Goffredo Fofi, L’espresso 19/10/2008, pagina 100, 19 ottobre 2008
L’espresso, giovedì 16 ottobre Sei film italiani in concorso sono forse troppi anche per un festival che si svolge a Roma, ’la città del cinema’, la città in cui si decidono le sorti del cinema italiano dal tempo dell’accentramento mussoliniano e su fino a oggi di governo in governo (quale che fosse il suo colore) con perfetta continuità
L’espresso, giovedì 16 ottobre Sei film italiani in concorso sono forse troppi anche per un festival che si svolge a Roma, ’la città del cinema’, la città in cui si decidono le sorti del cinema italiano dal tempo dell’accentramento mussoliniano e su fino a oggi di governo in governo (quale che fosse il suo colore) con perfetta continuità. Di alcuni di essi si ha ragione di temere il peggio, film di figli e parenti, film che sembrano essere di continuità e tradizione - non la migliore - sotto ogni riguardo. Ma si vedrà, non si può mai giudicare sulla carta anche se le sorprese, nel nostro cinema, sono sempre rarissime; e infatti almeno il film di Winspeare l’ho già visto e mi è molto piaciuto. Ma considerare un film anche la registrazione di ’L’ultimo Pulcinella’ del nostro eterno Scaparro del mezzo-teatro, riservato alla serata finale, mi sembra davvero troppo. E onestamente, se sul piano dello spettacolo non si è trovato di meglio, vuol proprio dire che a Roma sono messi male! A Venezia, nonostante il bel film di Marco Bechis (che io considero d’importanza storica per il nostro cinema perché infine non parla di noi, provinciali sfatti e sbandati, e allarga lo sguardo ai veri problemi del mondo) la grande rinascita del cinema italiano annunciata con la solita grancassa dei nostri mezzi-giornali e dei nostri mezzi-politici a Cannes grazie ai film di Garrone e Sorrentino era stata drasticamente ridimensionata: no, il cinema italiano vivacchia, e anche se avrebbe ottimi nomi da mettere in campo, ha a gestirli pessimi funzionari. E se una società non si dà progetto, gli artisti, per quanto bravi, non possono essere loro a sobbarcarsi quest’arduo compito, non è questo il loro lavoro. Anche sul fronte estero, la festa si annuncia assai moscia: un pessimo regista tedesco fa un film sulla Baader-Meinhof, e c’è da aspettarsi il peggio; il grandissimo documentarista Rithy Panh è a detta di chi l’ha visto forse al suo film peggiore; la gran parte delle opere sono state già viste in più di un festival in giro per il mondo; e, a parte la presenza di un grande ospite come David Cronenberg, c’è ben poco dall’America, e niente di nuovo. Anche se dagli Usa ci sono i soliti visitatori prezzolati, quest’anno Michael Cimino en travesti e Al Pacino con le stampelle: i pensionati del cinema americano continuano a trovare in Italia soldi per le loro tasche, ma le passerelle (pardon, i red carpet tanto amati dall’intrattenitore Veltroni) hanno ben poco quest’anno da mostrare. Un film di cui alcuni, che per l’appunto l’hanno visto in altre feste straniere, dicono gran bene è il lungometraggio del fratello documentarista di Walter Salles - il venditore di colore locale brasiliano ’con denuncia e con messaggio’ - sul maggiordomo italiano di casa Salles. Vedremo. Insomma, non c’è da scialare. La superfluità di questa festa o festival di cui tanti hanno discusso per la rivalità con Venezia quando Veltroni e Bettini ebbero la grande idea di un festival romano perfettamente in linea con la loro antica convinzione dell’intrattenere per regnare, non poteva venir dimostrata meglio che da questo programma, e francamente non invidiamo chi ha dovuto fare le selezioni e trovare i film. Ci sono troppi festival in giro - gli assessori alla Cultura, una delle più gravi piaghe della nazione non sanno far altro - ma il tempo delle vacche grasse sembra sul finire, e sarebbe bell’e ora di inventar qualcos’altro di più utile e sostanzioso. La società dello spettacolo non si porta poi così bene, e ci sarebbe bisogno di iniziative motivate e mirate, e più di seminari e convegni e discussioni anche feroci, almeno a sinistra, che non di passerelle, poiché il futuro non si annuncia allegro. La mia prima impressione negativa sul festival di Roma fu appena attenuata da una constatazione: in una società e in una città-capitale in cui un terzo della popolazione, i pensionati, la terza età, ha tutto il tempo libero che vuole, e i giovani vengono tenuti in disparte dal mercato del lavoro ma hanno comunque qualche soldino da spendere, ci sono due pubblici numerosi che a farsi intrattenere sono ben disposti. E infatti le poche volte che ho messo piede all’Auditorium per vedere dei film, fui stupito dalla composizione del pubblico: oltre gli addetti ai lavori, c’erano solo vecchi e giovani, ed era assente la fascia intermedia (e produttiva) della società, gli adulti. Che lavorano anche per le altre due fasce, e la sera non hanno sempre voglia di andare alle feste. Un pubblico c’era, però, e poteva aumentare, anche se i fornitori di spettacolo miravano a dargli alla rinfusa il bello e il brutto e più generalmente il superfluo, senza saper distinguere bene neanche loro tra i vari prodotti. Non so quanto la nuova direzione riuscirà a soddisfare il pubblico, certamente non può soddisfare un pubblico appena appena esigente. E già sulla carta si può stabilire una differenza. La passata gestione si diceva ’di sinistra’ anche se l’etichetta era vacua e innocua: in cosa lo fosse, proprio non si riusciva a capirlo, allo stesso modo in cui non lo si capiva con il governo Prodi. Ma quella nuova è certamente ’di destra’, nel senso di una vuotaggine (se non beceraggine: si vedrà) tutta televisiva e strapaesana. cambiato il governo, gli italiani di destra e di sinistra saranno anche consciamente o inconsciamente tutti ’berlusconiani’, ma resta il fatto che qualche differenza si è pur obbligati a rimarcarla. Se la sinistra si dava gli stessi modelli della destra, non poteva però rinunciare del tutto a una sua, pur sfatta, tradizione perbenista (nella sua variante più furbesca, detta ’buonista’), pena l’assimilazione assoluta. E inoltre, pur sottile, una distinzione permaneva tra due linee e due poteri, che potremmo condensare così: c’erano, a dominare il cinema e non solo, due ’canali’, ’produttori di cultura’: c’erano la Rai e Mediaset, comunque rivali sul mercato della pubblicità. Un duopolio. Oggi la Rai è in mano a Berlusconi, c’è il monopolio, e anche nel cinema c’è una sorta di partito unico, che ha un ’unico progetto di vendita’ delle idee e dei modelli. La concorrenza serve, se si vuol tenere in piedi un mercato, ma questo Berlusconi non l’ha mai capito: la sua cultura è la cultura, il suo mercato è il mercato. La festa di Roma sarà probabilmente la dimostrazione di come, a paese unificato nel peggio, anche le feste della cultura sono destinate a diventare sagre del cocomero o della porchetta. Di male in peggio, e che peggio! Goffredo Fofi