Il Sole-24 Ore 8/10/2008, 8 ottobre 2008
Deposizione di Richard Fuld (Lehamn Brothers) Chi è il responsabile del crack di Lehman Brothers? Per Richard «Dick» Fuld, il banchiere che per 14 anni è stato al timone della banca fino al fallimento del 15 settembre scorso, la colpa è un concetto relativo
Deposizione di Richard Fuld (Lehamn Brothers) Chi è il responsabile del crack di Lehman Brothers? Per Richard «Dick» Fuld, il banchiere che per 14 anni è stato al timone della banca fino al fallimento del 15 settembre scorso, la colpa è un concetto relativo. Chiamato a testimoniare dal Parlamento americano, il banchiere newyorchese (che è stato tra i più pagati del mondo) ha evitato di accollarsi la piena responsabilità. Per lui, la colpa è stata dei giornalisti, degli short seller, degli speculatori senza scrupoli. E infine dell’Amministrazione Bush, Fed e Sec incluse. Certo. «Mi assumo la piena responsabilità per le decisioni che ho preso - ha detto Fuld ai parlamentari della Commissione sul controllo e la riforma dell’amministrazione - Ma tutte le mie decisioni sono state prudenti e appropriate, prese sulla base delle informazioni di cui disponevo». Prima di sottoporsi alle domande dei deputati, a cominciare da quelle di Henry Waxman, il presidente repubblicano della Commissione, Fuld ha letto una memoria dattiloscritta di 7 pagine in cui ha ricostruito le tappe salienti delle ultime settimane di Lehman Brothers: una relazione che più che sciogliere dubbi ha alimentato le domande e i sospetti del Congresso. E questa è una sintesi dell’audizione. Grazie per la sua testimonianza, Mr. Fuld. La prima Domanda riguarda i suoi compensi degli ultimi 8 anni. Nel 2000 lei ha ricevuto più di 52 milioni di dollari; nel 2001 la sua retribuzione è salita a 98 milioni, nel 2005 a 89 milioni e nel 2006 - grazie alla vendita di un grosso pacchetto azionario - ha realizzato più di 100 milioni di dollari. Sono corrette queste cifre? Fuld: Signor Presidente, se questi sono i documenti che vi abbiamo fornito, direi di sì. Ma ricordo la maggior parte del mio compenso era in azioni. E quando abbiamo dichiarato il fallimento, le azioni erano ancora in mio possesso. Ma non le sembra di aver guadagnato troppo, visto che la banca è poi fallita? Fuld: No. Se si guarda alla media annuale, circa 60 milioni di dollari, ero ampiamente nei parametri del settore. E poi il nostro comitato remunerazioni si è sempre preoccupato di garantire l’allineamento tra le retribuzioni dei manager e l’interesse degli azionisti. Chi nominava il comitato? Lei aveva un ruolo? Fuld: Oggi la nomina spetta al comitato governance della banca, ma in passato avevo un ruolo importante. Non crede che sia immorale aver dato una liquidazione di 20 milioni di dollari a due dirigenti che lei aveva licenziato pochi giorni prima del fallimento? Fuld: La cifra è stata giudicata appropriata dal comitato remunerazioni Molti si chiedono se gli investitori debbano avere il diritto di rivalersi contro un’azienda che ha preso decisioni sbagliate per massimizzare il profitto a breve, finendo in bancarotta... Lei che ne pensa? Fuld: Guardi, non sono orgoglioso di aver perso così tanti soldi, ma ritengo che il sistema funzioni e che tutti noi abbiamo agito in buona fede. Ripeto. Non crede che gli investitori abbiano il diritto di recuperare il loro denaro rivalendosi sui bonus milionari pagati al management? Fuld: Non ho avuto liquidazioni milionarie o paracaduti d’oro. E non ho mai venduto le mie azioni Nel 2004 la Sec permise alle banche d’investimenti di aumentare la leva finanziaria. Crede che fosse una decisione appropriata? E lei ha mai fatto pressioni sulla Sec in quel contesto? Fuld: Che io sappia, la banca non ha fatto pressioni. E la questione della leva è stata fraintesa. Esiste una leva lorda e una netta e metà del nostro bilancio veniva da emissioni del Tesoro. Abbiamo fornito un elevato ammontare di liquidità, circa 300 miliardi di dollari, agli investitori istituzionali che possedevano titoli di debito del Tesoro Usa. Mi colpisce il fatto che abbiate finanziato a piene mani membri del Parlamento, tra cui Hillary Clinton. Erano spese di lobbying a carico della banca? Fuld: No, erano fondi prelevati da un fondo autorizzato. Visto quello che è successo come pensa che dovrebbe cambiare il sistema dei controlli? Fuld: Il contesto in cui furono concepite le regole attuali è superato. Allora si scambiavano 10 milioni di azioni al giorno, oggi siamo vicini a 5 miliardi. L’elettronica ha globalizzato il mercato e gli investitori oggi hanno il diritto di indirizzare il loro denaro sulle attività che rendono di più e il denaro si muove velocemente. Per questo ritengo che la regolamentazine nazionale sia superata e credo che serva una regolamentazione a matrice più globale nella sua natura. Mi focalizzerei anche sulle riserve di capitale, chiedendo più capitale sugli asset meno liquidi. E credo che serva una maggiore comprensione del mark-to-market: dà numeri di un tipo in contesti normali e tutt’altri risultati in tempi di crisi. Una riforma delle regole deve partire proprio da questo punto. Passiamo agli ultimi giorni della Lehman. Un’email fra un alto dirigente della banca e il responsabile mondiale dell’investment banking rivela che molti broker erano preoccupati e che sulla banca c’era una percezione estremamente negativa. In particolare, nell’email era scritto: «Tutto il duro lavoro che abbiamo fatto potrebbe sgretolarsi velocemente. I senior manager devono essere meno arroganti e ammettere i gravi errori che sono stati fatti. Non possiamo continuare a dire che siamo grandi e forti e che il mercato non ci capisce». Quando ha letto questa email che cosa ha fatto? Sono curioso di saperlo... Fuld: Mi scusi, ma qual era la data? Il 9 giugno 2008. Ora ricorda? Fuld: Non so...Onestamente no. Glielo dico io che cosa ha fatto. Tre giorni dopo ha licenziato Aaron Allen, il direttore finanziario, e Joseph Gregory, il direttore operativo. Lei non si è assunto nessuna responsabilità. Anzi, finora ha solo attribuito le colpe ad altri. Ora le chiedo: è d’accordo sul fatto che sotto la sua guida la Lehman abbia assunto una leva finanziaria troppo alta? Risponda sì o no. Fuld: Non è facile rispondere. In certi momenti la leva è stata molto elevata, ma quando ho capito che il mercato stava peggiorando la leva è stata ridotta gradualmente. Allora la risposta è no? Fuld: Abbiamo fatto tutto il possibile per ridurre la leva Allora vuol dire che lei si sente la coscienza a posto, che ha fatto tutto ciò che era giusto fare... Fuld: Sì, signore Bene. Ma allora non prova nessun rimorso per aver speso 10 miliardi di riserve di cassa della banca in bonus, stock dividend e stock buy-back, proprio mentre fronteggiavate una tremenda crisi di liquidità? Non si sente in colpa? Fuld: Su questa storia è stata fatta troppa confusione e ora vorrei fare chiarezza. Quei 10 miliardi erano il compenso ricevuto dai nostri dipendenti sulla base di un piano di stock-option con scadenza a 5 anni. Abbiamo dovuto riacquistare sul mercato titoli per lo stesso importo per evitare una diluzione dei nostri azionisti. Non vedo che cosa ho fatto di male... Non sarebbe stato meglio usare quella somma per ridurre il debito, visto che stava diventando insostenibile? Fuld: Eravamo alla fine dell’anno scorso e il problema del debito ancora non esisteva Ma lei non crede che sia un furto il fatto di non rivelare al mercato che un titolo garantito da un mutuo abbia come sottostante un prestito superiore al reale valore della proprietà? E qual era il ruolo di Lehman in questo business? Fuld: Non credo che qualcuno possa intenzionalmente strutturare una cartolarizzazione in questo modo. E per quanto riguarda il ruolo della banca, tutte le cartolarizzazioni sono state organizzate sempre nell’ottica del valore per gli investitori. Quindi vuol dire che non avete mai gonfiato un mutuo o il valore di un mutuo poi cartolarizzato... Fuld: Come posso dirlo? Non guardo mica i mutui uno per uno Il 10 settembre, in una conference call, lei ha rassicurato gli investitori affermando che non c’era necessità di nuovi capitali e che gli asset immobiliari erano adeguatamente valutati. Cinque giorni dopo ha dichiarato la bancarotta: non ritiene di aver ingannato gli investitori? Le ricordo che è sotto giuramento... Fuld: No, non ho ingannato nessuno. Le mie affermazioni erano basate sulle informazioni di cui disponevo Eppure solo il giorno prima, 9 settembre, Lehman aveva bisogno di 5 miliardi di dollari per tenere la barca a galla. Le avevano consigliato di rinunciare alla conference call, ma lei l’ha fatta solo per dire che tutto andava bene... Fuld: vero. Ma quelle erano le informazioni di cui disponevo. E non voglio aggiungere altro. Lei ha detto che ciò che è successo a Lehman poteva accadere alle altre banche di Wall Street. Però è fallito solo lei... Fuld: Se potessi tornare indietro, mi comporterei diversamente sul business dei mutui e sull’immobiliare commerciale. E in generale su tutte le operazioni a leva. Ma se l’avessi fatto allora, sarei stato attaccato e trattato come un folle: è facile giudicarmi ora. Il mio errore è stato pensare che la crisi dei mutui era limitata al settore residenziale e che il settore commerciale, dove eravamo più esposti, non avrebbe subìto grandi contraccolpi Ha provato a raccogliere capitali nella settimana prima della bancarotta? Fuld: L’ho fatto una, due, tre settimane prima... In retrospettiva, non crede che tutto il boom delle cartolarizzazioni, del credito facile, della corsa a concedere mutui fuori portata per le famiglie sia stato come un castello di carte destinato a crollare? Fuld: Non sono sicuro se sia stato un castello di carte Lei ritene giusto che Aig sia stata salvata dal Governo e Lehman no? Fuld: Bè, chiaramente avrei voluto essere salvato anch’io. Certo ancora non mi spiego perché siamo stati gli unici a non essere salvati. E ciò che mi colpisce è che il venerdì prima del fallimento, Lehman e Merrill Lynch erano nelle stesse condizioni: loro la domenica hanno accettato la fusione con Bank of America, noi siamo falliti perché la trattativa con Barclays non si è chiusa. Mr. Fuld, in un memo interno lei parla con entusiasmo di una cena con il segretario al Tesoro Henry Paulson nell’aprile scorso. vero? Fuld: Credo proprio di sì, ma non sono certo che a cena fossimo solo noi due. Ma si incontrava con Paulson regolarmente? Fuld: Abbiamo avuto diverse conversazioni. Nel memo lei dice che Paulson era entusiasta della banca e soprattutto del modo in cui raccoglieva capitali. Crede che Paulson l’abbia ingannata? Fuld: Mi scusi, ma credo che...non so cosa intende... Le chiedo se si sente ingannato? Fuld: No, non credo Paulson mi abbia ingannato Allora è lei che ha sbagliato? Fuld: Non lo so. Però posso dirle che mi sveglio ogni notte chiedendomi che cosa avrei dovuto fare di diverso, dove ho sbagliato. E so per certo che per tutto il resto della mia vita, a prescindere da quello che accadrà, avrò il rimorso e il dolore per ciò che è successo.