Malcom Pagani, l’Unità 28/9/2008, pagina 16, 28 settembre 2008
l’Unità, domenica 28 settembre Dietro al grande prato verde non nascono solo speranze. Si fanno i conti, tra i quindicimila della curva
l’Unità, domenica 28 settembre Dietro al grande prato verde non nascono solo speranze. Si fanno i conti, tra i quindicimila della curva. Una voce, una maglietta. Soldi e appartenenze da moltiplicare, a migliaia. Non più l’antico banchetto domenicale con i Borghetti e gli zuccotti ma locali da inaugurare, partite Iva, consuntivi a più zeri. A Roma come a Milano, il tifoso si è industriato. Che il pallone rotoli pericolosamente ai margini di false fidejussioni e bilanci gonfiati, importa poco. Il «materiale» del gruppo è lì anche per quello. Per rimarcare un confine e definire una enclave. Nell’Inghilterra dei club quotati in borsa, quello ufficiale rappresenta un terzo del fatturato complessivo. Merchandising, lo chiamano. blindato da royalties feroci, protetto come un bene primario ed è un business da centinaia di milioni di Euro. Anche alle nostre latitudini, il settore produce ricchezza. Non c’è grande squadra che non abbia il proprio «store». Milan, Inter, Roma, Juventus. Prodotti per tutte le tasche. Bavaglini per neonati, accappatoi e borse da viaggio, acqua di colonia e bottiglie di vino. Denaro da reinvestire. Con un pubblico potenzialmente planetario. Anche i supporters si sono espansi. In principio furono gli Irriducibili. Nati nel 1987 e attenti studiosi delle dinamiche d’Oltremanica, imposero uno stile inglese alla Nord della Lazio, fondarono il marchio «Original Fans» regolarmente registrato, veicolarono il messaggio attraverso una trasmissione radio e una fanzine e infine, nel momento del massimo splendore, giunsero ad occupare la regione con 15 punti vendita in franchising. Tutto finito adesso, per chi pianificò l’allontanamento coatto di Lotito. I rapporti con la Lazio cragnottiana erano stretti e non mancarono critiche e neologismi: «Irriducibili Spa», all’interno del mondo ultrà. Distinguo messi a tacere in fretta, per un irresistibile desiderio di emulazione. Così può capitare che Totti presti la sua immagine senza cachet o imbarazzi indossando la felpa degli «Ultras Romani», Aquilani e De Rossi battezzino la sede con tanto di media al seguito per plaudire in diretta all’evento e William Betti, in arte Spadino, boxeur per diletto e novello imprenditore, presidi uno stand ad hoc alla festa del Pd della scorsa estate, tra gli sguardi incuriositi da uno slogan distante da ogni cripticità: «Odio la guerra, detesto gli eserciti, amo combattere». Ai puristi della mentalità vecchio stampo, i tifosi con lo scontrino rispondono al tono di un radio taxi. «Gli introiti servono per le famiglie dei tesserati, per gli avvocati dei colpiti da Daspo e per le iniziative di beneficenza delle quali, naturalmente, non scrivete mai», afferma secco Marco, ultrà di stanza in curva sud. Discorso chiuso. Il guadagno tout-court non è uno stendardo ecologicamente sostenibile e in certi ambiti, in effetti, non regna. «Noi non giudichiamo ma alla società non abbiamo mai chiesto nulla. Nessun biglietto o aiuto per le coreografie che oggi, tra l’altro, non si possono più fare». racconta una portavoce della curva Andrea Costa, Bologna. «Essere liberi significa anche permettersi il lusso di contestare. Quando il nostro ex presidente Cazzola, annunciò la costruzione di Romilia, uno stadio con centro commerciale a 30 km dalla città, ci opponemmo duramente». Ma i proventi di un mestiere faticoso, necessitano di fantasia. Il giro di soldi è implementato dai biglietti, antico nodo scorsoio tra società e tifo. Ai gruppi venivano offerti a prezzo di favore e i capi del direttivo li rivendevano, operando rincari e confezionando pacchetti capestro per le trasferte. «A Milano, gli affari sono finiti. Si facevano con i biglietti, ora non c’è più trippa per gatti. Dopo l’uccisione di Raciti, il giro di vite è stato spietato e il fatto che un certo tipo di mondo non guadagni più come prima, è una delle ragioni per cui saltano gli equilibri consolidati». Alberto, ex della Fossa Dei Leoni, disciolto e storico gruppo del tifo milanista, sul tema ha le idee chiare. «Quando c’è da mangiare per tutti, nessuno ha interesse a scatenare una guerra. Ma quando della torta non rimangono che le briciole, può nascere il conflitto. Ciò che veniva lasciato distrattamente cadere, diventa vitale». La pax sociale tra tifoserie non più nemiche, garantisce patti di non belligeranza trasversali e presenta prezzi da pagare. «Prima della finale di Champions a Manchester, nel 2005, furono esercitate pressioni da Milan e Juventus affinché non ci fossero incidenti. Una parte della curva accettò il patto. In cambio, ebbe un cospicuo numero di biglietti, rivenduti fuori dalle casse dei gruppi, per mero interesse personale». Viaggiarono a migliaia, pagando più di trecento euro a persona. Poi arrivò il tempo di regolare i conti, La Fdl venne allontanata e lo spazio fu definitivamente conquistato da due accolite già note, «Brigate Rossonere» e «Commandos Tigre» oltre ad un nuovo gruppo, i «Guerrieri Ultras». Secondo il Gip Federica Centonze, che nel maggio del 2007 porta in carcere due dei suoi esponenti più in vista, Lombardi detto «Sandokan» e Diana, soprannominato Marione con accuse che vanno dall’associazione a delinquere alla tentata estorsione, «la costituzione del gruppo non è altro che un pretesto per stabilire una posizione di egemonia che prevede la commissione di una serie indeterminata di delitti anche gravi e che consenta la gestione degli affari, con evidente ritorni di carattere economico, che ruotano attorno allo stadio». Per illuminare il percorso, visto che al Milan nicchiano, si affidano a torce e fumogeni. Il 6 dicembre 2006, Lombardi invia un sms a Diana «Dopo che sono state accese, ma tante, chiamami». Altri fuochi e altre voci emergono in Milan-Torino, poche settimane dopo. Lombardi chiama un altro dei fermati, Pablo Zinguerenke: «Adesso secondo me, se chiedi un incontro al Milan, te lo danno». Ai domiciliari finisce anche il «Barone», Giancarlo Capelli, 60 anni. L’uomo invidiato dal Toffolo degli Irriducibili per la sua abilità. La persona che confessa al laziale di non farcela più per l’accresciuta mole di lavoro e scatena l’ironia del romano: «Ahò ce vorremmo stà noi come voi, nun ce la fate più a contà i soldi(…)». «L’anello di congiunzione tra società e curva - continua Alberto - è da anni il padrone di Brigate Rossonere. Capelli ha ottenuto che alcuni fedelissimi gestissero la sicurezza delle gare del Milan a San Siro. diffidato, ma se vuole andare allo stadio, entra comunque». Su di lui girano strane voci, assordante quella che lo vorrebbe regista occulto della curva azzurra ai mondiali coreani del 2002 e ai successivi europei portoghesi del 2004. Oggi Capelli, in attesa di giudizio, è libero. Il braccio destro di Berlusconi, Adriano Galliani, ha vissuto invece sotto scorta per mesi. Nel 2007 si recò in procura, a Monza, per denunciare indebite pressioni in vista di un altro appuntamento chiave, la finale di Champions di Atene, avversario il Liverpool. Biglietti e favori sollecitati da Lombardi e Capelli con la scusa di non sapere: «Per quanto ancora potremo tenere buoni i ragazzi». Un malcostume indifferente alla geografia. Il Napoli, venne ricattato da esponenti di Ultras ”72 e Blue Tiger. Minacce a De Laurentiis e al dg Marino, «Storpiamo i tuoi figli», bombe carta sul terreno di gioco nel 2006 e cinque arresti. Tra le molte intercettazioni agli atti, una esemplifica il senso della battaglia. Niente di ideologico. «Noi viviamo sui biglietti, noi campiamo di Napoli Calcio», dice un tifoso. Il Napoli ha chiesto 5 milioni di euro di risarcimento danni. Ma c’è anche altro. I parcheggi concessi ai soliti noti che provvedono a rivenderli, l’affaire steward (in Inghilterra sono stati cooptati ex hooligans) e più in generale quel flusso di reciprocità che, nonostante le denunce, scorre al riparo dalle buone intenzioni. Ad un percorso unidirezionale, Carlo Balestri di «Progetto Ultrà», non crede. «Tra la metà degli ”80 e l’inizio dei ”90, alcuni gruppi hanno ottenuto regalìe e benefici dalle società ma c’è sempre stato un percorso di ricerca continua tra le due realtà». A Roma, sponda romanista, gli ultras ricordano Giuseppe Ciarrapico. «Sotto la sua gestione tra il ”91 e il ”93, gli affari prosperarono. C’erano posti sull’aereo della squadra, denaro, biglietti», rammenta Alessio, che allo stadio non mette più piede. Lui, il presidente che davanti alle rimostranze, partiva in dribbling: «Fischi? Non ne ho sentiti. Solo contestazioni di gioia», a distanza di quasi vent’anni, scrolla le spalle. Seduto ai tavolini del suo Bar al centro di Roma, è un fiume senza argini. «Non regalavo biglietti e non pagavo le trasferte a nessuno. Gli unici tagliandi che arrivavano regolarmente a destinazione, erano quelli riservati ai miei predecessori. Me ne occupavo personalmente, anche se non tutti, nei miei confronti, hanno poi dimostrato la stessa eleganza». Attinge a un bicchiere d’acqua, prosegue. «Con i tifosi avrò pranzato al massimo un paio di volte. Gli volevo bene e avevo simpatia per loro ma nel ”91 realizzavo mille miliardi di lire di fatturato e possedevo l’85% delle acque italiane. Le pare che avessi tempo da perdere?». Quando gli chiedi, se le incursioni di Mario Appignani, alias Cavallo Pazzo, che scandirono l’iniziale mandato di Sensi, quelle in cui Appignani invadeva e piovevano multe, riguardassero rubinetti chiusi a seguito della sua dipartita, Ciarrapico accenna un sorriso. Cavallo pazzo era Cavallo pazzo. Impossibile farci un discorso». All’inizio dei ”90, quando la rivalità era accesa, Appignani otteneva scherno in quantità dalla curva avversaria. «Cavallo pazzo/ il campo la tua prateria/ la sud la tua stalla/ Mortadella il tuo stalliere». Mortadella era Fabrizio Caroccia, romanista immortalato nel ”98 in tribuna Vip a Torino tra Moggi e l’allora capo dei designatori arbitrali Baldas. Luciano Nizzola, presidente della Federcalcio, commentando l’episodio si superò nella giustificazione: «Non conosco il signor Mortadella». I laziali smisero di criticare in fretta e seguirono l’esempio. Cragnotti concedeva 800 biglietti gratis a domenica e 25 milioni delle vecchie lire da destinare alle coreografie per le 5 gare più importanti della stagione ma anche Lotito, prima di reagire, cercò sponde e contatti di cui è facile trovar traccia sul web. «Nonostante le restrizioni all’accesso dei tagliandi d’ingresso (resi nominali e non più gestiti, almeno ufficialmente, dai tifosi ndr), non tutti hanno perso il loro potere» ammette Balestri. Refrattario a riflessione manichee, appare anche Lorenzo Contucci, 23 anni trascorsi in curva, avvocato romano e difensore di decine di ultras, diffidati e non. «Se la società ha un buon rapporto con la tifoseria organizzata, ha solo da guadagnare. Sotto questo profilo non mi stupisco degli scambi vicendevoli e soprattutto, non vedo come illegittimo un dialogo tra le parti. molto più pericoloso che non ci sia». proprio qui, che nascono i guai. Malcom Pagani