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 2008  ottobre 08 Mercoledì calendario

Corriere della Sera, mercoledì 8 ottobre Tutta colpa della nonna: nel bene come nel male. Se per Metternich Alessandro I era un pazzo che doveva essere assecondato; se le crisi mistiche che lo colpivano lo portavano alternativamente ad ammirare il genio di Napoleone o a convincersi della propria missione divina contro «l’oppressore d’Europa »; se dopo aver sconfitto la Grande Armée Alessandro I inscenò la propria morte a Taganrog il 1˚ dicembre 1825 per potersi ritirare in eremitaggio diventando monaco in Siberia, come racconta Lev Tolstoj nelle «Memorie postume dello starets Fëdor Kuzmìc», se insomma lo zar, divenuto dopo il congresso di Vienna il sovrano più potente del mondo era anche il più fragile, la colpa era della nonna, la terribile Caterina II

Corriere della Sera, mercoledì 8 ottobre Tutta colpa della nonna: nel bene come nel male. Se per Metternich Alessandro I era un pazzo che doveva essere assecondato; se le crisi mistiche che lo colpivano lo portavano alternativamente ad ammirare il genio di Napoleone o a convincersi della propria missione divina contro «l’oppressore d’Europa »; se dopo aver sconfitto la Grande Armée Alessandro I inscenò la propria morte a Taganrog il 1˚ dicembre 1825 per potersi ritirare in eremitaggio diventando monaco in Siberia, come racconta Lev Tolstoj nelle «Memorie postume dello starets Fëdor Kuzmìc», se insomma lo zar, divenuto dopo il congresso di Vienna il sovrano più potente del mondo era anche il più fragile, la colpa era della nonna, la terribile Caterina II. Sophie Auguste Friederike von Anhalt-Zerbst, arrivata in Russia dalla Germania a 14 anni per sposare il nipote di Pietro il grande, era un tipo dai modi spicci: aveva fatto strangolare il marito Paolo III attraverso un colpo di stato organizzato con il proprio amante, Grigorii Orlov (il primo di molti sempre più giovani di lei) e poi si era proclamata imperatrice. Nulla di strano, dunque, se il figlio, divenuto zar con il nome di Paolo I, coltivò un odio feroce verso la madre e se quell’uomo spaventato e risentito, dopo cinque anni di governo debole, fu a sua volta assassinato da un complotto di corte. A quel punto, scavalcando i cadaveri del padre e del nonno, sul trono dovette salire Alexandr Pavlovich, alias Alessandro I, nipote favorito, ma già tarato, di Caterina. A questa Virago, però, Alessandro I non doveva solo la debolezza dei maschi di famiglia, ma anche il palazzo dell’Ermitage e le strepitose raccolte d’arte che conteneva fra le quali spiccava la collezione di gemme incise composta da ben 10 mila pezzi antichi e 34 mila copie e calchi. Caterina ammetteva di avere la «febbre da cammeo», «una malattia infettiva come l’itterizia», e in una lettera al barone Friedrich Melchior von Grimm, scrisse orgogliosa che «tutte le altre collezioni in Europa sono un gioco da ragazzi in confronto con la nostra!». Di quella collezione tutti sapevano, specialmente le teste coronate francesi che, prima di cadere con la Rivoluzione e svendere le proprie opere d’arte alla zarina, si contendevano i cammei come titoli di nobiltà. Poiché i più antichi risalivano all’antico Egitto e alle fastose corti dell’Asia Minore (Alessandria era la capitale della glittica in epoca ellenistica), essi rappresentavano un legame diretto con i grandi sovrani del passato, da Alessandro Magno giù giù fino agli imperatori romani (sotto il regno di Augusto la manifattura dei cammei raggiunse il suo momento aureo), a Federico II di Svevia o a Lorenzo il Magnifico che ne furono grandi collezionisti tanto che nel Rinascimento l’arte della glittica era così perfezionata che era quasi impossibile distinguere i pezzi antichi da quelli moderni riproducenti temi classici. Ma non solo: dai tempi degli Assiri e dei Babilonesi fino a tutto il Cinquecento, alle pietre veniva associato anche un potere magico e taumaturgico. Quando Giuseppina Beauharnais, pur oberata di debiti, regalò ad Alessandro I il cammeo Gonzaga donatole da Napoleone, sapeva dunque di regalare allo zar la magia della grande storia d’Europa: un dono strepitoso, con patenti di nobiltà quant’altri mai. Che cosa voleva l’affascinante Giuseppina dal vincitore del suo ex marito? Lo zar le concesse di restare in possesso di gran parte dei beni e delle proprietà, ma forse c’era qualcosa di più. Lei che era nata nei Caraibi conosceva il misterioso potere delle pietre e forse voleva disfarsi di un oggetto ormai malaugurante: quando Napoleone aveva divorziato da lei per sposare Maria Luisa d’Austria, aveva infatti fatto realizzare delle medaglie commemorative con lo stesso schema del cammeo Gonzaga con il duplice ritratto di sé e della nuova giovane moglie. Quel cammeo, dunque, ricordava a Giuseppina che adesso l’imperatrice era un’altra: bisognava disfarsi di un’immagine che la teneva prigioniera nella sconfitta di ex moglie ed ex sovrana. Se le immagini e le pietre hanno davvero un potere, allora Giuseppina ci indovinò: lo zar finì male, ma il nipote di lei divenne Napoleone III. Francesca Bonazzoli