Paolo Valentino, Corriere della Sera15/10/2008, pagina 17, 15 ottobre 2008
Corriere della Sera, mercoledì 15 ottobre Washington. Ora che ha vinto il Nobel per l’Economia, Paul Krugman ha due strade davanti a sé
Corriere della Sera, mercoledì 15 ottobre Washington. Ora che ha vinto il Nobel per l’Economia, Paul Krugman ha due strade davanti a sé. Una gliela suggeriva ieri il Financial Times. Se, come sembra, il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà Barack Obama, Krugman dovrebbe capire che il suo servizio sul fronte della polemica politica non è più necessario (a quel punto la «piaga» repubblicana sarebbe sconfitta) e potrebbe tornare a fare quello che nessuno come lui sa fare: spiegare al colto e all’inclita come funziona l’economia e dove possono portare scelte sbagliate. L’altra è quella di fare il ministro del Tesoro della futura amministrazione democratica. La politica fa miracoli. Però sarebbe un destino ben strano, per l’economista di Princeton che ha previsto tutto, ma proprio tutto quanto è accaduto e accade a Wall Street e dintorni. Sono passati infatti meno di sette mesi da quando Krugman bollava come prive di senso e illusorie le ricette di Obama per fisco e riforma sanitaria. Di più, grande sostenitore di Hillary Clinton, il futuro Nobel accusava la campagna del senatore afro-americano di star trasformando il partito democratico in Nixonland, dal nome dell’ex presidente sinonimo di scorrettezza e politica dell’odio. Accadeva l’11 febbraio. La lotta per la nomination democratica era feroce. Il campo di Obama accusava apertamente Hillary e Bill di aver giocato la carta razzista prima e dopo il voto in South Carolina. «Non voglio fingere equidistanza – scriveva Krugman sul New York Times ”, la maggior parte del veleno viene dai sostenitori di Obama, che vogliono il loro eroe o nessuno. Non sono il primo a dirlo, ma la campagna di Obama assomiglia pericolosamente a un culto della personalità ». Rattristava particolarmente l’economista liberal il fatto che i fan del senatore afro-americano applicassero la «regola Clinton», inventata dai repubblicani, in base a cui «ogni azione o dichiarazione di Hillary, Bill e dei loro seguaci, per quanto innocua, sia prova di intenti malvagi». Krugman era profetico ammonendo Obama che se avesse vinto la nomination «si sarebbe trovato soggetto alla stessa regola Clinton, perché razzismo e character assassination sono sempre modi per distrarre la gente dai temi veri». Ciò che un po’ è accaduto con la campagna di McCain. Quello che Krugman non aveva previsto era la rapidità dell’esplosione della crisi finanziaria, rivelatasi più forte di ogni attacco personale e un propulsore per Obama. Di questi, il premio Nobel ha sempre criticato le proposte su fisco e sanità. Mentre definiva quelle di Hillary «coraggiose e progressiste », Krugman accusava infatti Obama di non dire come avrebbe pagato le riduzioni fiscali per la middle class e di proporre una riforma sanitaria «impossibile da realizzare ». Ora che è nell’Accademia di Svezia, riuscirà a fargli cambiare opinione? Paolo Valentino