Gabriel Bertinetto, l’Unità 2/10/2008, pagina 13, 2 ottobre 2008
L’immigrato polacco, pronto a riparare i rubinetti del bagno di casa per un compenso largamente inferiore alle tariffe degli idraulici indigeni, era una figura retorica
L’immigrato polacco, pronto a riparare i rubinetti del bagno di casa per un compenso largamente inferiore alle tariffe degli idraulici indigeni, era una figura retorica. Uno spauracchio agitato dagli euroscettici in Francia nel 2005 per attrarre facili consensi di origine xenofoba nella propaganda referendaria per il no alla Costituzione europea. Quel fantasma ha però centinaia di migliaia di connazionali in carne ed ossa, che vivono e lavorano al di là della Manica. Fanno i muratori, i commessi o i camerieri, e sono personaggi così poco immaginari, che nel momento in cui decidono di fare le valigie e tornare in patria, nei cantieri edili di Londra si diffonde il panico. Come faremo a costruire gli stadi per le Olimpiadi del 2012? Le agenzie responsabili dei lavori hanno lanciato un doppio allarme. Uno ha a che fare con la crisi finanziaria internazionale ed è la «quasi impossibilità» di ottenere un prestito dalle banche private in questo momento, denuncia John Armit, presidente della Olympic Delivery Authority. L’altro è l’esodo massiccio degli operai polacchi, che costringerà a spendere 20 milioni di sterline (oltre 25 milioni di euro) per riqualificare la manodopera locale destinata a sostituirli. Sembra incredibile ma nel giro di quattro anni è cambiato tutto. L’adesione di Varsavia all’Unione europea nel 2004 liberava un potente flusso migratorio dal Paese di Walesa e di Wojtyla oltre confini che di colpo non costituivano più una barriera. Lo stesso accadeva negli altri Paesi che aderivano alla Ue contemporaneamente alla Polonia. Dalla Romania ad esempio cresceva ulteriormente il numero di persone dirette in Italia. I polacchi prediligevano il Regno Unito e l’Eire. Le statistiche ufficiali parlano di un milione di cittadini est-europei approdati sulle sponde inglesi in cerca di lavoro a partire dal 2004. Polacchi nella stragrande maggioranza. Stando ad un rapporto dell’«Institute for public policy research», metà di loro hanno già ripreso la via di casa. Uno tsunami umano che ha acquistato velocità negli ultimi mesi. Se fra il 2004 e il 2006 due milioni di polacchi erano espatriati in cerca di fortuna (compresi gli 800mila andati in Gran Bretagna) la ragione era molto semplice: sfuggire alla disoccupazione, cercare impieghi meglio remunerati. Entrambe quelle motivazioni sono rapidamente venute meno. Nel 2003 il 20% dei polacchi non trovava lavoro nel proprio Paese, e chi un impiego l’aveva era insoddisfatto della paga. Uno di questi era Raf Zurmanowicz, che nel 2005 scelse di dare un taglio netto alla precarietà e si imbarcò per l’Inghilterra. Recentemente Raf è tornato a vivere vicino a Varsavia. «Quando emigrai -racconta- un muratore qui prendeva 5 o 6 zloty all’ora. Oggi si arriva fino a 100». A Londra Raf coabitava con la fidanzata Monika Tezycka, che ricorda gli sforzi fatti da entrambi per risparmiare denaro. «Oggi però -spiega Monika- i soldi che metti da parte nel Regno Unito valgono sempre di meno». Quattro anni fa una sterlina equivaleva a 7 zloty, oggi a poco più di 4. Quanto alla disoccupazione, i grafici ne mostrano il costante vertiginoso calo. Prodigioso il balzo degli ultimi dodici mesi, dal 9,2% al 6,7%. Per molti polacchi il rimpatrio coincide con un salto di qualità esistenziale. Possono finalmente svolgere le mansioni per cui sono qualificati. Pawell Kaczmarczyk, ricercatore del Centro per gli studi sull’immigrazione all’università di Varsavia: «L’ottanta per cento dei miei concittadini che se ne vanno all’estero, hanno almeno il diploma di istruzione secondaria. Il trenta per cento hanno fatto studi universitari. Più che una fuga la chiamerei uno spreco di cervelli». E infatti in Inghilterra ed Irlanda, quelle menti istruite devono rassegnarsi a impastare la calce per tirar su i muri dei palazzi, servire a tavola gli amanti del roastbeef e del té, assistere i clienti nei supermercati. Ne sa qualcosa Ania Tatulinska, 31 anni, laureata in amministrazione industriale, e reduce da tre anni di prestazioni d’ogni tipo in Gran Bretagna: cameriera, balia, pulitrice. tornata a casa, a Torun, nel nord della Polonia, ed è stata subito assunta come specialista in logistica. La conoscenza dell’inglese l’ha avvantaggiata rispetto ai connazionali con il suo stesso livello di preparazione professionale. Non è tutto rose e fiori nel giardino dell’economia polacca. L’impennata delle retribuzioni per il lavoro dipendente (12,8% nell’ultimo anno) si accompagna a un aumento del prodotto interno lordo che nel 2008 supererà il 5%, ma allo stesso tempo spinge in alto i prezzi. Il brusco passaggio da un’inflazione pari al 2,5% nel 2007 all’attuale 4,3% suscita allarme, così come, paradossalmente, preoccupa il potente consolidamento dello zloty, benché gli emigrati lo indichino tra i fattori che li incoraggia a tornare. Lo zloty forte frena le esportazioni, e sale il deficit della bilancia commerciale. Al momento però le autorità pensano addirittura di anticipare di due anni, al 2011, i tempi dell’adesione all’euro. La percezione diffusa di vivere in una società dinamica, ricca di opportunità e di relativo benessere, gonfia il gradimento per il governo del liberale Donald Tusk. Al punto da indurre i media locali a sospettare che il premier convochi elezioni anticipate per capitalizzare margini di consenso tanto cospicui. Tusk smentisce: «Il popolo polacco merita rispetto e non possiamo chiedergli di andare alle urne solo perche qualche indagine demoscopica ci dà per favoriti». Nobili parole, di cui in seguito Tusk potrebbe pentirsi, perché anche nella florida Polonia i problemi sono in agguato. Ne è spia il volto scuro esibito dal ministro del Tesoro Aleksandr Grad dopo un colloquio a Bruxelles con il commissario europeo alla Concorrenza, Neelie Kroes. A giorni la Ue deciderà se gli aiuti governativi ai gloriosi ma obsoleti cantieri navali di Danzica e Stettino siano legali. Si profila un verdetto negativo, che costringerebbe le compagnie a restituire due miliardi in euro di sovvenzioni statali ricevute dopo il 2004. Sarebbe la bancarotta. Decine di migliaia di persone perderebbero il posto. E chissà, forse una parte di loro chiederà agli amici tornati da Londra Edinburgo e Dublino a chi eventualmente rivolgersi in quei luoghi qualora decidessero di tentare a loro volta l’avventura oltre frontiera. Gabriel Bertinetto