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 2008  ottobre 01 Mercoledì calendario

MARIO CALABRESI

dal nostro corrispondente
New York - Tre campagne elettorali e due nuovi partiti. E´ stata questa la miscela esplosiva che ha affondato il piano di salvataggio delle banche di George Bush. Da questo intreccio esplosivo bisognerà ripartire cercando di conquistare dodici deputati repubblicani e costruire una maggioranza che, prima della fine della settimana e della legislatura, restituisca l´onore al Congresso e un minimo di stabilità ai mercati.
Perché l´America non è attraversata soltanto dalla campagna per la Casa Bianca e da quella per l´elezione di 475 deputati. A complicare le cose si è aperta anche una terza partita, quella per la leadership repubblicana del futuro: con la fine del mandato di George Bush si chiude un´era, quella reaganiana e neoconservatrice. John McCain è lontano dalle posizioni tradizionali assunte dal partito nell´ultimo decennio e, pensando ad una sua sconfitta, in molti guardano già al 2012. Tra questi c´è Newt Gingrich, autore del «Manifesto per l´America» con cui i repubblicani conquistarono la maggioranza al Congresso nel 1994.
Si racconta che punti alla ricostruzione di una leadership autenticamente conservatrice e pensi ad una sua candidatura alla Casa Bianca tra quattro anni. Quale miglior occasione per distinguersi che l´opposizione ad un provvedimento che la base repubblicana giudica un tradimento del libero mercato e una deviazione verso il socialismo? Così Gingrich la settimana scorsa ha cominciato a criticare sistematicamente il Piano Paulson e McCain: «Non so come possa pensare di votarlo e poi avere la faccia per andare in giro a dire che è per il vero cambiamento ed è il candidato della riforma». Prima del voto, lunedì mattina, avrebbe contattato una serie di deputati e li avrebbe aizzati sostenendo che l´accordo era «orrendo»: «E´ la fine della democrazia americana, è socialismo».
La sua predicazione, come quella degli «orgogliosi distruttori» come il Washington Post ha ribattezzato i leader della rivolta repubblicana, ha fatto breccia tra chi vinse il seggio nel 2006 per un soffio e tra le matricole del Congresso che, dopo solo due anni di vita parlamentare e in vista della prima riconferma, sono terrorizzati da una bocciatura da parte degli elettori. Molto più calmi e sereni quelli che non hanno più nulla da perdere: se il 67 per cento dei deputati repubblicani ha votato contro il provvedimento, la percentuale scende al 18 per cento tra coloro i quali hanno deciso di non ricandidarsi. E´ stata la paura di perdere il posto il collante di una nuova maggioranza. Una paura che lunedì ha dato vita a due nuovi partiti, costituiti dalle frange estreme repubblicane e democratiche.
Due partiti che hanno un radicamento geografico ben preciso: tutta l´area del West degli Stati Uniti, dal Texas al Nevada passando per Arizona e Colorado, terre dove l´idea dell´intervento pubblico nell´economia e nella finanza è vista come qualcosa di diabolico e la fascia delle Grandi Pianure che hanno il cuore in Kansas e Nebraska. A questa cartina dell´America che non accetta l´idea che le tasse dei cittadini servano a salvare Wall Street vanno aggiunte altre due zone. La prima, che si disegna colorando i collegi dei deputati che hanno detto no, illumina un percorso che tocca esattamente tutte le aree colpite dalla crisi industriale e dei mutui: si vede il malcontento degli elettori di Pennsylvania, Ohio e Michigan, degli operai che hanno perso il lavoro e hanno tempestato i loro rappresentanti di telefonate e mail perché dicessero no. Così come in Florida e California i deputati contrari vengono esattamente dalle zone dove i pignoramenti delle case hanno toccato cifre record e il messaggio spedito a Washington dice che non si possono salvare le banche quando ci si è dimenticati dei cittadini. Infine hanno detto no i democratici di quella parte d´America che è tradizionalmente la più liberale e libertaria: Vermont, New Hampshire e Maine.
Ora è partita una sfida contro il tempo per cercare di sbriciolare questa alleanza, di riconquistare almeno dodici voti prima della fine della settimana. Alla battaglia partecipa innanzitutto George Bush, che ha cancellato ogni appuntamento fino a venerdì e ha ricominciato con le telefonate ai deputati che pensa possano essere ancora sensibili ai suoi richiami. La Casa Bianca però si è rifiutata di fare i nomi di chi è finito nel mirino del presidente, come ha spiegato il portavoce Tony Fratto: «Voglio essere chiaro: non intendiamo rendere noti gli incontri e le chiamate che farà nei prossimi giorni, c´è moltissimo lavoro da fare e l´importante è riuscire a far passare un piano che aiuti l´economia».
Da ieri si sono mobilitati anche i due rivali Barack Obama e John McCain, dopo essersi tenuti alla larga dal piano Paulson ora si rendono conto che è assolutamente necessario approvarlo. Così hanno telefonato al presidente per proporre una serie di modifiche che aiutino a trovare nuovi voti: innanzitutto hanno chiesto di portare da 100 a 250 mila dollari il tetto dei depositi bancari assicurati dall´ente federale che garantisce i risparmiatori.
Questo significa che in caso di fallimento di una banca questa cifra verrà rimborsata dallo Stato ai cittadini e alle piccole imprese. Un modo per dare l´idea che il Congresso si preoccupa anche della gente comune e non solo di Wall Street.
Ma mentre lavorano i pompieri, sono all´opera anche gli «orgogliosi distruttori» che non smettono di predicare: «Non possiamo cambiare idea e - ripeteva ieri mattina su tutte le televisioni il repubblicano della Georgia Tom Price - non possiamo abbandonare i principi di mercato». E a dargli manforte ieri sono scesi in campo tutte le star radiofoniche conservatrici, a partire dal più famoso di tutti, quel Rush Limbaugh che ogni giorno è ascoltato da 20 milioni di persone su 600 emittenti: «Se il governo non riesce a far approvare una legge socialista e le borse crollano allora lasciamole andar giù. Io non voglio dover accettare un piano socialista solo per proteggere il mercato azionario». Nelle prossime 48 ore si prevedono scintille.