Roberto Volpi, l’Unità 28/9/2008, pagina 26, 28 settembre 2008
l’Unità, domenica 28 settembre Il dato è questo: in Italia bambini, ragazzi e adolescenti fino a 18 anni d’età rappresentano un misero 17% della popolazione, una persona su sei
l’Unità, domenica 28 settembre Il dato è questo: in Italia bambini, ragazzi e adolescenti fino a 18 anni d’età rappresentano un misero 17% della popolazione, una persona su sei. In compenso gli anziani con 65 e più anni hanno superato quota 20%, una persona su cinque. Siamo il paese che detiene i seguenti primati planetari: (a) la più bassa proporzione di bambini e giovani non ancora maggiorenni nella popolazione (b) il maggiore indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra anziani di 65 e più anni e bambini e ragazzi fino a 14 anni d’età: 142 dei primi ogni 100 dei secondi. Bel numero. Siamo una mostruosità demografica di cui non c’è l’eguale nel mondo. Nel complesso dei 27 paesi dell’Unione Europea la proporzione di minorenni nella popolazione è del 20,5% e il rapporto di vecchiaia è attorno a 100. Per avere la stessa proporzione di minorenni che si riscontra in Europa, peraltro l’area del mondo dove questa proporzione è più bassa, l’Italia dovrebbe avere non i dieci milioni scarsi di minorenni che ha ma oltre dodici milioni. E tutto è in peggioramento: si viaggia cioè verso sempre minori contingenti di giovani e maggiori contingenti di anziani. Le previsioni demografiche sono pessime. Tanto che nessuno capisce chi e come terrà in piedi il nostro paese (il primo della lista dei paesi a rischio demografico) di qui a 40-50 anni. E ciò nonostante che forti contingenti d’immigrati, giovani nel pieno degli anni e che mettono al mondo mediamente il doppio dei figli degli italiani, siano arrivati e continuino ad arrivare a darci man forte su questo terreno che si presenta per noi con caratteristiche di drammaticità. Ma una drammaticità non avvertita come tale: non dai governi, che non sono arrivati neppure a sfiorare il problema, non dalla cultura italiana, che invece l’ha ignorato e continua a farlo convinta com’è, almeno nella sua maggioranza, che non ci sia al riguardo problema di sorta. A proposito di cultura, al contrario, appaiono sempre più di frequente saggi che non solo pretendono di dare dignità alla scelta di non fare figli - e fin qui poco da eccepire, ciascuno la pensa come crede - ma di far passare questa scelta come l’unica razionale in una duplice direzione: per consentire alla donna di portare a compimento il processo della sua piena emancipazione e per contrastare il problema su scala planetaria della sovrappopolazione. Sul primo aspetto: è in atto da un po’ d’anni in tutta l’Europa del Nord e continentale una ripresa della fecondità e non risulta che questo vada a scapito della posizione delle donne di quei Paesi. Semmai, il contrario. Quanto alla sovrappopolazione: cinquant’anni fa l’Europa aveva gli stessi abitanti che ha oggi. Se si tolgono gli immigrati, anzi, un bel po’ di meno. L’Africa, per dire, è passata nel frattempo da 200 a 800milioni di abitanti. Dunque, c’entriamo qualcosa noi italiani ed europei con la sovrappopolazione? Non bastasse, ecco scienziati, medici genetisti biologi, straparlare di vite che possono arrivare fino a 120 anni, come se tutto questo avvenisse o potesse avvenire in una sorta di vuoto pneumatico dove puoi ficcare di tutto, anche vite spostate indifferentemente più in là di decenni e decenni. Forse sarebbe il caso che medici biologi e genetisti si interrogassero sui riflessi catastrofici che avrebbe la realizzazione di una tale prospettiva, a maggior ragione in società come quella italiana dove il numero medio dei figli per donna è così scarso da trent’anni a questa parte da portare di per sé, se pure si fosse in presenza di una vita media stazionaria, e nient’affatto crescente com’è invece oggi, a un invecchiamento insopportabile della popolazione. Ma forse non c’è da prestare troppa attenzione ai proclami di tutti costoro: sull’aumento della vita media verificatosi fino ad oggi, e sono le statistiche di mortalità di lungo periodo a parlare un linguaggio inequivocabile, per chi intenda stare ad ascoltarlo, il contributo di medici genetisti e biologi è stato modesto, tanto modesto da sfiorare se non proprio l’inconsistenza certamente la più assoluta marginalità. Roberto Volpi