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 2008  ottobre 09 Giovedì calendario

 opinione comune che la crisi finanziaria in corso sia colpa di regole del gioco inadeguate e di regolatori disattenti, soprattutto negli Stati Uniti

 opinione comune che la crisi finanziaria in corso sia colpa di regole del gioco inadeguate e di regolatori disattenti, soprattutto negli Stati Uniti. Molti si esercitano nel proporre nuove regole capaci di evitare il ripetersi di simili crisi. Mi pare un’illusione. Le crisi finanziarie non sono una patologia del capitalismo: sono intrinseche al capitalismo. Pensare che sia possibile, grazie a regole migliori e a regolatori illuminati, eliminare il rischio, e quindi le crisi, è una sciocchezza. Il rischio è l’anima del capitalismo perché il mestiere dell’imprenditore e del banchiere è cercare occasioni rischiose e scommettere sulla propria capacità di vincere. Talvolta si vince, talvolta si perde. Spesso per vincere occorre costruire strategie che, pur non violando le regole, si insinuano fra le norme, fanno arbitraggi fra sistemi regolamentari diversi. Per ogni regola spesso esiste una strategia di investimento capace di aggirarla.  vero che negli Stati Uniti la politica ha corrotto le regole, in particolare sottraendo alla Federal Reserve competenze sulla vigilanza delle banche di investimento. Ma la crisi sarebbe scoppiata lo stesso perché la costruzione di leve finanziarie elevatissime, anziché all’interno delle banche americane, sarebbe avvenuta altrove, in altri Paesi o attraverso strumenti diversi dalle banche come i fondi hedge e con effetti analoghi. E d’altronde in Europa, dove ci vantiamo di avere una governance migliore di quella americana, le banche non sono al riparo dalla crisi. Regole perfette, capaci di eliminare le crisi non esistono: sono esistite solo nell’economia sovietica e si riducono ad una norma semplice, la proibizione della libera impresa. L’esperienza del secolo scorso dimostra che le economie di mercato, nonostante le loro crisi, sono luoghi migliori in cui vivere. E tanto migliori quanto più l’economia è libera. Nonostante le crisi ricorrenti, le economie aperte crescono di più, innovano di più, creano più occasioni di lavoro. Negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti sono cresciuti un punto all’anno più dell’Europa, un guadagno sufficiente per compensare il costo della crisi che non sarà lieve. Se le crisi sono inevitabili, come si possono attenuarne gli effetti sull’economia? Innanzitutto proteggendo il risparmio di chi non vuole partecipare al gioco della finanza e tiene i soldi in banca: questo in Italia è garantito ancor più dopo il decreto del governo. Poi, imparare dalla storia e dalle crisi precedenti. Nel 1929 il mondo fu colpito da uno choc di dimensioni simili a quello odierno: come ha spiegato Alberto Alesina ( Sole-24Ore, 17 settembre) la ragione per cui quello choc si trasformò in una depressione che in alcuni Paesi trascinò con sé la democrazia fu una serie di gravi errori di politica economica: i dazi imposti dal Congresso americano, gli errori della Fed, regole sbagliate introdotte dal presidente Hoover. Alla radice di questa crisi c’è la scarsa capitalizzazione del sistema finanziario. Per uscirne è necessario che nuovo capitale affluisca alle banche: se possibile dai loro azionisti, come è accaduto nei giorni scorsi in Unicredit, altrimenti, in via temporanea, dagli Stati. E poi evitare di riscrivere le regole del gioco sull’onda degli eventi. Ricordiamoci che uno dei fattori che hanno amplificato questa crisi sono le regole cosiddette di Basilea-2, disegnate per rendere più solide le banche. Giavazzi