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 2008  ottobre 15 Mercoledì calendario

La Stampa, mercoledì 15 ottobre La Borsa va a picco? Si salverà la borsetta. A patto che sia lussuosa, che duri per sempre e che non sia il capriccio d’una stagione

La Stampa, mercoledì 15 ottobre La Borsa va a picco? Si salverà la borsetta. A patto che sia lussuosa, che duri per sempre e che non sia il capriccio d’una stagione. Le regole dello shopping nel momento di crisi seguono binari propri. E questo non perché circolino meno soldi. Chi può spendere persino in questa congiuntura, quasi se ne vergogna. Si fa strada un rinnovato senso dell’opportunità, della moralità, del «non sta bene» che non consente anche a gente di vasto agio di mostrarlo in modo sfacciato. Christina Binkley editorialista del Wall Street Journal sostiene appunto in «It’s bling over» che il tempo dello sfarzo è finito. Eppure nota alcuni particolari che solo in apparenza sembrano contraddittori: «I mercati crollano ma i capi carissimi vanno a ruba. Aprono Bulgari (che stima di chiudere il 2008 con ricavi a cambi comparabili dell’8-12% e profitti in crescita) e Ralph Lauren in Avenue Montaigne a Parigi e proprio quest’ultima griffe lancia la Ricky Bag, su ordinazione, il cui costo va dai 13.000 ai 28.000 dollari. Il lusso tiene e lo sfarzo crolla, grazie al fattore psicologico. Non è popolare mostrare la spesa, la gente sta scendendo di un tono, ricerca la sobrietà l’oggetto indipendente dalle mode. Vergogna di strafare. Tutto deve sembrare più necessario, più duraturo». Infatti Cédric Charbit, direttore moda del grande magazzino parigino Printemps e Marygay McKee, direttrice del reparto moda e bellezza del londinese Harrod’s hanno puntato «su prodotti che garantiscono nel tempo le loro promesse di unicità e qualità». Un quadro che permette il proliferare del fenomeno nato in Inghilterra nel 2003 dei «Temporary Shop», punti vendita a tempo determinato o «Pop-Up Store», negozi, ristoranti, bar, aperti all’improvviso che contano sul tam-tam sapientemente veicolato. Secondo gli psicologi questo fenomeno punta sull’ansia da evento indotta nell’acquirente e per l’azienda nella contrazione dei costi e nei ricavi aggiuntivi. In Italia lo ha appena fatto Benetton che a Milano ha aperto un Temporary store per bambini, durata, due mesi. Il 18 settembre scorso a Bergamo, Dior ha organizzato una vendita di un giorno nel negozio di Tiziana Fausti tutto riordinato nei colori della maison. Un successo da tutto esaurito. A Parigi Novoceram, la haute couture della ceramica francese, ha aperto a settembre e per 18 giorni una boutique effimera. E’ partita il 4 settembre 2008 l’idea di collaborazione tra Comme des Garçon e Louis Vuitton, un temporary a Tokyo dove sarà possibile ordinare i nuovi modelli di borsa appositamente pensati e poi ritirarli in un altro monomarca nel mondo scelto dall’acquirente. Lo stesso per Gabetti Agency. Un’offerta rivolta ai giovani quella del marchio Durex che per tutto il mese di settembre ha costruito a Milano un mondo dedicato al benessere sessuale. Una navicella spaziale è quella firmata da Zaha Hadid per Chanel presentata alla Biennale di Venezia. Il progetto di un museo in movimento che ospiterà giovani artisti di talento. In viaggio durerà due anni, il Mobile Art è partito da Hong Kong per fermarsi in sette città. Sono temporary anche i «golden party», ricevimenti molto di moda negli States e che adesso stanno invadendo anche l’Italia, a base di finger food, champagne e i gioielli che le padrone di casa vendono a peso d’oro alle amiche-ospiti-clienti. Lo fanno per rinnovare il guardaroba a costo zero, per comprare altri gioielli più nuovi. Tutto al chiuso di case, tutto senza esibizionismi. Questa strana condizione psicologica che ha grandi riflessi sullo spirito d’acquisto. Dice Tiziana Fausti che della provincia ricca di Bergamo sente gli umori: «Il terrorismo mediatico gioca un ruolo determinante e influisce sull’umore della gente. Solo gli imbecilli vanno in giro a scialacquare. Allora ci si rivolge a quello che vale; i pezzi migliori e anche i più costosi, sono i primi che escono dal negozio ma devono essere cose non eclatanti, delle limited edition da intenditori». Stessa filosofia per Carlo Pambianco, economista, presidente della Pambianco Strategie d’Impresa: «Una inchiesta di questi giorni fatta su cinquecento famiglie americane con un patrimonio che va da 1 a 10 milioni di dollari rivela che il desiderio di comprare non c’è, che manca l’entusiasmo, motore principale dell’acquisto voluttuario. Le aziende resistono e continuano ad aprire i loro store anche perché si parla di investimenti già fatti e tornare indietro sarebbe ancora più oneroso. Le ripercussioni si vedranno nel 2009. Il grande lusso è meno colpito. Il titolo più forte è Hermès (+10%) e se Chanel fosse quotata le starebbe accanto. E’ adesso che si vede se un’azienda è sana oppure no, quelle che sono forti, resistono. Certo la crisi ne lascerà per strada parecchie ma è una normale pulizia del mercato». Un mercato che ha risentito, per dirla con Giuseppe De Rita, Segretario Generale del Censis, di un problema di crescita delle disuguaglianze che ha creato tensioni. Disuguaglianze nei patrimoni e non dei redditi e questo alimenta la speculazione in una società dell’eccesso che produce più di quanto consuma. In questa situazione ci si concentra sulla conquista di quei cinquecento milioni di persone che possono spendere. E se si chiede all’economista francese Jean-Paul Fitoussi una previsione temporale sulla fine della crisi e sul ritorno di una congiuntura normale, lui risponde: «Fra un secolo. La crisi non finirà mai, è una dinamica del capitalismo che va sempre verso l’eccesso a sua volta regolato da una nuova crisi». Di crisi in crisi, con lo spettro del baratro, c’è chi ritiene giusto investire nell’arte. Roberto Casamonti, titolare della TornabuoniArte è ottimista. «Il clima di terrore passerà tra un anno e quanti hanno acquistato arte potranno constatare quanto sia stato saggio questo investimento. Ovviamente di qualità. E non credo che la crisi potrà contrarre tanto i prezzi già saliti vertiginosamente in questi anni. All’inizio della Guerra del Golfo, un Fontana costava 400 milioni, scese a 200, dopo un anno risalì a 600. L’arte non è mai carta straccia, un’azione può diventarlo. L’arte, a differenza di un appartamento, lo sposti e lo puoi vendere ovunque. E non paga tasse. Chi può, oggi fa ottimi affari». Michela Tamburrino