Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 15 ottobre 2008
FABBROCINO
FABBROCINO Mario Ottaviano (Napoli) 5 gennaio 1943. Camorrista. Alias ”o Gravunaro, ”il Carbonaio”. Considerato erede naturale di Carmine Alfieri • Detenuto nel carcere di Terni in 41 bis (regime confermato nel 2007 dalla Cassazione, stante l’attualità del suo ruolo apicale nella Nuova famiglia), pluripregiudicato per droga, associazione mafiosa, porto d’armi, sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Roberto Cutolo (figlio di Raffaele) e di Salvatore Batti, e ha un’altra pendenza per associazione mafiosa, per la quale è sottoposto a misura cautelare in carcere • Temuto da tutti per la sua ferocia e implacabilità, anche da Carmine Alfieri: «Tra me e Fabbrocino non c’è mai stata una vera alleanza, ma un rapporto di reciproco rispetto e di sostanziale non belligeranza. Il fattore che ci accomunava era l’odio per Raffaele Cutolo. … D’altra parte io ho sempre diffidato profondamente del Fabbrocino e sono stato sempre convinto che se egli avesse potuto, non avrebbe esitato ad uccidermi» (interrogatorio del 6 febbraio 1995) • Proprietario di una macelleria a Pomigliano d’Arco negli anni Settanta, i soldi li fa col malaffare, agendo incontrastato col fratello Francesco a Pomigliano d’Arco e a San Gennaro Vesuviano, finché Cutolo non mette a fuoco e fiamme la Campania. Per difendere il suo territorio Fabbrocino si allea con altri clan, con cui fonda l’Onorata Fratellanza (per l’esattezza l’8 dicembre 1978, giorno dell’Immacolata), che poi diventerà la Nuova Famiglia. Il 7 ottobre 1980 suo fratello viene ucciso e Mario passerà i successivi dieci anni a vendicarsi • «In questa sacra giornata d’umiltà, giuro da uomo di tenere fede a questo patto di sangue e di fratellanza e che il sangue di questa vena d’onore esce per entrare in un’altra vena d’onore. Giuro di dividere centesimo per centesimo, millesimo per millesimo, con questo mio fratello di sangue nel bene e nel male e fino alla tomba. Se la lontananza ci dividerà, il sangue ci unirà e ci chiamerà fino alla morte che ci separa. Faccio fede di questo patto di fratellanza e di questo lungo abbraccio che ci porterà con umiltà fino alla tomba» (dal codice di omertà rinvenuto nella sua auto dai carabinieri il 6 maggio 1984, il giorno del suo arresto) • Si allea innanzitutto con Michele Zaza, detto ”o Pazzo (ma lui si vantava di essere il ”Gianni Agnelli di Napoli”, perché col contrabbando di sigarette dava da campare a migliaia di famiglie). Zaza, per altro, non è un vero camorrista, ma un mafioso legato ai vertici di Cosa Nostra. La convivenza dura poco, perché ”o Gravunaro vorrebbe fare carriera, in questo contrastato dagli altri affiliati, in particolare Pasquale Russo, che invoca l’intermediazione di Alfredo Bono, noto esponente della mafia siciliana, che a sua volta avverte Zaza a Los Angeles, chiedendogli di tornare in Italia perché «Russo ha dei problemi con quelli del suo paese». La situazione si appiana, ma da allora Fabbrocino mantiene una posizione defilata. Infatti non entrerà nemmeno nel direttivo della Nuova Famiglia, per non sottomettersi al capo, Carmine Alfieri, salvo chiedergli il benestare quando decide di allargarsi nella zona di Ottaviano e di San Gennaro Vesuviano (presidiata dai fratelli Striano, legati ad Alfieri da rapporti di comparaggio). Alfieri non lo nega, a costo di danneggiare gli Striano, per non accendere un conflitto con un clan che è diventato forte, e per non perdere un alleato contro Cutolo • Fabbrocino finisce per separarsi da Zaza, creando un gruppo autonomo, e portandosi dietro i fratelli Russo (Pasquale e Salvatore), e i fratelli D’Avino (Fiore e Luigi). Ma dopo un po’ vengono di nuovo fuori gli attriti: Fabbrocino vorrebbe conquistare Castellammare di Stabia (dominata dal clan di Michele D’Alessandro), e gli altri non ci stanno a rischiare di morire inutilmente. A mediare interviene Carmine Alfieri. a questo punto che i Russo e i D’Avino lasciano il Fabbrocino e si mettono con Alfieri • Nell’84 viene arrestato e fermato in tempo prima che ingoi una lettera che si è messo in bocca e ha cominciato a masticare. Gliel’ha scritta un suo uomo fidato, per rendergli conto del colloquio che ha avuto, su sua richiesta, con il mafioso Luciano Liggio, nel carcere di Fossombrone (costituirà una delle prove principe in base alla quale sarà condannato per associazione camorristica) • ancora in attesa di giudizio, il 22 settembre 1987, quando, detenuto nel carcere di Bellizzi Irpino, ottiene gli arresti domiciliari in clinica per problemi cardiaci, e il 12 novembre gli arresti domiciliari nella sua dimora, ma il 14 novembre scappa e inizia la sua latitanza • Passando per la Francia, dove si dice che si sia sottoposto a un intervento al cuore, raggiunge il Sudamerica, da dove continua ad arricchirsi con estorsioni e traffico di droga, impartendo ordini ai suoi uomini in Italia, e riciclando i soldi in attività economiche sparse in Europa, America Latina e nell’area Nolano-Vesuviana. Anzi, la latitanza è il periodo in cui si arricchisce di più (dura dieci anni), anche perché estende il proprio dominio nei territori di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, i due boss della Nuova Famiglia che nel frattempo sono stati arrestati • Il 3 settembre 1997 viene arrestato in un elegante appartamento a poche decine di chilometri da Buenos Aires e chiuso nella stessa cella che aveva da poco ospitato Diego Armando Maradona. Secondo gli inquirenti ha rafforzato la sua organizzazione attraverso l’alleanza con i clan di Ferdinando Cesarano (area di Pompei e dintorni), dei fratelli Pasquale e Salvatore Russo (Nola e comuni limitrofi), e rinsaldato i rapporti con esponenti di Cosa Nostra • Nel giugno 1998 gli agenti della Dia mettono sotto sequestro decine di conti correnti intestati a prestanomi di Fabbrocino, con cento milioni di dollari depositati. Ventuno le ordinanze di custodia cautelare emesse a carico di uomini di Fabbrocino • Nel 2001 viene finalmente estradato. Ma all’inizio del luglio 2002 è già scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare e sottoposto all’obbligo di firma. Quattro giorni dopo è di nuovo in carcere, ma ci rimane fino ad agosto (avendo scontato una condanna definitiva per droga), con l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria. Il giorno della scarcerazione lo intervista Il Mattino: «Resto sempre dell’idea di volermi rifare una vita. Per questo ho accettato con serenità ogni decisione giudiziaria. Sono sicuro di poter pagare il mio debito con la giustizia» • Adempie all’obbligo di firma per otto mesi. Il 13 aprile 2005 la Corte d’Appello di Milano lo condanna all’ergastolo per l’uccisione di Roberto Cutolo e Salvatore Batti (uccisi nel 1990), e Fabbrocino scappa di nuovo, rifugiandosi nella villa dell’imprenditore Francesco Boccia, alla periferia di San Giuseppe Vesuviano. Gli inquirenti, che lo sospettavano, ne hanno la certezza, quando la figlia risponde al telefono, dicendo che la mamma non può venire perché sta parlando con «zio Mario». Lo arrestano il pomeriggio di Ferragosto, quando si è già infilato il pigiama per farsi la pennichella • Condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Batti e Cutolo nel 2006 (escluso l’isolamento diurno per via del rito abbreviato), in motivazione è citata la dichiarazione decisiva del pentito Schettini: «Allora Mario Fabbrocino disse: ”Se voi dimostrate fratellanza a me dovete uccidermi il figlio di Cutolo e io uccido Batti Salvatore, sennò Salvatore Batti può campare 200 anni e nessuno si permette di toccarlo”» • Nel maggio 2007 la DIA ha sequestrato a un presunto prestanome di Fabbrocino beni per 35 milioni di euro sparsi tra le province di Roma, Napoli e Salerno (Bruno De Stefano). [Paola Bellone]