita o post datati non coperti). «Nel caso degli imprenditori il cambio periodico di assegni o titoli con denaro liquido è conseguenza diretta dell’intimidazione, in quanto comportamento imposto alle vittime costrette a praticarlo senza alcuna discrezionalità nella piena consapevolezza che nulla di quanto coattivamente corrisposto sarebbe mai stato restituito » (Cassazione, 16 aprile 2007). [Paola Bellone]