Alessandra Mammì, L’espresso 19/10/2008, pagina 134, 19 ottobre 2008
L’espresso, giovedì 16 ottobre Non dà tregua, Damien Hirst. Non si fa in tempo ad archiviare gli articoli sull’epocale asta da Sotheby’s che gli ha fruttato 111 milioni di sterline grazie a 231 lotti e la geniale idea di far fuori dall’affare tutti galleristi e intermediari, ed ecco un’altra notizia
L’espresso, giovedì 16 ottobre Non dà tregua, Damien Hirst. Non si fa in tempo ad archiviare gli articoli sull’epocale asta da Sotheby’s che gli ha fruttato 111 milioni di sterline grazie a 231 lotti e la geniale idea di far fuori dall’affare tutti galleristi e intermediari, ed ecco un’altra notizia. L’infaticabile Hirst ha aperto un negozio. Si chiama Other Critheria come la casa editrice da lui fondata e diretta. Ha sede a Londra, 36 Bond Street, e si è inaugurato il 6 ottobre. Che cosa vende Hirst? Se stesso, naturalmente. I suoi libri, le T-shirt con puntini o farfalle, gli Hirst-jeans prodotti con la Levi’s, poster, gingilli e carte da parati. Più alcuni art-work a tiratura limitata come luccicanti crani di plastica a 30 mila euro, piatti decorati dall’artista a 13 mila, pillole d’oro inanellate in braccialetti da 300 mila euro. Poco per la sua firma, se si paragona ai 10 milioni e 300 mila sterline battute da Sotheby’s per il suo’Vitello d’oro’. Anche questo è Hirst: un brand di successo, un’impresa che conta centinaia di dipendenti tra impiegati assistenti, arte, editoria e business, più l’indotto di fonderie, artigiani e uffici legali che lavorano solo per lui. Del resto lui è l’unico artista al mondo noto come una rockstar, l’unico (a parte Rauschenberg degli anni d’oro) ad aver conquistato la copertina di ’Time’, l’unico a possedere un patrimonio che per il ’Sunday Times’ supera i 100 milioni di sterline e secondo altre fonti è giunto a cinque volte tanto. Del resto, chi lo sa quanti soldi ha Hirst? Lui, a domanda del ’Guardian’, risponde: "Ho perso il conto". Di certo è l’artista più ricco al mondo e uno dei 150 più ricchi cittadini del Regno Unito. Ma come ha fatto un ragazzo della working class di Bristol a costruire un impero economico (un’industria in pratica) al cui confronto la Factory di Warhol è bottega artigiana? Chi è Damien Hirst? Un genio dell’arte o un genio degli affari? Come fa a produrre tanto? Chi c’è intorno a lui? Cominciamo da alcune figure chiave. Prima di tutto la mamma. Una di quelle mamme che sanno trasmettere al figlio una buona dose di ’self confidence’. Il figlio ricambia, tanto che la signora Hirst vive nella grande casa del Devon insieme a Damien, la moglie Maia provetta surfista e i tre nipotini. l’urlo di gioia di mamma Mary di fronte al progetto del teschio tempestato di diamanti (valore assicurativo: 50 milioni di sterline) a battezzare tanta opera ’For the Love of God!’. Ed è sempre la mamma a presentare al geniale figliolo, Frank Dunphy, il business manager che lo segue passo passo dai tempi di The Pharmacy. Ovvero il ristorante aperto da Hirst nel 2003 a Notting Hill, dove l’artista aveva disegnato ogni cosa: dagli ambienti alle sedie, tavoli, bicchieri, posate, grembiuli dei camerieri. Era ancora luogo di culto quando Damien decise di chiuderlo e Frank gli suggerì di vendere all’asta tutto l’arredo, grembiuli compresi. Detto fatto: ore di code fuori dall’entrata e ben oltre 11 milioni di pound di incasso. Gli altri capisaldi della Hirst Factory sono i due condirettori della premiata ditta Science Ltd. che lega tutte le produzioni dell’artista: il suo vecchio amico Hugh Allan ex inquilino di un appartamento nel palazzetto londinese che oggi è sede di Science, e Jude Tyrrell sua ufficiale portavoce. Intorno, una cinquantina di assistenti artisti che lavorano nei grandi hangar del Gloucester, il suo immenso studio operativo. Hirst li fa ruotare da un’opera all’altra in modo da spersonalizzare il lavoro (come appunto in una vera fabbrica), ma nello stesso tempo è loro grande sponsor. Perché, sarà un grande uomo d’affari, ma Hirst è anche una persona generosa che ha sempre aiutato gli amici. Quando nel 2006 mostra la sua collezione alla Serpentine Gallery, accanto al suo Bacon espone nomi semisconosciuti, dimostrando che un collezionista deve credere negli artisti e non nei dealer. E lui, che ha rifiutato ogni pubblica istituzione (Tate compresa), non ha saputo dir di no al suo amico, Mario Codognato direttore del Madre, concedendo a Napoli l’unica sua mostra in un pubblico museo. La forza della tribù lo ha sempre accompagnato, da quando mise insieme The Young British Artists, organizzando nel 1988 con i compagni di scuola la mitica mostra ’Freeze’. Fu lui ad affittare un garage e contattare personalmente critici e collezionisti, Saatchi compreso che acquistò tutto. Ma qualche anno dopo si rivolta contro il suo mecenate: "Non sono la scimmia ammaestrata di Charles Saatchi. Uno che riconosce l’arte solo con il portafoglio". E per sancire la rottura si ricompra tutte le sue opere. Qui dimostra di essere un vero businessman e comincia il sodalizio con Jay Jopling, che aveva aperto una piccola galleria nell’East End. Con quel re Mida di Hirst alle spalle, il White Cube diventa subito grande tanto da costruire una seconda incredibile sede in un cortile dietro Regent’s Street. E dopo Jopling ecco il più potente gallerista del mondo Larry Gagosian e le cifre da capogiro dei lavori che culminano nell’opera evento: il teschio di diamanti. Ma i maligni sono all’opera, si sussurra che Jopling e Gagosian hanno i magazzini pieni di invenduto, che Hirst gonfia i prezzi e che la società che ha comprato ’For the Love of God’ altro non sia che lo stesso Damien. Anche per questo Hirst smarca tutti. Punta all’autarchia, va in asta da solo e dimostra che la sua è arte vera e mercato vero. "Damien è il più grande costruttore di immagini dei nostri tempi", spiega Codognato, "ha traghettato nel XXI secolo le icone eterne di morte, malattia, ciclo della vita. Ha usato lo spirito concettuale e la forza visiva del barocco. Ma la sua eccezionalità è anche nell’aver raggiunto dimensioni fuori scala per un artista. Perché nessuno come Hirst sa operare artisticamente nel cuore del sistema economico e finanziario". Alessandra Mammì