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 2008  ottobre 15 Mercoledì calendario

Corriere della Sera, mercoledì 15 ottobre Per la libertà condizionale concessa a Francesca Mambro, l’ex terrorista «nera» condannata a svariati ergastoli, c’è chi ha gridato allo scandalo

Corriere della Sera, mercoledì 15 ottobre Per la libertà condizionale concessa a Francesca Mambro, l’ex terrorista «nera» condannata a svariati ergastoli, c’è chi ha gridato allo scandalo. E così per la decisione francese di non estradare l’ex brigatista rossa Marina Petrella, ergastolana anche lei, rifugiata in Francia dal 1993. Sulla Mambro due autorevoli deputati del Partito democratico hanno presentato perfino un’interrogazione parlamentare, per sapere dal ministro della Giustizia le ragioni della decisione presa dal tribunale di sorveglianza di Roma. Naturalmente il Guardasigilli non potrà che riportare le motivazioni dei giudici. I quali per concedere il beneficio all’ex terrorista ufficialmente colpevole anche della strage alla stazione di Bologna del 1980 (85 morti e 200 feriti, un’eccidio del quale la condannata continua a proclamarsi innocente) hanno seguito la giurisprudenza che da qualche tempo ha avallato questa particolare chiusura dei conti con la giustizia (non ancora definitiva, peraltro) per decine di ex militanti del «partito armato». Tra questi alcuni brigatisti autori del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro – Barbara Balzerani, Anna Laura Braghetti, Raffaele Fiore, Bruno Seghetti – e di altri delitti, o gli aderenti a sigle diverse della galassia eversiva degli anni Settanta. Francesca Mambro – che nel 2009 compirà 50 anni, arrestata quando ne aveva 23, fuori dal carcere già da un paio di lustri per il «lavoro esterno» e la maternità – è solo l’ultima ad essere uscita dalla porta prevista dall’articolo 176 del codice penale. E sarà una delle ultime perché la maggioranza degli ex terroristi ergastolani c’è già passata. Quattro anni fa toccò a suo marito, Valerio Fioravanti, che si trova nella stessa situazione giuridico-giudiziaria della moglie, senza troppi clamori. Per i condannati a vita la norma prevede la possibilità di usufruire della «condizionale» dopo 26 anni di pena scontati (che con la «buona condotta», diventano 22 grazie allo sconto previsto da un’altra legge), e siccome la grande maggioranza dei terroristi è stata arrestata nei primi anni Ottanta, dall’inizio dei Duemila i tribunali di sorveglianza stanno vagliando le istanze degli ergastolani. Col risultato che in galera restano sempre meno prigionieri cosiddetti «politici». La contabilità aggiornata dei «detenuti appartenenti a movimenti eversivi» offre cifre bassissime rispetto ai circa 6.000 passati dalle prigioni italiane durante e dopo gli «anni di piombo». Oggi sono meno di cento, esattamente 97, così suddivisi per aree di appartenenza: 70 di sinistra, 21 di destra e 6 definiti anarchici. Di questi però, 26 sono in «semilibertà », cioè escono dal carcere ogni mattina per lavorare fuori e rientrano la sera: 23 di sinistra (l’ultimo, in ordine di tempo, Paolo Persichetti, ex militante dell’Ucc, unico estradato dalla Francia nel 2002) e 3 di destra. Chi prima e chi dopo, anche loro potranno arrivare alla possibilità della «condizionale». Quelli che ancora non mettono il naso fuori dalla cella, quindi, sono solo 71. Anche questo numero, però, va scomposto per scoprire che non tutti i detenuti «a tempo pieno» sono dei terroristi ancora «in servizio». Concentrandosi sul più consistente gruppo di militanti delle Br e sigle affini, ad esempio, i prigionieri che non usufruiscono di alcun beneficio restano 47. Ma in questa cifra rientrano i neobrigatisti arrestati dopo il 2003 (tra cui i responsabili degli omicidi D’Antona e Biagi) e gli aspiranti combattenti del Partito comunista politicomilitare, catturati nel 2007. Quelli della «vecchia guardia» , dunque, sono una trentina, e tra loro sono compresi autonomisti sardi ed ex detenuti comuni «politicizzati» in carcere, senza più velleità. Soltanto la metà di questa pattuglia continua a lanciare proclami di guerra contro lo Stato e si può definire composta da «irriducibili», mentre gli altri non hanno più nulla a che fare con la lotta armata. Come Cristoforo Piancone, br arrestato nel 1978 dopo l’omicidio di una guardia carceraria, ammesso alla semilibertà nel 2004 ma sorpreso un anno fa a compiere una rapina in banca: nessun «autofinanziamento» sul modello dei tempi andati, solo un tentativo di guadagno personale che gli è costato la revoca dei benefici. Prima di lui avevano preso la stessa strada Giorgio Panizzari (ex Nuclei armati proletari, addirittura graziato nel 1998 da Oscar Luigi Scalfaro), e un ex appartenente all’Unione dei comunisti combattenti. Tra le donne c’è Rita Algranati, brigatista della «colonna romana» che nel 1979 lasciò le Br e l’Italia, si rifugiò prima in Nicaragua e poi in Algeria. Solo nel 2004 fu arrestata grazie a una «consegna» concordata tra il servizio segreto italiano e le autorità algerine, che dalla sera alla mattina la fece ritrovare in Egitto dove alcuni di funzionari di polizia arrivati da Roma l’hanno presa e portata in carcere. Da quel momento ha cominciato a scontare i cinque ergastoli a cui è stata condannata, quando la sua storia con le Br era chiusa già da un quarto di secolo. Sul fronte del terrorismo «nero», tra i detenuti senza benefici c’è Pierluigi Concutelli, che un mese fa s’è visto revocare la semilibertà perché trovato con qualche grammo di hashish addosso, non certo per aver ricominciato a sostenere le idee «rivoluzionarie » e omicide d’un tempo. Nella stessa categoria viene contabilizzato l’ex «pentito» Angelo Izzo, che durante i precedenti permessi ha commesso crimini efferati che con la politica non avevano niente a che vedere. Delle migliaia di persone passate dalle carceri per reati di matrice politica, insomma, ne restano dentro poche decine, e solo in parte con le stesse idee che ce l’hanno portate. Tutti gli altri hanno ottenuto da tempo i benefici o la liberazione condizionale, e le percentuali di chi è tornato a commettere reati (non più di natura politica) incidono pochissimo. Questo a dimostrazione che come venticinque anni fa la magistratura fu artefice della repressione del fenomeno eversivo, grazie ai «pentiti» e alle leggi speciali, così oggi alla stessa magistratura è stato lasciato il compito di chiudere quella stagione facendo tornare alla società persone che hanno sparato e ucciso in nome di un’ideologia. Tutto è delegato al momento giudiziario, con valutazioni sui singoli casi affidate alla discrezionalità dei singoli giudici (che seguono orientamenti diversi, ad esempio tra Milano e Roma, la città dove è stata concessa la maggior parte dei benefici). Senza alcun atto politico che mettesse un punto su quelle vicende. Attraverso questa «delega» non dichiarata i magistrati si sono fatti carico di restituire alla collettività i protagonisti del sequestro e dell’assassinio di Moro, ma anche il fondatore del sanguinario Partito Guerriglia Giovanni Senzani – condannato tra l’altro per l’efferato omicidio di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio ”, un fratello e l’ex marito di Marina Petrella (ergastolani pure loro) e altri ancora. Di solito nella disattenzione generale, con decisioni confermate dalla Cassazione quando la pubblica accusa ha fatto ricorso, senza troppe proteste o grida di scandalo. Per la liberazione condizionale la legge prescrive un «comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento» del condannato. E secondo le ultime decisioni dei giudici, «la certezza o quantomeno l’elevata e qualificata probabilità» di quel ravvedimento non passa più soltanto dalla «revisione critica» del proprio passato violento, ma anche dalla riconciliazione (almeno tentata, attraverso dei contatti epistolari) con le vittime dei crimini commessi. Percorso faticoso, accidentato e dall’esito molto incerto. In fondo al quale l’Italia ha forse cominciato a intravedere – senza rendersene conto, e affidandosi ai verdetti altalenanti dei giudici che variano a seconda dei tribunali – la fine del tunnel degli «anni di piombo». Giovanni Bianconi