Natalia Aspesi, la Repubblica 7/10/2008, pagina 30, 7 ottobre 2008
la Repubblica,martedì 7 ottobre Come sembrano polverosi, lontani, i tempi in cui nel mondo fashion le faide avvenivano tra stilisti grandi firme: erano gelosie, invidie tra primedonne, che si esprimevano in gossip anche feroci (e l´avversario veniva spesso nominato al femminile per simpatica reciproca insinuazione), furto di top model, litigi sugli orari delle sfilate, accuse di scopiazzatura, ricevimenti sempre più sibaritici, giro di telefonate furenti per sapere come mai un nuovo collega cominciava ad avere successo, lettura al microscopio degli articoli sulle sfilate con scenate alle tapine giornaliste, del resto prone, del tipo «perché a quella pazza (un lui naturalmente) dieci righe in più che a me?» con conseguenze funeste tipo ingresso sbarrato a sfilate e feste per le criminali, e addirittura sospensione della pubblicità alle loro testate
la Repubblica,martedì 7 ottobre Come sembrano polverosi, lontani, i tempi in cui nel mondo fashion le faide avvenivano tra stilisti grandi firme: erano gelosie, invidie tra primedonne, che si esprimevano in gossip anche feroci (e l´avversario veniva spesso nominato al femminile per simpatica reciproca insinuazione), furto di top model, litigi sugli orari delle sfilate, accuse di scopiazzatura, ricevimenti sempre più sibaritici, giro di telefonate furenti per sapere come mai un nuovo collega cominciava ad avere successo, lettura al microscopio degli articoli sulle sfilate con scenate alle tapine giornaliste, del resto prone, del tipo «perché a quella pazza (un lui naturalmente) dieci righe in più che a me?» con conseguenze funeste tipo ingresso sbarrato a sfilate e feste per le criminali, e addirittura sospensione della pubblicità alle loro testate. Cose nervose ma alla fine innocue, talvolta meschine ma domestiche, che mandavano in visibilio la piccola, superba e insignificante gang cosmopolita che nella sua transumanza al seguito internazionale delle presentazioni di moda (New York, Londra, Milano, Parigi e altro), viveva i suoi giorni di gloria e potere. Adesso l´inglese Guardian sottolinea il micidiale cambiamento, e titola "Sangue sulla passerella" un articolo che segnala come le sfilate parigine si siano concluse non con i tradizionali baci sulle guance e i brindisi di champagne, ma con una "inaspettata pugnalata alla schiena" che ha sorpreso anche i più cinici tra gli osservatori. La pugnalata è ovviamente quella, raccontata da Repubblica domenica, che è stata inferta con mercantile brutalità alla giovane stilista Alessandra Facchinetti, licenziata alla sua seconda sfilata per quello che ormai non è che un marchio, Valentino, dal padrone, che non ha un solo volto a cui rispondere magari con un pugno, trattandosi di una catena di controllo in cui la maggioranza è di proprietà del fondo di private equity Permira. Ci vorrebbe quindi un vero match di pugilato, per equilibrare l´offesa e l´amarezza della Facchinetti non nuova ai veloci allontanamenti e per calmare in parte l´inquietudine e l´insicurezza di tutti quegli stilisti di talento che lavorano sotto il nome di celebrità della couture morti o spontaneamente ritirati o bruscamente mandati in pensione. Quei nomi, Dior, Yves Saint Laurent, Balenciaga, Lanvin, Kenzo, lo stesso Valentino, acquisiti da potenze industriali, banche, finanziarie, sono diventati marchi per vendere di tutto, dai rossetti agli ombrelli, e la moda ne è il richiamo essenziale: ci sono stilisti che con questi marchi continuano da anni a trionfare, come Karl Lagerfeld per Chanel e per Fendi, altri che hanno fallito, come Alexander McQueen per Givenchy, o come la Facchinetti per Gucci, Moncler, Valentino. Negli ultimi 15 anni l´immenso mondo della moda, che ormai preferisce definirsi lusso, anzi luxury essendo l´inglese la lingua dell´eleganza, è totalmente cambiato, non valgono più le vecchie regole, non sono la creatività, l´originalità, la novità le ragioni di un successo di mercato, il prodotto in sé non basta più, né ha più molto peso l´appoggio della stampa sempre e comunque in delirio, né la complicità e la venerazione di un gruppo di fashion leaders e neppure le famose modelle, non più top, quasi sempre troppo alte, troppo magre e raramente carine, pagate niente e del tutto intercambiabili, ridotte al ruolo disumanizzato e privo di glamour di grucce per abiti. Oggi per guadagnare con la moda c´è bisogno di una montagna di denaro di cui in pochi, vedi Giorgio Armani, che adesso costruisce alberghi, riescono a disporre con i soli loro profitti, evitando finanziamenti esterni. Per altri la competizione diventa impossibile perché per resistere alla globalizzazione bisogna farsi conoscere nei nuovi mercati, i soli ancora affamati di lusso, dove smaniano gli ultraricchi: l´India e la Corea, il Brasile e l´Australia, la Cina e la Russia e adesso anche i nuovi mercati dell´Est. Quando nel 2001 Prada aprì il primo epicentro a New York firmato dall´architetto olandese Rem Koolhaas, i colleghi pensarono a un errore strategico, a uno spreco di denaro, quando ancora esistevano luoghi modesti di vendita chiamati boutique, che in tutto il mondo erano uguali a seconda del marchio: oggi la gara è a attirare i clienti con negozi sempre più originali e grandiosi, firmati da architetti di massima celebrità, a Tokio come a Kuala Lampur, a Los Angeles come a Pechino, perché, come Patrizio Bertelli ha dichiarato al New Yorker tempo fa, «lo shopping ormai è per molta gente una specie di religione dell´era della globalizzazione, una ben definita attività culturale, un nuovo linguaggio, una diversa forma di società, un modo di comunicare oggi molto diffuso». Sino a qualche anno fa bastava inventare una borsa, come la baguette di Fendi, che milioni di donne hanno comprato e molti più milioni solo sognato, per vendere la famosa azienda a un prezzo definito dai colleghi basiti "strabiliante". Per tenere alto il prestigio internazionale dello stesso marchio, il polo del lusso LVMH, (Louis Vuitton, Dior, Moet Chandon, il giornale Les Echos, Fendi e altro) con a capo l´uomo più ricco di Francia Bernard Arnault, solo un anno fa ha dovuto spendere 10 milioni di dollari per creare un evento che comunicasse la massima meraviglia, cioè una sfilata Fendi sulla muraglia cinese. Di fronte ai colossi come Arnaud che con il successo finanziario della Louis Vuitton (3 milioni di euro di fatturato) può aspettare anni perché altre acquisizioni comincino a guadagnare, le aziende meno forti non ce la fanno anche se producono cose molto belle: perché non riescono a farsi conoscere ovunque, perché gli altri sono più vistosi, occupano più luoghi, raggiungono più celebrity: le dive come Nicole Kidman o Gwenet Paltrow per le merci di lusso, le divette come le veline per le merci più correnti ma sempre griffate. Poi ci sono i fondi come quelli che hanno comprato la Valentino: devono rendere conto ai loro azionisti ogni tre mesi, non hanno tempo per investire sul futuro. Tutto il mondo globalizzato del danaro pretende il massimo lusso diventato di massa, e lo vuole pure costoso anche se non di grande qualità, perché sia riservato presumibilmente a pochi (milioni di persone). Ci sono in questo periodo difficoltà negli Stati Uniti, in Inghilterra, ovviamente in Italia, ma come dicono gli esperti, oggi "il trend è in crescita" dove sino a 15 anni fa non si conosceva neppure l´esistenza dell´alta moda e dei grandi marchi. Ma intanto la pugnalata alle spalle degli azionisti che sul lusso Valentino vogliono subito far cassa, all´umiliata Facchinetti, preoccupa molto tanti altri creativi che come lei sono costretti a vivere non alla giornata ma alla sfilata. A soffrire, a lavorare senza sosta, a temere per il futuro, a sentirsi preda di una moda cannibale. In più sanno che a differenza di chi li ha preceduti o di chi ancora brilla come un ineasausto Re Sole, loro non saranno mai divi. Come lo è tuttora Giorgio Armani: anni fa per il matrimonio di Edoardo Ponti, figlio di Sophia Loren, lo stilista andò a Budapest, dove non c´era ancora una sua boutique, dove addirittura non erano in vendita da nessuna parte neppure i suoi jeans. Eppure la gente lo riconosceva, e lo fermava per strada, e gli chiedeva l´autografo come a una star. I nuovi stilisti che dovrebbero arricchire i marchi non hanno un volto, non sono conosciuti, non sono nessuno al di fuori della piccola élite insignificante del settore. Non diventeranno mai popolari, non saranno divi da autografo. E c´è chi tra loro, non ancora quarantenne, pensa di lasciare, di dedicarsi alla grafica, di darsi alla coltivazione di fiori rari, di andare prematuramente in pensione. Natalia Aspesi