Varie, 13 ottobre 2008
BIDOGNETTI
BIDOGNETTI Francesco Casal di Principe (Caserta) 29 gennaio 1951. Camorrista. Capo, insieme a Francesco Schiavone, della confederazione dei casalesi (da Casal di Principe), che unisce tutte le famiglie camorristiche del Casertano (’autonomia federativa”). Arrestato il 20 dicembre 1993, dal gennaio 1994 al 41 bis, condanna definitiva all’ergastolo (processo Spartacus). Detto Cicciotto ”e mezzanotte • Ha avuto tre figli dalla ex compagna Anna Carrino, oggi collaboratrice di giustizia: «Anna era poco più che ventenne quando perse la testa per Cicciotto ”e Mezzanotte, il boss Francesco Bidognetti. Casal di Principe, provincia di Caserta, bufale e rifiuti tossici, la Corleone della camorra, il regno dei Casalesi. Anna Carrino ha condiviso un quarto di secolo col suo uomo. Mai sposati, 10 anni vissuti pericolosamente e 15 con lui dietro le sbarre, al 41 bis. Un’intesa perfetta. Non solo amante, compagna, madre dei suoi ultimi tre figli, ma anche confidente, cassiera dei beni della famiglia, ambasciatrice delle sue volontà, messaggera di morte per conto del suo uomo. Anna Carrino non è paragonabile a Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, o a Saveria Palazzolo, consorte di Bernardo Provenzano. Mogli e basta, loro. No, Anna Carrino ha avuto un ruolo chiave nella vita dei Casalesi, del potente clan di Francesco Bidognetti. Una sera [...] però, la donna del capo ha abbandonato in gran fretta Casal di Principe. Era successo che un cugino del suo uomo, Domenico Bidognetti, si era pentito. E lei aveva paura. Due giorni dopo è in carcere, a Roma, dov’era riparata. E ben presto anche lei decide di collaborare, la prima pentita della camorra casertana. Grazie alle sue dichiarazioni [...] sono finiti in carcere [...] affiliati al clan per associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni, gestione illecita di videopoker in bar e sale giochi. Racconta un pentito del clan, Luigi Diana: ”Bidognetti aveva una grande intesa con la sua donna, esperta nel capire gesti, segni e mezze parole. Aniello Bidognetti mi diceva che quando non poteva andare a colloquio dal padre, in carcere, le ”imbasciate’ le prendeva Anna. In quel periodo si ebbe la prova del ruolo ricoperto dalle donne del clan. Bidognetti si era messo in testa che bisognava uccidere Michele Zagaria e Salvatore Cantiello. Per dare peso alla sua richiesta aveva inviato Anna nell’abitazione di Francesco Schiavone ”Sandokan’, per incontrare la moglie Giuseppina Nappa. Anna le chiese di riferire al marito che il ”compare’, cioè ”Cicciotto’, voleva sapere quando venivano ”aperte quelle due damigiane di vino’...”. [...]» (Guido Ruotolo, ”La Stampa” 18/4/2008). Per ritorsione al suo pentimento, il 30 maggio 2008 le ammazzarono la nipote Anna Carrino • Pentito anche il cugino Domenico Bidognetti, cui il 3 maggio 2008 fu ucciso il padre Umberto: «[...] Domenico Bidognetti è stato un protagonista del romanzo criminale che in vent’anni ha portato i camorristi di tre paesini alla costruzione di un impero. Lui Gomorra l’ha vista crescere e prosperare. cugino del padrino Francesco Bidognetti, quel Cicciotto ’e Mezzanotte che anche dal carcere ha dominato l’ascesa dei mafiosi campani. La sua collaborazione con i magistrati [...] sta svelando nuove dimensioni della conquista casalese. Partendo dall’occupazione di quelle province del Nord dove maggiore era la prospettiva di guadagno e minore il rischio di entrare in guerra con le cosche siciliane e calabresi, radicate in Lombardia e Piemonte: l’Emilia-Romagna, appunto, e parte del Veneto. Con il sogno proibito di mettere un piede a Milano, realizzando quell’assalto alla capitale morale già tentato da Raffaele Cutolo nei primi anni Ottanta. Il contagio avviene sempre partendo dai soldi. Prima le bische e gli investimenti immobiliari. Solo in una seconda fase si mettono sul tavolo le armi e la violenza per imporre il racket. Con un obiettivo strategico: entrare nel giro delle grandi opere, trasferendo sopra la linea gotica gli accordi con le aziende padane collaudati nei cantieri campani dell’Alta velocità. Si comincia quindi dall’industria dell’allegria. Bidognetti elenca night e ristoranti gestiti dagli affiliati, racconta della spartizione del territorio con i calabresi e con il boss del Brenta Felice Maniero, parla delle mazzette estorte ai costruttori Pizzarotti di Parma, in un’Emilia inedita in cui i camorristi sembrano muoversi come fossero a casa loro. [...]La scoperta della terra promessa avviene secondo il modello classico: il soggiorno obbligato. Un capoclan spedito dai giudici a Modena fa di necessità virtù criminale: sfrutta le colonie di emigrati campani onesti per imporre il modello camorrista. ”Accadeva tra l’89 e il ’90. All’epoca noi ritenevamo questa zona molto sicura, una sorta di fortezza. Sui casalesi e i sanciprianesi residenti lì esercitavamo pressioni, quando eravamo a Modena o Reggio per latitanza o provvedimenti di natura giudiziaria”. Domenico Bidognetti si trasferisce in Emilia una prima volta a 15 anni: è apprendista di una ditta casertana, ma dopo tre mesi torna indietro ”perché mi sentivo sfruttato”. Scopre così che ci sono soldi molto più facili. Le bische, ad esempio, e i videopoker che i casalesi decidono di gestire ”in regime di monopolio”. La rete che unisce Caserta, Modena e Reggio frutta oltre 200 milioni di lire al mese, che i boss venuti dal Sud non vogliono dividere con nessuno. ”Venimmo a sapere che c’era un gruppo riconducibile a Felice Maniero e a un calabrese che volevano inserirsi in quell’attività. Decidemmo di incontrare il Maniero, e da Casal di Principe partì una squadra di notevole spessore criminale”: una delegazione che somma diverse condanne all’ergastolo. Due auto con pezzi da novanta come i cugini Bidognetti, Raffaele e Giuseppe Diana e l’imprendibile latitante Antonio Iovine. ”Nell’incontro imponemmo a Maniero di lasciar perdere. Quando tornammo, mio cugino Cicciotto commentò l’inutilità del loro intervento, dando del ”drogato’ a Maniero”. L’atteggiamento cambia nei confronti della ”ndrangheta. I padrini casertani si fanno più rispettosi e stringono patti. Le zone dove incassare il racket vengono divise in base alla provenienza: ognuno impone il pizzo a negozianti e ditte create in Emilia da emigrati della zona d’origine, riproducendo al Nord omertà e regole di casa. una situazione paradossale: nella gogna finiscono imprenditori che avevano lasciato il Sud proprio per sfuggire alla prepotenza dei clan. Per i boss invece le spedizioni hanno parentesi felici: nei ristoranti e nei night emiliani non devono chiedere, tutto viene offerto, tutto è gratis. ”Tirammo fuori solo una mancia per le ragazze che ci avevano intrattenuto...”. Le faide si spostano spesso da Caserta al Nord. Bidognetti descrive inseguimenti nella nebbia e vendette incrociate lungo la direttrice dell’Autosole. C’è il pedinamento nel centro di Modena condotto durante i giorni di Natale: dopo lunghi appostamenti, il bersaglio viene sorpreso in una piazzetta, ma all’ultimo momento arriva un’auto e i killer rinunciano a colpire. Solo un rinvio: la condanna verrà poi eseguita ad Aversa. A Modena ci sono parenti fidati che custodiscono le armi e altri designati come autisti per la conoscenza dei luoghi. Ma al volante non si dimostrano all’altezza: uno degli agguati fallisce proprio perché la vittima riesce a seminare il commando. Le sentenze nascono anche da semplici sospetti. Uno degli ambasciatori delle famiglie si vanta di guidare senza patente e non temere i controlli della polizia. E due boss venuti da Caserta per incontrarlo vengono invece bloccati dagli agenti: quanto basta per qualificarlo come infame e decretarne l’esecuzione. [...]» (Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi, ”L’espresso” 25/9/2008).