www.repubblica.it, 10 ottobre 2008
WASHINGTON
Il cassettista più famoso d’America, l’uomo che salvò Wall Street investendovi massicciamente quando tutto parve crollare nel Grande Panico del 1907, è John Pierpont Morgan, il leggendario fondatore della omonima banca d’affari. Da allora, ogni megacrisi finanziaria americana ha avuto i suoi cassettisti, dalla dinastia Rockefeller e dal presidente della General motors, William Dupont, nel crac del 1929, fino al mago Warren Buffett oggi, gente che anziché vendere acquistò azioni. Non tutti ebbero il successo di Morgan, che in soli 20 minuti raccolse 25 milioni di dollari evitando la chiusura dello Stock exchange: nel ’29 ad esempio, dopo il lunedì nero, Richard Whitney comprò 25 mila titoli della US Steel a 203 dollari l’uno, ben 10 dollari in più del loro valore, senza frenare l’emorragia di Wall Street. Ma se ogni volta la Borsa americana si riprese, sia pure nel tempo, fu anche merito dei cassettisti, grandi e piccoli.
Naturalmente, spiega al Corriere
Paul Samuelson, il nonagenario Nobel dell’economia, memoria storica dell’ America, «occorre sapere che cosa si fa e avere la pazienza di aspettare perché il cassettista vince soltanto a lungo termine ». Con poche eccezioni, commenta, in genere quando le cause del crollo non sono finanziarie né economiche, la ripresa della borsa è molto lenta. Robert Solow, un altro Nobel, è d’accordo. Disfarsi precipitosamente di azioni di compagnie forti, in temporanee difficoltà, sottolinea, è sovente un errore. «Per ogni investitore che vende, ce n’è uno che acquista: se un titolo valeva 100 dollari e viene ceduto a 50, con ogni probabilità nel giro di qualche anno risalirà a 120 - 130 dollari». In questi casi, perde chi ha disinvestito nascondendo i soldi sotto il materasso. Per Solow il ruolo del cassettista è cruciale: «Contribuisce a contenere il panico, il pericolo maggiore nell’odierna congiuntura».
Samuelson e Solow rifiutano di consigliare al pubblico se e come investire: «Non voglio fare come un altro economista, Irving Fisher – ironizza Samuelson – che subì seri danni a Wall Street nel ’29, mentre era in visita, pensi un po’, a Mussolini a Roma, e si ributtò nella mischia troppo presto, perdendoci daccapo». Ma nella storia americana l’elogio dei cassettisti - «purché guardinghi e informati» - insiste Solow, affiora in numerosi libri e films, anche i più critici delle follie dei finanzieri e dei banchieri, come l’epocale volume di John Kenneth Gabraith «Il grande crack del 1929» di cinquanta anni fa, o «La storia di Wall Street» di Charles Geist, o «Il giorno che scoppiò la bolla» di David David Rouse, per tacere delle decine di biografie di J.P. Morgan, dei Rockefeller, di Dupont e ultimamente di Buffett. Persino «La vita è meravigliosa», il capolavoro cinematografico di Frank Capra, protagonista James Stewart, in cui la città fa quadrato attorno a un piccolo imprenditore in difficoltà, è un invito alla fiducia nel sistema finanziario ed economico americano.
Al contrario, chi interpreta la borsa come una speculazione o una scommessa è aspramente denunciato, basti pensare a «Denaro sporco», il recentelibro di Kevin Phillip, o al film di Oliver Stone dell’87 – altro anno funesto – «Wall Street», con l’attore Michael Douglas. Forse per questo, in America c’è tutta una letteratura su come essere buoni cassettisti, da «Vincere il gioco del perdente» di Charles Ellis a «Azioni per il lungo termine» di Jeremy Siegel. La tesi dei due libri è che se si investe mentre la borsa scende, alla fine si guadagna di più che non se si investe mentre la borsa sale. Ma con i debiti accorgimenti: non fare il passo più lungo della gamba, tenersi pronti a subire incidenti di percorso, e pazientare. Sono i principi a cui s’ispira Warren Buffett, che ha investito 5 miliardi di dollari nella Goldman Sachs e altrettanti in una compagnia energetica. E di Jamie Dimon, che non per caso guida la Morgan Chase, erede delle banche di J.P.Morgan e dei Rockefeller, e che a marzo acquistò la Bear Stearns quando andò in dissesto, e a settembre la Washington Mutual, prima che dovesse chiudere i battenti.
Ennio Caretto