Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 15 ottobre 2008
GRAVIANO
GRAVIANO Filippo Palermo 27 giugno 1961. Mafioso, reggente del mandamento di Brancaccio, a Palermo, insieme al fratello Giuseppe (titolare formale della reggenza). Tra i due fratelli, dicono i giudici, Filippo era la mente. Detenuto dal 27 gennaio 1994, al 41 bis dall’8 marzo successivo, in espiazione di quattro ergastoli cumulati, più anni 21 e mesi 8 di reclusione • «Sono stato assolto in tutti i procedimenti che mi vedevano imputato esecutore di delitti, ma ahimè sono condannato definitivo all’ergastolo come mandante, per teorema e perché non potevo non sapere, in pratica nulla. Nei processi in cui sono stato condannato non c’è mai stato collegamento tra il delitto e la mia persona, al punto che il Pubblico Ministero di Firenze mi ha definito un fantasma in quel procedimento » (Sergio D’Elia, Maurizio Turco, 2002) • Arrestato insieme al fratello quel 27 gennaio 1994 a Milano nella trattoria ”Da Gigi il cacciatore”, anche lui fu condannato per associazione mafiosa, e per le stragi di Capaci, di via D’Amelio (del 92), e di Roma, Firenze, Milano (del 93) (vedi GRAVIANO Giuseppe) • A differenza del fratello, fu assolto in primo grado, ma poi condannato come lui in secondo (sentenza confermata dalla Cassazione il 7 novembre 2001), in quanto mandante dell’omicidio di don Giuseppe Puglisi, parroco della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio, ucciso il giorno del suo compleanno (15 settembre 1993) con una pistola calibro 7,65, tra gli altri da Grigoli Salvatore, detto ”il Cacciatore”, che poi si pentì, facendo condannare con le sue dichiarazioni anche Filippo. Don Puglisi, il prete che «infaticabilmente operava sul territorio, fuori dell’ombra del campanile» (come scrissero i giudici di primo grado), fu ucciso perché i Graviano, allora latitanti, temevano che ospitasse nella propria abitazione agenti di pubblica sicurezza infiltrati per individuare il loro nascondiglio. Non era vero, lo negò lo stesso Lorenzo Matassa, il pubblico ministero che sostenne l’accusa contro di loro: «Nessuna traccia anche minima dell’indagine ha mai confermato questa vocazione sbirresca del prete di frontiera. Lo ripetiamo qui, davanti a tutti e soprattutto davanti a questi imputati, mai don Pino diede aiuto alla polizia e gli armadi del centro di accoglienza Padre Nostro erano pieni di medicinali, di pasta, di pane, di vestiti, di giocattoli e di ogni altro bene che serviva alla sua gente, alla gente che egli curava e che, disperata, non aveva nulla». Vero, invece, era che don Puglisi, nelle prediche, a messa, parlava contro la mafia e «la gente sentiva questo suo fascino, soprattutto i giovani» (come disse Grigoli). A nulla erano serviti gli avvertimenti (incendi e danneggiamenti vari): «Puglisi continuava a fare quello che aveva sempre fatto, parlare contro la mafia...» (ibid). Per sviare le indagini, nel tentativo di fare attribuire il delitto a un tossico, Grigoli e tale Spatuzza simularono una rapina: «Spatuzza gli tolse il borsello e gli disse: padre, questa è una rapina. Lui rispose: me l’aspettavo. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso » (ibid) • Les Tours d’Orient (’Le Torri d’Oriente”): nome di un locale notturno dei fratelli Graviano, gestito da Tony Calvaruso, aperto in località Buonfornello, ai confini di Termini Imerese (Palermo), all’interno di un villaggio turistico, sulla spiaggia. Per continuare a stare con le entraîneuses gli avventori dovevano fare ogni quarto d’ora una consumazione (costo, quarantamila lire), mentre alle donzelle veniva servito solo un cocktail chiamato ”il messicano” (hai voglia che i cavalieri glielo offrissero per farle ubriacare, in realtà si trattava di zucchero, limone e acqua). Nella lista era incluso anche un Dom Perignon del 62, ma dello champagne le bottiglie avevano solo l’etichetta. «’Minchia come è buono questo sciampagne”, dicevano i clienti», che invece si bevevano Asti Cinzano come se fosse champagne (Alfonso Sabella, sostituto procuratore del pool antimafia diretto da Gian Carlo Caselli, presso la Procura di Palermo, in Cacciatore di mafiosi). [Paola Bellone]