Giordano Stabile, Tuttoscienze 8/10/2008, pagina I, 8 ottobre 2008
Tuttoscienze, mercoledì 8 ottobre Ma se potesse riavere, per un miracolo, le sue gambe vere, di carne e ossa, le rivorrebbe indietro? «No»
Tuttoscienze, mercoledì 8 ottobre Ma se potesse riavere, per un miracolo, le sue gambe vere, di carne e ossa, le rivorrebbe indietro? «No». La risposta è secca, fredda. Rispecchia il carattere granitico dell’uomo. Hugh Herr è diventato famoso per aver creato le gambe artificiali che fanno volare Oscar Pistorius alla stessa velocità degli atleti integri, ai massimi livelli mondiali. Ma prima ha costruito le sue, di protesi, per la gambe che gli furono amputate fino al polpaccio quando aveva 18 anni e rimase intrappolato per tre giorni in una tormenta di neve sui monti Appalachi. Ora, quei piedi con i quali aveva scalato a 13 anni una parete di granito alta 300 metri, senza corde, chiodi o moschettoni, senza dir niente ai genitori per non essere sgridato, Herr non li rivorrebbe indietro. «Sono meglio le mie protesi. La gente pensa che il corpo umano sia perfetto, non migliorabile. Non è così». Herr, 44 anni, domenica 19 ottobre sarà in Italia per partecipare a BergamoScienza. Scala ancora, a buoni livelli, ma non professionali, perché le ricerche lo impegnano a tempo pieno. Sfrutta tutti i ritagli, sopporta male i ritardatari. E non tollera le parole «impossibile», «limite», «rassegnati». Dopo l’operazione, all’ospedale gli dissero che non avrebbe più potuto arrampicare. «Ho pianto per 24 ore». Poi è passato all’azione. «Mi sono detto: una grossa porzione del tuo corpo è artificiale. una pagina bianca su cui puoi scrivere qualsiasi cosa». Per sostituire le banali protesi che gli avevano fornito all’ospedale, Herr, durante i mesi della riabilitazione, si fabbrica una specie del tutta nuova di marchingegno, concepito più per scalare che per camminare. il primo passo. Una decina di anni dopo, dopo una laurea in medicina e una in ingegneria al Mit di Boston, e un dottorato in biofisica a Harvard, Herr si ritrova a dirigere il «Biomechatronics research group» al Mit. Un team di una ventina di persone, età media 30 anni, rimasto nella semi-oscurità fino all’avvento di Pistorius. «Con le nostre protesi intelligenti abbiamo aiutato migliaia di persone colpite da ictus, paralisi, sclerosi multipla - racconta Herr, un po’ infastidito da questo legame troppo stretto con la celebrità dell’atletica -. Aiutiamo la gente comune. Esplorare i limiti degli atleti ci serve per superare i nostri limiti e fornire soluzioni sempre più avanzate, per far vivere meglio le persone». Neppure le gambe «Cheetah», da «ghepardo», di Pistorius sono un limite. Herr guarda più avanti. «Sono convinto che sia possibile costruire protesi molto più efficienti. Il passo successivo sarà il collegamento al corpo. Non manca molto. Fra un decennio sarà possibile impiantare nei muscoli sensori, che potremmo chiamare ”protesi interne” e che trasporteranno gli impulsi dal cervello alla protesi esterna». Questo sviluppo senza limiti, però, non porterà all’uomo bionico, al cyborg, almeno secondo Herr. «Non stiamo costruendo una nuova specie. Se ci pensa, siamo già oggi pieni di protesi, occhiali, corone dei denti, apparecchi acustici, ginocchia artificiali. Siamo un po’ cyborg, ma una nuova specie, oltre l’uomo, nascerà solo se decideremo di manipolare il nostro codice genetico, il che non mi sembra il caso». In attesa delle protesi collegate ai muscoli, e forse dell’uomo bionico, Herr si concentra sulla risoluzione del maggior difetto delle pur avanzatissime gambe artificiali del «Biomechatronics research group». «Il problema è che le protesi finora concepite sono completamente ”passive”: quando il piede tocca terra, provocano un’andatura innaturale, che costringe l’amputato a consumare il 30% di energia in più rispetto agli altri. Già adesso, però, abbiamo a disposizione una robotica più avanzata e articolazioni artificiali anca-piede mosse da un motore elettrico che possono fornire l’energia sufficiente a compensare questo deficit». Le nuove protesi usate da Herr, anche sulle pareti di granito, sono di questo tipo. Ma non quelle di Pistorius. Herr ha difeso in tribunale il diritto dello sprinter sudafricano a correre alle Olimpiadi, anche se poi la qualificazione ai Giochi è sfuggita all’amico per pochi decimi di secondo. «Ho dimostrato matematicamente che Oscar non ha vantaggi. La Iaaf non aveva fatto bene i calcoli: le ”Cheetah” non riducono lo sforzo richiesto a chi corre e cammina». Costruire protesi che però fanno arrampicare o camminare gli amputati più velocemente degli altri è il vero obbiettivo di Herr, e quello che lo diverte. «Certo, subito dopo sei accusato di barare. Quello che non capiscono è che non esistono persone disabili. La tecnologia è disabile, finché non risolve i problemi. E io ho una passione per la capacità di curare della tecnologia». Giordano Stabile