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 2008  ottobre 02 Giovedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

NEW YORK – «Questo è fascismo» protesta Lew Rockwell, studioso del Mises Institute, un centro di ricerche liberista. «Il piano Paulson ha poco a che fare col capitalismo, ma non è nemmeno socialista: ci porta verso un corporativismo alla Mussolini». Il Duce torna anche nei commenti dei siti Dealbreaker (il negoziatore) e Nakedcapitalism
(capitalismo a nudo) alla notizia che alti funzionari del Tesoro hanno avuto nei giorni scorsi una «conference call» coi rappresentanti di un gruppo selezionato di banche. Nella conversazione riservata gli uomini di Paulson avrebbero detto, tra l’altro, che lo scaglionamento dei 700 miliardi di dollari del salvataggio in tre «tranche» è una pura formalità, che il Tesoro si terrà comunque le mani libere nella definizione del prezzo di acquisto di titoli «tossici» che verranno ritirati dal mercato, che i «tetti» ai compensi dei «top manager» sono più formali che sostanziali, visto che non riguardano i contratti in essere, ma solo quelli futuri. «Fascismo, corporativismo sottotraccia» tuonano i siti che recitano la parte dei cani da guardia dei mercati finanziari.
Ma, pur con tutti questi mal di pancia e l’emergere di proposte alternative a destra come a sinistra, il piano Paulson ha ripreso il suo percorso, è stato integrato con nuove garanzie per i depositanti ed entro fine settimana potrebbe diventare legge. Eppure i progetti di riforma continuano a moltiplicarsi: proposte che spesso prescindono dagli schieramenti e che vengono discusse con passione. Perché? Perché è diffusa la sensazione che la legge che si sta varando sia solo un maxicerotto. Dopo il voto del 4 novembre il nuovo Congresso dovrà intervenire su altri punti cruciali della crisi.
Ancora ieri manager del Soros Fund si aggiravano per la Camera spiegando ai deputati la proposta del loro fondatore. Il celebre finanziere democratico George Soros da giorni sostiene che, se si vogliono fare le cose con trasparenza e rispettando il contribuente, è meglio ricapitalizzare le banche entrando nel loro capitale piuttosto che acquistare da loro obbligazioni di cui non si conosce il valore reale. Tesi simili a quelle sostenute, ad esempio, da un repubblicano «doc» come Glen Hubbard, capo della Business School della Columbia University ed ex capo dei consiglieri economici di Bush, o dal professor Zingales dell’università di Chicago.
Soros, però, pone anche il problema di un intervento a sostegno delle famiglie che non riescono a pagare il mutuo. Non lo chiede solo per riequilibrare in senso «sociale» la manovra di salvataggio dei mercati finanziari, come fa, tra gli altri, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, ma perché ritiene che l’acquisto di obbligazioni da parte del Tesoro dia sollievo alle banche senza, però, affrontare l’altro grosso nodo di questa crisi: il continuo calo del prezzo delle case che depaupera le famiglie. E’ questo il problema cruciale anche secondo Nouriel Roubini, l’economista soprannominato dal New York Times «Mr Doom» (mister disastro), ma che tutti ascoltano con grande attenzione perché le sue più cupe previsioni si sono fin qui puntualmente avverate. Il suo piano in dieci punti per limitare i danni della recessione e impedire un vero «meltdown» prevede, tra l’altro, la creazione di un organismo in puro stile «New Deal» che acquisti i mutui dalle banche e ne rinegozi le clausole con le famiglie che, a quel punto, diventerebbero debitori del Tesoro. Un piano ben congegnato ma che, dicono cinicamente gli esperti del Congresso, non passerà: «Dieci punti, sette di troppo rispetto a quello che un politico può spiegare in tv».
Massimo Gaggi
DIARIO
della
CRISI