Luca Ricolfi, La Stampa 4/10/2008, pagina 1, 4 ottobre 2008
La Stampa, sabato 4 ottobre A prima vista, quella di ieri dovrebbe essere ricordata come una vittoria storica per i fautori del federalismo: il Consiglio dei ministri, infatti, ha dato il via libera definitivo al relativo disegno di legge delega, ossia all’ultima versione della «bozza Calderoli»
La Stampa, sabato 4 ottobre A prima vista, quella di ieri dovrebbe essere ricordata come una vittoria storica per i fautori del federalismo: il Consiglio dei ministri, infatti, ha dato il via libera definitivo al relativo disegno di legge delega, ossia all’ultima versione della «bozza Calderoli». Se tutto andrà per il verso giusto il federalismo sarà legge entro Natale, poi comincerà la pioggia dei decreti delegati (che dovrebbero essere completati entro due anni), infine - a partire dal 1° gennaio 2011 - prenderà avvio una lunga fase di rodaggio e di messa a punto, che dovrebbe concludersi fra il 2015 e il 2020. A ben guardare, tuttavia, non si può escludere che, fra una decina di anni, quella «vittoria storica» ci appaia piuttosto come una vittoria di Pirro, o addirittura come una beffa. Naturalmente spero di sbagliarmi, ma allo stato attuale ci sono almeno due ragioni che mi inducono al pessimismo. La prima è che proprio le vicende dell’ultima settimana, che hanno convinto Regioni, Province e Comuni (e persino una parte dell’opposizione) a sostenere la bozza Calderoli, sono un pessimo biglietto da visita per il decollo di un progetto federale serio. Nel volgere di pochissimi giorni abbiamo assistito a un’incredibile sequenza di «erogazioni» o promesse di fondi: erogazioni al Comune di Catania, mandato in dissesto da anni di centro-destra; erogazioni al Comune di Roma, mandato in dissesto da anni di centro-sinistra. Erogazioni alla sanità laziale, sfasciata da Storace e (a giudizio del governo) ben poco raddrizzata dal governatore-commissario Marrazzo; erogazioni ai Comuni prima vessati dalla Finanziaria e poi miracolati dal governo. naturale che gli elettori, e in particolare quelli del Nord, si chiedano: come possiamo aver fiducia nel federalismo se il governo che lo sostiene si mostra così arrendevole con chi ha dissipato il denaro pubblico? Che fine hanno fatto le belle parole sul principio di «responsabilità», sui politici che devono pagare i loro errori? Domande non dissimili a quelle che, proprio in questi giorni, si fanno gli amministratori che hanno i bilanci in ordine: che senso ha risparmiare e razionalizzare se poi il governo è sempre pronto a ripianare i debiti frutto di cattive gestioni? Ma c’è anche una seconda ragione per cui, pur avendo il massimo della simpatia per il federalismo, sono pessimista sui frutti che potrà dare: ho letto attentamente la bozza Calderoli, e credo di aver capito perché il ministro è riuscito nel miracolo di convincere un po’ tutti, compresi coloro che - sulla carta - avrebbero tutto da perdere dal federalismo. La ragione per cui la bozza Calderoli piace anche ai politici dei territori meno efficienti (primi fra tutti quelli delle regioni meridionali) è che essa ha buone probabilità di aumentare - e non diminuire, come ingenuamente pensano gli elettori della Lega - le risorse a loro disposizione. Perché? Perché molte Regioni meridionali sono sì inefficienti, ma non in quanto ricevono troppe risorse, bensì perché utilizzano malissimo le risorse che ricevono. Quindi per esse il passaggio dalla spesa storica ai costi standard implica un aumento delle risorse nonostante finora abbiano dimostrato di non saperle usare. Per essere chiaro faccio un esempio. La Regione A (in genere la Lombardia, o il Veneto) riceve 100 e produce 100, la Regione X (una tipica regione del Sud) riceve 90 ma produce 50: il federalismo le conviene perché con il criterio del costo standard le farà arrivare 100 (anziché 90), senza tuttavia imporle di produrre 100 come la regione A. Ecco perché la scelta della Regione modello è cruciale: se anziché la Regione A si sceglie la Regione B, che è un po’ meno efficiente, il federalismo diventa addirittura una pacchia per le Regioni sprecone. Vediamo perché, di nuovo con un esempio. La Regione B (tipicamente l’Emilia, o la Toscana) produce 100 come la regione A ma spende 110: a questo punto il costo standard è salito a 110 e la Regione X, inefficiente ma sottofinanziata, riceverà 110 (anziché 90), con un «guadagno» rispetto alla spesa storica che è salito da 10 a 20. Nella bozza Calderoli non vi è nulla che garantisca che il rifinanziamento delle Regioni sprecone ma sottofinanziate avvenga solo dopo apprezzabili e documentati aumenti di efficienza. Di qui l’entusiasmo dei territori inefficienti per il federalismo, e la loro opposizione a quanti (ad esempio il ministro Sacconi) si preoccupano che la Regione modello sia la Regione A e non la Regione B. Le simulazioni mostrano che se, come probabile, i ministri del rigore saranno sopraffatti, il federalismo comporterà un aumento anziché una diminuzione della spesa pubblica. Ma non è tutto. Nella bozza Calderoli, e più in generale nelle discussioni sul federalismo, si parla di capacità fiscale nonché del dovere dei territori forti (ad alta capacità fiscale) di «aiutare» i territori deboli (a bassa capacità fiscale). C’è un piccolo problema, però: non si chiarisce mai se per capacità fiscale si intende il gettito potenziale di un territorio oppure il suo gettito effettivo. Il primo dipende solo da quanto si guadagna, il secondo anche da quanto si evade. Se le Regioni inefficienti hanno anche un livello di evasione fiscale molto maggiore delle Regioni efficienti, che cosa garantisce che la «solidarietà» dei territori forti non sia chiamata a coprire anche l’eccesso di evasione fiscale di quelli deboli? Di nuovo, allo stato non si vede alcun meccanismo che induca i territori ad alta evasione fiscale a non pesare oltre il giusto sui territori più virtuosi. Ed è possibile che anche questa assenza di meccanismi sanzionatori contribuisca a rendere il federalismo accettabile ai territori più deboli, nonché a neutralizzare un’opposizione spesso prigioniera di una visione distorta del dovere della solidarietà. Ripeto, spero di sbagliarmi, e mi auguro che Tremonti, Sacconi e Brunetta - almeno in futuro - sappiano resistere alle gigantesche pressioni del partito della spesa. Ma resto pessimista, perché constato che la diga governativa è fragile, il federalismo emendato e annacquato ha ricompattato la casta, e la Lega - partito di popolo, ma anche di sindaci, ministri e sottosegretari - ormai ne è divenuta parte integrante. Probabilmente, dopo il referendum che ha abolito la devolution, Bossi ha capito che se il federalismo è vero non può passare. E se deve passare, ahimé, non può essere vero. Luca Ricolfi