Paola Pica, Corriere della Sera 1/10/2008, 1 ottobre 2008
MILANO
ancora guerriglia contro Unicredit in Piazza Affari. Anche ieri, giornata di generalizzati rimbalzi per le banche, nelle sale operative si è riversata una quantità esorbitante di ordini sui titoli della banca di Alessandro Profumo e tutti in una sola direzione: vendere. Una Caporetto alimentata da una girandola di voci incontrollate e senza riscontri, non ultima quella di un ribaltone ai vertici. In allerta la Consob che ha avviato il monitoraggio sui titoli e chiesto alla stessa banca la diffusione di un comunicato. Nella nota, attesa questa mattina prima dell’apertura della Borsa, Unicredit tornerebbe a smentire le ipotesi di un aumento di capitale e le voci di crisi di liquidità, chiarendo lo stato di avanzamento di un progetto di cessione dei crediti cosiddetti di buona qualità. Ma se il tonfo accusato lunedì (-10%) dalla più internazionale tra le aziende di credito italiane – e quella con le più imponenti attività di investment banking ”, non poteva dirsi estraneo al tracollo dei mercati, la debacle di ieri (-12,67% ai minimi storici di 2,598 euro, dopo una raffica di sospensioni al ribasso) si è confrontata il rialzo dei principali concorrenti. In serata, nelle cosiddette contrattazioni After Hours, Unicredit è rimbalzata del 4% sulla scia di alcune dichiarazioni di Profumo. Da Roma, dove si trovava per un convegno Aspen al quale era presente anche il ministro Tremonti, l’amministratore delegato è tornato a rassicurare sullo stato di salute del gruppo, pur astenendosi dal confermare gli obiettivi di fine anno (utile per azione di 0,52 euro) sui quali peseranno «le condizioni di mercato ». «Se guardiamo alla operatività noi siamo tranquilli – ha detto ”. Qualunque cosa succeda nel mondo essendo grandi in Germania e in Centro ed Est Europa, si pensa che noi subiamo l’impatto ». In Unicredit vengono poi escluse le ipotesi di difficoltà di Bank Austria, la controllata col ruolo di subholding delle attività in Est Europa. «Il problema non è la liquidità, ma la percezione», ha ironizzato ieri la Lex Column dell’edizione on-line del Financial Times. «I mercati, come la moda, possono essere volubili. Ma il signor Profumo, che ha voluto giocare con i "grandi ragazzi", viene ora punito con loro». L’unica banca italiana «a rompere lo stampo nazionale per dispiegare le ali ben al di là del suo quartier generale di Milano, realizzando la metà dei suoi ricavi fuori dall’Italia, sta ora pagando il prezzo».
Unicredit non è solo la banca italiana più internazionalizzata e anche la più globalizzata tra i big europei. Le sue attività fuori dal Paese di origine rappresentano oggi oltre il 60% (grafico nella pagina) contro il 16% circa del ’97 alla vigilia della creazione del nuovo gruppo. Gli ultimi anni sono stati di forte internazionalizzazione anche per l’iberico Banco Santander, la cui quota di attività non domestiche tuttavia è ben al di sotto di quella di Unicredit. In terza posizione c’è la Deutsche Bank, poco sopra il 40%, seguita a distanza dalla francese Bnp Paribas, che si attesta poco sotto il 20%. Ma per il Financial Times «la spesa in shopping» di Unicredit «è stata costosa». E l’istituto «si è avventurato laddove altre banche italiane temevano di andare e adesso la loro cautela appare più come autodisciplina ».