Rinaldo Gianola, L’unità 7/10/2008, pagina 4, 7 ottobre 2008
Quando il capo di una delle più potenti banche europee entra a sorpresa nelle case degli italiani presentandosi al tg delle 20, nell’ora di massimo ascolto, vuol dire che vive nel terrore
Quando il capo di una delle più potenti banche europee entra a sorpresa nelle case degli italiani presentandosi al tg delle 20, nell’ora di massimo ascolto, vuol dire che vive nel terrore. Se un banchiere come Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, sceglie, come ha fatto pochi giorni fa, di farsi intervistare da Gianni Riotta per tranquillizzare dipendenti e azionisti commette un errore madornale che può essere giustificato solo da due fatti: o Profumo ha un’enorme stima di se stesso tale da fargli perdere di vista le reali dimensioni del problema, o è stato mal consigliato. L’apparizione televisiva di Profumo, banchiere abituato alla riservatezza e al controllo delle parole, ha confermato immediatamente, qualora qualcuno avesse sottovalutato il caso Unicredit, le difficoltà in cui è precipitato uno dei maggiori istituti di credito italiani ed europei. Vittima della speculazione ribassista oppure di un misterioso gangster londinese che ha osato vendere ”allo scoperto” i titoli della banca di piazza Cordusio, Profumo si troverebbe in queste difficoltà, secondo la versione corrente sui grandi giornali, perchè indebitamente attaccato da forze oscure che agiscono sul mercato. Sono giustificazioni parziali che hanno un loro valore in questa congiuntura di Borsa, ma che non riescono affatto a spiegare, tanto per fare un semplice esempio, come mai la capitalizzazione di Borsa di Unicredit sia più che dimezzata in meno di due anni, passando da 100miliardi di euro agli attuali 39 miliardi. Colpa delle vendite ”allo scoperto”? Non è una scusa credibile. Nemmeno quella del complotto. Perchè un banchiere così bravo e famoso, passato dalla Bocconi alla McKinsey fino a diventare per la stampa internazionale «Kaiser Alessandro», avrà certamente appreso come alcuni ritengono la speculazione un po’ il sale dei mercati, che si può soffrire quando è al ribasso, ma non risulta che qualcuno si sia mai allarmato quando il rialzo portava il titolo Unicredit a livelli siderali. C’è qualche cosa di più profondo da ricercare, dunque, se si vuole davvero spiegare la drammatica caduta di Unicredit. Se la banca è finita sotto attacco, e probabilmente qualcuno ha anche pensato a un take over ostile in questa situazione, è perchè il mercato ha percepito la debolezza della banca in questo frangente, una debolezza che deve essere stata segnalata anche dal Governatore Draghi se il consiglio di amministrazione ha deciso di correre ai ripari con un’operazione monstre destinata a rafforzare i coefficienti patrimoniali. Certi operatori di Borsa sono come i cani da caccia: ”sentono” la preda, la stanano fino ad azzannarla. Unicredit si è dimostata, fino a ieri, una preda debole. Vedremo se si rafforzerà con la cura decisa ieri sera. La parabola discendente di Unicredit e del suo leader Profumo, che speriamo sia finita perchè la banca è troppo importante per l’Italia e l’Europa, non è un fatto episodico, momentaneo. Già da più di un anno la banca sembrava aver perso lo smalto, la brillantezza di un tempo. Nei mesi scorsi si era parlato con insistenza di una eccessiva dimestichezza della banca con i derivati - rammentiamo persino una polemica tra il Sole24 Ore e Unicredit -, altri avevano denunciato l’esposizione delle controllate dell’Est europeo verso i prodotti finanziari tossici, in più non è una novità che tra l’amministratore delegato Profumo e le Fondazioni azioniste (Verona, Torino, Carimonte) siano sorte, a più riprese, tensioni su vari temi, compresa la gestione delle ricche partecipazioni finanziarie. Ma c’è un momento in cui la stella di Profumo cessa di brillare. C’è un attimo in cui il mercato e la stampa internazionale hanno preso a guardarlo con altri occhi, molto più severi. Il momento della caduta di Profumo inizia quando Unicredit acquista Capitalia. Se si supera la retorica della grande operazione nazionale, dei laudatores dell’integrazione tra due gruppi creditizi che rafforza l’Italia nel mondo, si vede come proprio quando Unicredit tocca livelli record di capitalizzazione e si posiziona tra i primi nella classifica del credito in Europa, inizia in realtà a indebolirsi. Come mai? Non ci sono risposte certe e conclusive. Ma qualche solida ipotesi si può avanzare. Molti hanno pensato, e agito di conseguenza sul mercato, che l’abbraccio tra Profumo e Cesare Geronzi cementasse un affare di potere più che una fusione bancaria. Molti hanno ritenuto che la filosofia di Profumo della ”creazione del valore”, di una politica tutta proiettata alla tutela dello shareholder value, sparissero all’improvviso dietro un patto di potere. A Profumo tutto l’impero bancario di Unicredit più le rissose province di Capitalia; a Geronzi la guida di Mediobanca, il santuario della finanza tricolore, con vista privilegiata sulle Assicurazioni Generali. Sarà forse un caso ma da quell’abbraccio Profumo ha perso il tocco magico. Pur ricercato, spesso inutilmente, dai salotti delle sciure milanesi, pur apprezzato da giornaliste di costume che ne decantano la coraggiosa scelta del tabarro anzichè del cappotto dei comuni mortali, pur godendo della fama di banchiere progressista (con la moglie, la signora Sabina Ratti già in gara alle primarie dei democrats, frazione Rosy Bindi), Profumo non è più lo stesso, sembra aver perso lo smalto del fuoriclasse. E alcuni ultimi episodi testimoniano di una timidezza sorprendente davanti a partite decisive. Quando Geronzi decide che il sistema di governance duale non va più bene in Mediobanca perchè lui vuole contare di più, Profumo fa filtrare la sua apparente contrarietà, salvo poi ripetere il mantra dell’importante «è creare valore» e infine accettare con pochi ritocchi la restaurazione geronziana. Inoltre l’assenza di Unicredit da una sfida improba come quella di Alitalia, mentre i concorrenti di Intesa SanPaolo ispirati dal «capitalismo temperato» di Bazoli si buttavano a capofitto non senza rischi, è apparsa come un’abdicazione a un salvataggio che interessava il Paese e migliaia di lavoratori. Ma Profumo deve aver ritenuto che Alitalia non era un’occasione per creare valore. Sabato scorso, parlando agli studenti del Collegio di Milano, Profumo ha promesso che lascerà il suo incarico a sessant’anni, oggi ne ha cinquantuno. un segno di ottimismo incoraggiante in questo momento. Bisognerà vedere, però, se i suoi azionisti sono d’accordo. Rinaldo Gianola