Enrico Girardi, Corriere della Sera 9/10/2008, pagina 53., 9 ottobre 2008
Corriere della Sera, giovedì 9 ottobre Domenica 18 gennaio 2009 i musicisti del Quartetto Arditti saliranno su altrettanti elicotteri
Corriere della Sera, giovedì 9 ottobre Domenica 18 gennaio 2009 i musicisti del Quartetto Arditti saliranno su altrettanti elicotteri. Qui, oltre naturalmente al pilota che li porterà a spasso nel cielo di Roma, troveranno ciascuno a bordo un operatore video, un tecnico del suono, tre monitor e tre casse spia che diffonderanno il suono prodotto dai tre colleghi. Intanto, in auditorium, altri operatori cattureranno i quattro segnali audio- video e un regista del suono li miscelerà e li diffonderà al pubblico in sala. Ma quale musica produrranno i due violini, la viola e il violoncello dell’Arditti? Una serie di rapidi tremoli emessi secondo fasi temporali discordi ma dialoganti, concepite cioè in modo da esperire momenti preordinati di sincronie e asincronie. Inutile dire che il rumore degli elicotteri in volo è parte integrante della composizione, una sorta di «pedale » ostinato e concreto che contrappunta le fasce strumentali. Così è concepito «Helicopter String Quartet», composizione dedicata «a tutti gli astronauti», probabilmente la più complicata da eseguire che sia stata mai scritta. Come ebbe modo di raccontare l’autore, Karlheinz Stockhausen, l’opera nasce da un sogno: «Vidi l’immagine di elicotteri in volo che producevano una musica diffusa in una piazza piena di pubblico...; la mattina dopo ero già al telefono col capo del Quartetto Arditti, gli unici che potevano ascoltarmi senza darmi del pazzo». L’opera, che costituisce un segmento di «Mercoledì», una delle sette opere del ciclo «Luce», venne infine composta ed eseguita nel 1995 all’Holland Festival e replicata anni dopo a Salisburgo, mentre sarà il pubblico di «Musica per Roma» a poterla ascoltare per la terza – e chissà, ultima? – volta appunto il prossimo gennaio. « scherzo o è follia?», si chiederebbe Verdi. Nulla di tutto ciò. «Helicopter String Quartet» non è in fondo che l’ultimo esito di una vita artistica dedicata alla sperimentazione come quella di Stockhausen. Fu lui il primo a non scrivere più la musica sui pentagrammi ma a inciderla direttamente su nastri magnetici, il primo a utilizzare l’elettronica in modo radicale, il primo a scomporre le orchestre in «gruppi », il primo a fondere suoni acustici ed elettronici, a usare l’informatica musicale in modo sistematico, a dedurre per via strutturale le quasi 30 ore del ciclo «Luce» da un’unica superformula. D’altro canto, non si tirò indietro quando si trattava di affidare la successione degli eventi sonori al caso, come avviene nelle composizioni aleatorie. In tutto questo c’è, eccome, una sorta di feticismo della macchina: nell’immaginario di quanti lo conobbero, Stockhausen, del resto, è sempre raffigurato seduto, le cuffie sulle orecchie, dietro un banco di missaggio lungo metri. Un feticismo della macchina come manifestazione di un atteggiamento che pretende di essere scientifico. E che si esprime altresì nella mania di catalogare enciclopedicamente tutto il reale: i giorni, le ore, le costellazioni, i segni zodiacali, l’origine dei nomi, la natura dei numeri. D’altro canto, come spesso accade in questi casi, tale atteggiamento convive con l’irrazionale, il misterico, l’esoterico, in forme che a volte è difficile non trovare naïf. Fosse artista di second’ordine, lo si catalogherebbe alla voce «sperimentatori un po’ folli»; resta però il fatto che negli ultimi 50 anni si fatica assai a trovare musica più bella della sua. Enrico Girardi