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 2008  ottobre 12 Domenica calendario

MILANO

Giuseppe Gentile ha fatto il Sessantotto, e non è un modo di dire. In quella pazzesca Olimpiade di morte, tensione, record e guanti di pelle nera, dentro l’aria rarefatta di Città del Messico ’68, lui c’era. «Senza rendermi ben conto di quale peso avrebbe assunto quell’edizione dei Giochi nella storia dello sport. In quei momenti l’atleta, egoisticamente, pensa solo a sé. l’occasione della vita, non puoi permetterti distrazioni. Io in Messico ero molto introspettivo».
Però...
«Però nel villaggio e allo stadio si respirava un’aria strana. In giro regnava una finta tranquillità, continuamente alterata dai fatti traumatici di quei giorni. Concentrarsi solo sullo sport era difficile».
Quarant’anni dopo, qual è il ricordo più vivido che conserva di quell’Olimpiade?
«Che non vinsi».
La delusione del bronzo nel salto triplo è ancora qui?
«Non è un rimpianto. Non è un rammarico. una grande delusione, ecco. Due record del mondo non mi bastarono per arrivare all’oro».
17.10 nelle qualificazioni e 17.22 in finale.
«Viktor Saneev saltò 17.39 e vinse una gara incredibile, merito dell’altitudine e del tartan: per la prima volta non si correva sulla terra rossa».
Il giorno prima della sua medaglia di bronzo, il pugno di Smith e Carlos.
«Ero al villaggio, avevo visto la finale dei 200 alla tv. Fu come ricevere uno schiaffo: quel gesto mi diede molto fastidio perché le strumentalizzazioni non mi sono mai piaciute. Fu una protesta eclatante, che temo gli sia stata suggerita. Ancora oggi quei due girano il mondo raccontando il loro podio, non la loro gara, che pure Smith vinse con un tempo strepitoso ».
 contrario ai boicottaggi, quindi.
«Totalmente. L’Olimpiade è un momento di sport altissimo: il valore è partecipare, non restarsene a casa».
Pechino 2008 inclusa.
«Certo. Neanche a me piace la pena di morte della Cina, però che tristezza quei politici che hanno cercato di usare gli atleti per fini politici. In Messico, se non altro, la strumentalizzazione dello sport era una novità. Poi, vedi Mosca e Los Angeles, è diventata la regola...».
E Pier Paolo Pasolini da che parte stava?
«Era un grande appassionato di sport, ricordo lunghe discussioni sul set sui fatti di Città del Messico. Pasolini diceva che la contestazione era giusta, io sostenevo che lo sport deve unire, non dividere: bisognava accettare il Sud Africa e fargli capire che i Giochi olimpici sono il teatro della vita».
Ci tolga una curiosità: perché nel ’69 Pasolini scelse proprio lei per interpretare Giasone nella «Medea»?
«Mah, e chi lo sa... I ricordi dell’Olimpiade erano ancora freschi: forse gli ero rimasto impresso».
E Maria Callas? Con chi si schierava?
«Ascoltava. E poi sceglieva di astenersi».
Giuseppe Gentile, 65 anni. Sotto, a Messico ’68 (Upi)
Gaia Piccardi