Ennio Caretto, Corriere della Sera 1/10/2008, 1 ottobre 2008
WASHINGTON
Jeffrey Miron è uno dei 166 economisti che hanno firmato la lettera al Congresso contro i 700 miliardi di dollari di aiuti pubblici agli istituti finanziari, contribuendo a bloccarli.
Docente a Harvard, libertario in politica e liberista in economia, Miron è contrario per principio a qualsiasi intervento dello Stato sul mercato. « lo statalismo che ha causato la crisi – dichiara ”. inaccettabile che la debbano pagare i contribuenti, la paghino le banche». Secondo l’economista, «se permetteremo al mercato di fare il mercato» la crisi verrà superata entro un anno o poco più, e si eviterà una grande depressione come negli anni Trenta. «Per ridare fiducia agli investitori americani e stranieri – sostiene Miron ”, anziché interferire nella finanza privata, il Congresso e il governo dovrebbero ridurre l’indebitamento pubblico e i deficit del bilancio e degli scambi».
La maggioranza degli operatori di mercato è per i 700 miliardi di dollari, vi accusa di aggravare la crisi per motivi ideologici.
« comodo salvarsi a spese altrui. Ma la verità è che il boom dei mutui subprime, il cui crollo ha provocato la stretta creditizia, è colpa dello Stato. Lo Stato ha creato le due agenzie semigovernative Fannie Mae e Freddie Mac che li hanno finanziati e ne ha garantito il debito.
Le due agenzie non avrebbero rischiato se non fossero state certe della protezione pubblica, e non avrebbero rischiato nemmeno le banche. I mutui subprime sarebbero stati pochissimi ».
Ma il governo e il Congresso non potevano lasciarle fallire, si sarebbe verificato un disastro.
«Perché? In America, una società in bancarotta finisce spesso in amministrazione controllata, non chiude i battenti, diventa proprietà dei creditori, può riprendersi almeno in parte. Il danno va a carico dei vecchi azionisti, è la legge del mercato. Invece di sperperare 700 miliardi di dollari dei contribuenti, che non c’entrano nulla e che sono le vere vittime di questa crisi, lo Stato liquidi la Fannie Mae e la Freddie Mac».
Non provocherebbe altri dissesti?
«La realtà è che altri dissesti sono inevitabili, molti istituti finanziari si sono esposti troppo. Ma è inutile piangere sul latte versato ed è pericoloso fare del terrorismo, come accade adesso nel governo e al Congresso. Ci sono e ci saranno fusioni bancarie, Wall Street si ristrutturerà. Questo non è il bis del crack della Borsa del ’29. Siamo come un paziente che è appena stato operato, avremo una dura convalescenza, ma ci riprenderemo ».
Quindi la Camera ha fatto bene a dire di no ai 700 miliardi? I repubblicani, i più rigidi, non ne risentiranno alle elezioni?
«Non siamo stati solo noi 166 economisti a opporsi al pacchetto del governo, vi era e vi è ostile anche una gran parte del pubblico. I contribuenti hanno tenuto dimostrazioni di protesta, e i repubblicani l’hanno recepito, non vedo perché dovrebbero soffrirne alle urne. Una recessione, non depressione, è inevitabile».
Gli economisti moderati e liberal affermano che la genesi della crisi è da cercare nella deregolamentazione selvaggia dei mercati negli ultimi anni.
«Non sono d’accordo. La regolamentazione non è mai stata una bacchetta magica, anzi è controproducente, e comunque i mercati trovano modo di aggirare le normative troppo rigide».
L’Europa ha invitato l’America ad assumersi le sue responsabilità, ha messo in discussione il vostro modello economico.
«La nostra immagine è scalfita dall’indebitamento nazionale e dai deficit del bilancio e degli scambi. Il rimedio è incentivare in maniera forte il risparmio dei cittadini, che attualmente è zero, ridurre la spesa pubblica e rilanciare gli investimenti con un taglio dell’imposta sul capitale. Il nostro modello è valido, non bisogna lasciarsi depistare dalle presenti difficoltà».
Ennio Caretto