Federico Rampini, la Repubblica 12/10/2008, 12 ottobre 2008
L´Europa si aggrappa a uno spiraglio di speranza: è un piano inglese per una potente offensiva degli Stati che aggredisca tutti i nodi del collasso finanziario
L´Europa si aggrappa a uno spiraglio di speranza: è un piano inglese per una potente offensiva degli Stati che aggredisca tutti i nodi del collasso finanziario. Il vertice G7 di Washington non è bastato per lanciare un´azione unificata contro la débacle del sistema finanziario mondiale. Ci riprovano oggi a Parigi i ministri economici europei in un vertice pomeridiano animato da un´urgenza febbrile. Hanno poche ore di tempo prima della riapertura delle Borse, per scongiurare un altro lunedì nero. Il piano di Londra è la base per le decisioni che potrebbero essere approvate stasera. Al primo punto c´è l´estensione della tutela pubblica anti-crac non più soltanto ai conti correnti dei risparmiatori ma anche a tutta l´attività di prestito tra banche. Gli Stati garantirebbero dall´insolvenza le emissioni di obbligazioni bancarie e altre operazioni a termine, quella linfa vitale che scorre nel settore del credito in tempi normali e che ora si è inaridita: il mercato interbancario. Al secondo posto c´è la ricapitalizzazione delle banche stesse, con massicce iniezioni di fondi statali. E´ un´imponente nazionalizzazione o semi-nazionalizzazione, sia pure provvisoria nelle intenzioni; in attesa di una schiarita che consenta di rivendere in futuro quelle quote pubbliche ad azionisti privati. Al terzo posto viene una revisione delle norme contabili. Con questa si vuole arrestare la spirale della sfiducia provocata dal fatto che certi «titoli tossici» in questo momento non hanno più mercato. Nessuno ha idea di cosa possano valere e nell´abisso del pessimismo si tende a valutarli zero. Di conseguenza affondano i bilanci delle banche e di certe assicurazioni. Infine si dovrebbe creare una cellula europea per la vigilanza bancaria. In modo che gli Stati dell´Unione abbiano finalmente dei guardiani dei mercati di dimensioni comparabili ai colossi bancari sovranazionali, formatisi a colpi di acquisizioni straniere. Da questa bozza di progetto resterebbe fuori invece l´idea del fondo «alla Paulson» sostenuta dall´Italia - e inizialmente anche dai francesi - ma avversata dalla Germania. Contro la proposta di replicare in Europa quel fondo americano (i 700 miliardi di dollari per riacquistare dalle banche montagne di «titoli tossici» legati ai mutui subprime) all´inizio sembrava esserci solo una forma di egoismo tedesco: il timore della Germania di doversi sobbarcare l´onere maggiore, mentre il fondo sarebbe servito a salvare anche le banche altrui. C´erano anche dubbi sulla gestione, visto che l´Europa non ha un ministero del Tesoro federale, e pochi vogliono affidare alla Commissione di Bruxelles o alla Bce poteri così importanti. Ma un colpo di scena ha creato un ostacolo nuovo sulla strada di quel fondo: il piano Paulson è stato abbandonato da Paulson. In una débacle personale che distrugge la sua credibilità già scarsa, il ministro del Tesoro Usa ha dovuto stravolgere il suo stesso progetto, già bocciato dai mercati. Dopo averlo imposto al Congresso con un ricatto - come l´ultima speranza contro un crac generalizzato dell´economia americana - tra venerdì sera e sabato al G-7 Paulson ha fatto un voltafaccia clamoroso. Si è reso conto che l´operazione di acquisto dei titoli tossici richiederà troppo tempo e sarà tecnicamente complessa. Nell´immediato il fondo da 700 miliardi verrà usato per ricapitalizzare le banche, con nazionalizzazioni parziali o totali come quelle che hanno salvato dalla bancarotta Fannie Mae, Freddie Mac e il gigante assicurativo Aig. Anche in America lo Stato acquisterà nuove quote nel controllo azionario delle banche. Washington si adegua al modello inglese? In realtà Paulson «riscopre» una clausola del suo piano che gli fu imposta dal Congresso a maggioranza democratica: furono i parlamentari ad aggiungere un emendamento che permette di usare i 700 miliardi per acquisti di azioni nelle banche in crisi. La ricetta inglese che raccoglie forti consensi, è però densa di incognite. Parlare di un´azione comune dell´Europa è ancora prematuro. La filosofia dominante resta quella che ciascun paese applicherà il piano al proprio contesto tenendo conto delle differenze nazionali. L´autonomia dei singoli governi può tradursi in differenze cruciali, gravide di effetti sui mercati dei capitali. Quanto ampio e costoso sarà l´ombrello di garanzia statale sui prestiti tra banche e sulle obbligazioni? La Gran Bretagna ha stanziato 250 miliardi di sterline, in Germania circolano stime di 400 miliardi di euro e si parla di estendere la protezione ai fondi comuni monetari. Altri paesi meno generosi potrebbero essere destabilizzati da fughe di capitali verso le nazioni con le banche più protette. Si rischiano nuovi episodi di concorrenza tra Stati come quando l´Irlanda varò per prima l´assicurazione illimitata sui depositi, attirando folle di risparmiatori inglesi. Sarà necessaria una vera armonia nell´applicazione del piano per impedire tensioni pericolose. Anche la ricapitalizzazione delle banche si presta ad abusi. Vanno aiutate tutte? Solo le più grandi? O quelle meglio gestite? Se lo Stato elargisce aumenti di capitali a occhi chiusi avremo salvataggi indiscriminati. La crisi di mercato non svolgerà l´unica funzione positiva che ha: operare una selezione tra banche più solide e banche meno sane. La revisione delle regole contabili rischia di essere un altro regalo ai banchieri, che ne approfitteranno per occultare lo stato reale dei loro bilanci. «Essere trasparenti paga» ha detto ieri il governatore Draghi a Washington, ma i nuovi criteri di contabilità possono spingere nella direzione opposta. La nuova cellula di vigilanza europea sarebbe altrettanto impotente delle authority attuali, se non viene decisa una grande riforma delle regole del settore bancario, che colpisca anche la «finanza ombra» dei derivati. E´ importante che l´emergenza non spinga a salvataggi indiscriminati, che oltre ai costi enormi sui contribuenti alimenterebbero future bolle speculative, giustificate dalla certezza che i banchieri la fanno sempre franca. Infine cresce la possibilità che i salvataggi statali vengano richiesti ben oltre il settore bancario. Le nuove convulsioni di crisi nell´industria automobilistica americana, per esempio, ricordano di colpo ai governi che esiste un´economia reale anch´essa in sofferenza, e quest´ultima potrebbe ben presto presentare un conto pesante in termini di occupazione. La focalizzazione sui problemi del credito allora apparirà troppo limitata. Dal piano europeo ci si aspettano risposte anche sulla strategia anti-recessione.