Giorgio Dell’Arti Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio 2008, 13 ottobre 2008
BARRECA
BARRECA Filippo Reggio Calabria 4 gennaio 1947. ”Ndranghetista. Pentito (secondo il pm antimafia Nicola Gratteri, l’unico vero pentito di ”ndrangheta, oltre a Franco Pino). Detto ”u Ragiuneri, faceva parte della cosca degli Ambrogio, dominante a Pellaro (Reggio Calabria) e di cui divenne il capo nell’82, quando venne ammazzato Carmelo Ambrogio. Attività predilette: contrabbando di sigarette e di preziosi, traffico di droga e di armi, riciclaggio di denaro sporco. Si fece battezzare il figlio da Santo Araniti, detto ”Garibaldi”, ovvero uno degli ”ndranghetisti, che, vinta la prima guerra di mafia, aveva fondato la ”Santa” ed era entrato nella massoneria deviata col nome di ”Garibaldi” (vedi). Nel 79 fu investito della dote di ”santista” dallo stesso Araniti (sulla santizzazione vedi anche BELLOCCO Umberto e DE STEFANO Giorgio). Nella seconda guerra di mafia (87-91, vedi DE STEFANO Giorgio), si schierò dalla parte dei destefaniani. Fornì l’appoggio logistico per l’omicidio dell’onorevole Ligato (ex parlamentare democristiano ed ex presidente delle Ferrovie dello Stato, assassinato nella notte tra il 27 ed il 28 agosto del 1989 nella sua villa al mare di Bocale di Pellaro). Trattandosi di zona di sua competenza, secondo gli inquirenti fu lui a fare spostare altrove il percorso di una gara di motocross che invece si doveva disputare vicino alla villa dove fu ucciso l’onorevole (vedi CONDELLO Pasquale) • La seconda guerra di mafia era già conclusa, l’8 ottobre 1992, quando, detenuto in carcere a Cuneo per una pena definitiva di nove anni per droga, comunicò di essersi pentito. Inizialmente coperto dagli inquirenti col codice ”Delta”, spiegò ai magistrati perché era scoppiata la seconda guerra di mafia (Paolo De Stefano voleva conquistare la zona di Villa San Giovanni, di competenza di Antonino Imerti, per intascarsi i fondi stanziati dallo Stato per i lavori del Porto e dello Stretto), e perché era finita: «L’interesse a che fosse ristabilita la pace in provincia di Reggio scaturiva da una serie di motivazioni, alcune di ordine economico - pacchetto Reggio Calabria e realizzazione del ponte sullo Stretto - e altre di politica criminale. Anche i siciliani presero posizione, nel senso che andava imposta la pace fra le cosche del Reggino, essendo in gioco grossi interessi economici la cui realizzazione veniva compromessa da quella guerra» (come a dire che la guerra iniziò e finì per lo stesso motivo: vedi anche IMERTI Antonino). Prima di lui, il 9 maggio 1992, si era pentito Giacomo LAURO, in codice ”Alfa”, affiliato del fronte opposto (i Condello-Imerti-Serraino). Tutte le loro parole finirono negli atti di indagine dell’operazione ’Olimpia” (seguita da ”Olimpia” 2, 3 e 4), e quando furono istruiti i processi fu tutto un cercare riscontri alle loro dichiarazioni (confermate nel tempo anche da altri pentiti) • Meglio di tutti gli altri però, spiegò come fu che a un certo punto, a Reggio Calabria, gli ”ndranghetisti entrarono nella massoneria e che cosa c’entrassero la destra eversiva e i mafiosi siciliani con gli ”ndranghetisti • Deposizione 8 novembre 1994: «’Come ebbi modo di dichiarare più volte, all’interno della ’ndrangheta ho ricoperto ruoli autorevoli. Il massimo grado l’ottenni all’incirca nell’anno 1979, allorché venni fatto santista da una copiata costituita da Santo Araniti, Natale Iamonte e Turi Scriva”. ADR (a domanda risponde): ”Con il grado di santista entrai a far parte dell’élite della ”ndrangheta, acquisendo un grado segreto che mi dava la possibilità di avere rapporti con esponenti della massoneria. Devo a questo punto specificare che molti santisti sono massoni, tra essi certamente quelli che hanno costituito la copiata della mia investitura”. ADR: ”Ritornando alla richiesta delle SS.LL. sull’esistenza o meno di una loggia segreta a Reggio Calabria intendo dichiarare quanto segue: Quando parlo di santisti massoni, intendo riferirmi a personaggi che costituiscono logge coperte; nella specie in Calabria esisteva, sin dal 1979, una loggia massonica coperta a cui appartenevano professionisti, rappresentanti delle istituzioni, politici e, come detto, ”ndranghetisti. Questa loggia aveva legami strettissimi con la mafia di Palermo, a cui doveva render conto”. ADR: ”La loggia si costituì quasi contemporaneamente alla mia investitura a santista, in occasione della latitanza a Reggio Calabria di Franco Freda, e cioè nei primi mesi dell’anno 1979; anzi, fu proprio Franco Freda a formare questa loggia, uno dei cui principali fini istituzionali era l’eversione dell’ordine democratico. Freda mi disse che altra loggia analoga era stata costituita nella città di Catania. Va comunque sottolineato come una struttura di fatto costituita da personaggi eccellenti con la salda intesa di una mutua assistenza esisteva già da prima, e Freda si limitò a formalizzarla nel contesto di quel più ampio progetto nazionale che alla realtà reggina improvvisamente attribuì un ruolo di ben più ampio significato e spessore. Non bisogna dimenticare che già da tempo esisteva la Santa”. ADR: ”Le mie conoscenze discendono direttamente da Franco Freda, l’organizzatore della loggia, il quale, come ho avuto modo più volte di dichiarare, ha trascorso alcuni mesi di latitanza presso la mia abitazione. Al proposito sono prontissimo a sostenere in qualunque momento un confronto con Franco Freda se dovesse fare dichiarazioni difformi alle mie. Devo, peraltro, far presente che le mie conoscenze sul punto discendono anche da altri personaggi della ”ndrangheta già citati come santisti-massoni. Tra essi Santo Araniti e da Paolo De Stefano”. ADR: ”Le competenze della loggia, come detto, si fondavano su di una base eversiva. Ma, prevalentemente, la loggia mirava: ad assicurarsi il controllo di tutte le principali attività economiche ’ compresi gli appalti – della Provincia di Reggio Calabria; il controllo delle istituzioni a cui capo venivano collocati persone di gradimento e facilmente avvicinabili; l’aggiustamento di tutti i processi a carico di appartenenti alla struttura; l’eliminazione, anche fisica, di persone ”scomode” e non soltanto in ambito locale. In sostanza si era creato un gruppo di potere che gestiva tutto l’andamento della vita pubblica ed economica in sintonia con altri gruppi costituitisi in altre città italiane”. ADR: ”Dopo l’arresto di Freda la loggia continuò ad operare a pieno regime, sotto la direzione di Paolo De Stefano, del cugino Giorgio e dell’avvocato Paolo Romeo; questi, nella qualità di esponenti di primo piano della ”ndrangheta in stretto collegamento con i vertici di tutte le istituzioni del capoluogo reggino. ”Cosa Nostra” era rappresentata nella loggia da Stefano Bontade; questo collegamento con i palermitani era necessario perché il progetto massonico non avrebbe avuto modo di svilupparsi in pieno in assenza della ’fratellanza” con i vertici della mafia siciliana, ciò conformemente alle regole della massoneria, che tende ad accorpare in sé tutti i centri di potere, di qualunque matrice. Posso affermare con convinzione che a seguito di questo progetto, in Calabria la ”ndrangheta e la massoneria divennero una ”cosa sola”» • Franco Freda faceva parte del movimento di estrema destra Ordine Nuovo fondato da Pino Rauti nel 56, era fuggito dal carcere di Catanzaro, dove era stato rinchiuso dopo la condanna all’ergastolo (18 gennaio 1977) per la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) , sette chili di tritolo esplosero nella sede della Banca dell’Agricoltura, a Milano, ammazzando 16 persone e ferendone 87, ma dal processo Freda uscirà infine assolto per insufficienza di prove). Dieci anni prima, il 24 ottobre del 69, il cosiddetto ’principe nero” Julio Valerio Borghese aveva tenuto un comizio a Reggio Calabria, e due giorni dopo si era tenuta la riunione annuale degli ’ndranghetisti (a Montalto anziché a Polsi), per decidere se aderire al progetto del golpe Borghese (messo in atto, e fallito, l’8 dicembre 1970). Per i moti di Reggio Calabria scoppiati nel 1970 e per la strage di Gioia Tauro, vedi LAURO Giacomo • Il 9 marzo 1995, comparendo in aula per testimoniare nel processo contro il boss Saverio Mammoliti, disse: «Ho mangiato carne umana per risultare affetto da tumore e riacquistare così la libertà » (riferendosi a un espediente usato in precedenza per essere messo agli arresti domiciliari) • Entrato nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia, si dice che abbia intascato dallo Stato un miliardo e mezzo di lire (Carlo Macrì).