Marco Belpoliti, La Stampa 13/10/200, pagina 33., 14 ottobre 2008
La Stampa, lunedì 13 ottobre Tutta la vita in una scatola? In questi giorni abbiamo visto le immagini dei dipendenti della Lehman, licenziati in tronco per il fallimento della loro azienda, uscire dai palazzi di vetro a New York reggendo una scatola
La Stampa, lunedì 13 ottobre Tutta la vita in una scatola? In questi giorni abbiamo visto le immagini dei dipendenti della Lehman, licenziati in tronco per il fallimento della loro azienda, uscire dai palazzi di vetro a New York reggendo una scatola. Dentro c’erano i loro effetti personali, le cose che si trovavano sulle scrivanie e nei cassetti dell’ufficio. Guardando le fotografie saltava agli occhi l’assenza di libri. E poi, ci si è chiesto, come è possibile che in una sola scatola ci stia tutta la loro vita professionale, ciò che è custodito nei loro uffici? Le scrivanie sono piazzate in open space, una vicina all’altra, perché a NY lo spazio costa caro. Un dirigente con 10-15 sottoposti, e super stipendio, possiede a malapena una stanzetta-cubicolo di qualche metro quadro, mi spiega un economista. Spazio troppo piccolo per contenere libri. Inoltre, i contenitori per traslochi e licenziamenti sono già pronti, ripiegati nelle portinerie. E a svuotare scrivanie e cassetti provvedono custodi e uscieri, che consegnano ai licenziati le scatole nell’atrio del palazzo. Tutto in una scatola, e via. La scatola come contenitore privilegiato della nostra epoca: tutto arriva nelle scatole e se ne va attraverso scatole. All’Ikea c’è un intero reparto di scatole; mentre Muji, la catena di negozi giapponesi di design, è specializzata in contenitori di plastica, scatole un po’ più eleganti. Le scatole segnano la nostra vita, nel bene e nel male, nei momenti allegri come in quelli tristi, come aveva compreso Andy Warhol che rifece le Brillo Box, i contenitori delle nuove spugnette abrasive esposti nei supermercati, tali e quali, per mostrarli in una mostra alla Stable Gallery a NY nel 1964; scatole a loro volta disegnate da un semisconosciuto pittore americano dell’espressionismo astratto. Alle scatole della Iron Mountain©, marchio leggibile all’esterno del contenitore dei licenziati (è l’azienda che gestisce gli archivi delle aziende, la più grande del mondo), si può accostare un altro tipo di contenitore, anche questo di un marchio americano: Banana Chiquita©. Sono scatole meno note, ma non certo meno utili. Capita spesso di vedere nei mercati rionali o di paese venditori di biancheria intima, o di altri capi d’abbigliamento, che stipano la loro merce dentro le comode scatole della Chiquita debitamente riciclate. Si tratta per lo più di venditori extracomunitari - europei e africani - che hanno scoperto la praticità di questi contenitori per caricare e scaricare la loro merce dai furgoni. Dotati di due comodi fori per le mani, si trasportano agevolmente. Sono solidi: la parte inferiore del cartone è saldata mediante una robusta colla, mentre quella superiore, su cui è stampigliato il logo e il disegno delle banane, più leggera, si toglie con facilità. Sono ottime anche per traslocare libri, carte, o altre cose di casa. L’importante è mettere un foglio spesso di carta che chiuda il buco al centro, in basso (ma anche questo è compreso nella dotazione della scatola Chiquita). La loro miglior qualità è di essere gratuiti: si trovano nei negozi di frutta e verdura, o vicino ai supermercati. Dopo aver scaricato le banane, le scatole vengono gettate. Scatola viene dal latino: castulu, cesta. Quante ceste ci stanno in una vita? Marco Belpoliti