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 2008  ottobre 06 Lunedì calendario

l’Unità, lunedì 6 ottobre Oltre gli slogan e le bandiere, pulsa un mondo che non smette mai di battere

l’Unità, lunedì 6 ottobre Oltre gli slogan e le bandiere, pulsa un mondo che non smette mai di battere. La nuova frontiera dei tifosi è attiva 24 ore al giorno. La porta è aperta, può entrare chiunque. Trasmissioni radiofoniche, siti, blog, fanzine. Il mare quotidiano ha vastità oceaniche e abissi che risucchiano. Voci, prese di posizione, notizie. Informazione. Controinformazione, soprattutto. Milioni di contatti. Casalinghe, professionisti, autotrasportatori, operai. La formazione di una coscienza collettiva dalle potenzialità indefinite che dubita e smonta le verità ufficiali. Beppe Grillo ha fatto scuola. La catena si autoalimenta e produce pagine non conformi. Ricostruzioni, indagini e suggerimenti. Autoreferenzialità e proclami guerreschi, rabbia e crociate per la giustizia. L’ultima, capace di accomunare le curve di tutta Europa, ha una data, un luogo un nome. Undici novembre 2007, ore 9.17, Autogrill di Badia al Pino, Arezzo: Gabriele Sandri viene ucciso da un colpo di pistola esploso dall’altra parte della carreggiata. A premere il grilletto, senza ragioni apparenti, Luigi Spaccarotella, agente di Ps in forza alla Stradale. I telegiornali trasmettono versioni claudicanti, si parla della morte di un tifoso di calcio «In seguito a scontri tra opposte fazioni», di «alcuni colpi di pistola esplosi in aria» e si assiste a una grottesca conferenza stampa, nella quale il questore aretino Giacobbe elogia l’agente: «Un ottimo elemento che di solito opera benissimo» e l’allora responsabile delle comunicazioni esterne della Polizia, il neopromosso capo della Stradale Roberto Sgalla, (lo stesso delle «ferite pregresse» dei manifestanti nella notte genovese della Diaz) invita i giornalisti a non fare domande. Abbastanza per scatenare una reazione inconsulta. La sospensione del campionato, unica possibilità di evitare rivolte, viene accantonata. un boomerang. A nove mesi dall’omicidio di Filippo Raciti, è ancora guerriglia urbana. Gli assalti al Coni e alle caserme, ebbero un input proprio in seguito all’indignazione via etere ma Paolo Cento, all’epoca sottosegretario alle Finanze nel governo Prodi, preferisce rammentare un altro aspetto: «La vicenda di Sandri fu gestita con notevole intensità disinformativa. Io stesso fui avvertito dalle radio romane che, in quell’occasione, contribuirono in maniera decisiva a ristabilire la verità». Le radio romane e il pallone, 68 trasmissioni figlie di un fenomenale binomio nato con Gianni Elsner alla fine degli anni ”70. Solo a Buenos Aires e Barcellona, qualcosa di simile. Nella capitale, l’ossessione calcistica si ciba di ospiti e palinsesti interamente dedicati alle due principali squadre cittadine. Stornelli e sondaggi, insulti e polemiche. Dietrologie. Intanto, il flusso ininterrotto di parole, telefonate e pause pubblicitarie, movimenta sponsor e denaro. Un giro da molti milioni di Euro a stagione, indotto escluso. Ai microfoni, i nuovi tribuni formati dalla militanza in curva, catechizzano il pubblico. Dalle loro stanzette in condomini anonimi, arrivano ovunque. In centro e in periferia, da Piazza di Spagna a Torre Gaia. Ognuno porta il suo pacchetto di pubblicità e talento, chi è più forte e sa farsi ascoltare, vince. Il re indiscusso del genere si chiama Mario Corsi, detto Marione. Ha superato da poco i cinquanta. Anni interpretati a destra della destra, militanza nei Nar compresa. Oggi, risolti i guai con la giustizia, l’amico di Zeman inviso a Moggi, è una star. Piace, perché «dice cose che altri non hanno il coraggio di dire». Non c’è bar, taxi o palestra in cui, dalle 10 alle 14, non risuoni la sua voce. Per avere «Te la do io Tokyo», la sua invenzione «autogestita», e il folto gruppo di «amici» che lo accompagnano economicamente nell’avventura: ristoratori, negozianti, grossisti, gli editori ingaggiano sfide epiche. Ha anche un sito Corsi, "Marione.net” e fedele al motto, tra una tirata contro Sky e una canzone della spalla Riccardo Angelini, in arte Galopeira, copre lo spazio a 360°. Dalle campagne contro il razzismo, ai casi di cronaca (ospiti recenti, Emmanuel, il 22enne ghanese picchiato a Parma e la signora Patrizia, mamma di Federico Aldrovandi), dagli attacchi alla Saras e a Moratti, passando per la Roma e i suoi mille nemici. Una miscela di umorismo, populismo e giornalismo d’inchiesta che forma consenso e unità al senso del mezzo, lascia indietro i molti epigoni. Sull’emittente rivale, Retesport, oltre a David Rossi, (ex sodale di Marione, ora in rotta) c’è Guido Zappavigna, già leader del Fuan e della Curva Sud che, dalle 21.30 a mezzanotte, insieme a Vittorio Trenta, fondatore dei Cucs (idee politiche agli antipodi) conduce «Lupi nella notte». Tex Willer, Salgari e opposizione al calcio moderno. Tono partecipe e suadente: «Fui tra i primi, negli anni ”90, a inaugurare il fenomeno dei tifosi-conduttori. Il calcio e le persone erano diverse, il tifo più autentico, le radio meno eccessive. Alla lunga non hanno fatto il bene dei tifosi. Fazioni, accuse, veleni. Ci vuole responsabilità. La Roma è solo la più importante tra le cose futili. La gente non smania per discutere di pallone. Interessa comunicare ed essere protagonisti, anche per cinque minuti. Non vi accorgete che non ci si parla più?». Se in alcune radio si tenta di tenere il fuoco distante dalla benzina, in altre si traligna. A ”Powerstation”, ha trovato ospitalità ciò che rimane degli Irriducibili. Nella sede, un’agenzia per modelle adattata per coabitare con le voci ultras, l’editore, Alberto Polifroni, volto storico dell’etere romano, lo stesso che anni fa, indicando la via della virilità alla propria squadra, sublimò l’esortazione in un indimenticabile «La Roma deve tirare fuori i contributi!», ti accoglie informalmente. «Avete visto passare due fighe?». Stupito silenzio. «Ma che ve lo chiedo a fare? Siete due froci». Ride da solo e sparisce in ufficio. «La voce della nord» inizia a mezzogiorno. Ha toni duri nei confronti della società e di Lotito, chiamato «il gestore». «Il sito della Lazio è Ri-di-co-lo… inondatelo di mail. Se l’è fatto a sua immagine e somiglianza il sito, antiestetico». Poco dopo arriva Peppone, Peppe De Vivo, un passato in Lotta Continua e in curva, come capo di «Frangia Ostile». In «Non sarai mai sola», alterna massime a considerazioni filosofiche: «La verità ti annienta». Poi una volta fuori, sulla sua utilitaria condotta a velocità impropria tra i viali di Prati, si sfoga a quattr’occhi. «Fare radio a Roma è una battaglia quotidiana». La guerra vera però, c’è su internet. I tifosi si promettono appuntamenti e lezioni. Minacce e odio, su un mezzo che attraversa un’adolescenza inquieta. Certe rivoluzioni, hanno bisogno di dettare trovare proseliti, formare mentalità, dettare una linea. Ed è proprio nei forum che regalano relativi anonimati ai ragazzi meno consapevoli, nei video di scontri postati con protervia su youtube, tra i portali degli ultras come Tifonet, che alcuni passano il segno. In una discussione si affronta la vicenda dei vigili-sceriffi di Parma e un utente, "Beltinhand", tiene a precisare alcuni concetti: «Personalmente sono contro l’odio verso sta gente di colore del centro Africa… mentre sinceramente, un Rom massacrato a colpi di catene e bastonato come un cane, non mi dispiacerebbe. Peccato che Hitler si sia occupato degli ebrei e non abbastanza di loro». Il messaggio è del primo ottobre ma a nessuno viene in mente di disapprovare. "Hellas 1903" è laconico. «Livornese sporco ebreo». La polizia monitora costantemente i sussulti. Per le curve il momento è delicato. Il nemico, il parassita evocato a qualunque latitudine, è la repressione. Con accenti lontanissimi dal web, eppure non concilianti, sono i giornali dei gruppi ultras, le fanzine, a veicolare il malumore. Claudio si muove sull’A1 al ritmo della sua dea. Autogrill, sigaretta, casello. Bergamo-Roma, andata e ritorno. Sedici ore di pullman per seguire l’Atalanta. In curva, il pluridiffidato "Bocia" è un leader. «Il giornale è nato cinque anni fa per informare le 6.000 persone che frequentano lo stadio. Rappresenta il nostro punto di vista ed è autoprodotto». «Sostieni la curva» ha 14 pagine a colori e nessuno sponsor. Attualità e amarcord. Passione e retorica. «Ti ricordi la tua vecchia sciarpa, quanto caldo teneva? ti ricordi che pioggia scendeva? E noi con le sciarpe tese. Annusa l’aria. Non senti niente che non sia odore di soldi. Sputa la rabbia negli occhi di chi calpesta i ricordi». la migliore fotografia del divario tra la rappresentazione di un mondo in trincea e l’esterno, verso cui, ancora, non si è decisa la completa chiusura. «Lo stato fa più danni delle talpe, chi non va allo stadio fatica a comprenderlo. Piaccia o non piaccia, la curva aggrega giovani da 40 anni. Tentare di eliminarla senza riflettere su questa longevità, è un grave errore di valutazione. Chiedilo a un giocatore, cosa significhi giocare senza la gente. Qui appena si spegne una sigaretta per terra, si mobilitano gli stati generali ma negli anni ”80, gli incidenti erano molto più gravi di adesso». Vengono in mente le sordità reciproche e le parole di Josè Saramago. «Chiaro che siamo in guerra, ed è una guerra di accerchiamento, ognuno di noi assedia l’altro ed è assediato, vogliamo abbattere le mura dell’altro e mantenere le nostre. L’amore verrà quando non ci saranno più barriere. L’amore è la fine dell’assedio». Considerati come un urgente problema di carattere sociale, gli ultras italiani: maestri, avvocati, panettieri, assicuratori, hanno reagito a loro modo. Comunicati, manifestazioni e la creazione di una tv, la prima in Italia. Poche migliaia di euro al mese e da Brescia, via satellite, ogni lunedì sera, «Dodicesimo in campo» irradia le sue verità per un’ora e quaranta minuti. Il segnale arriva fino a Pantelleria. Milva, la conduttrice, fa parte del "Brescia 1911" ma nella trasmissione, «la facciamo gratis e ci rimettiamo del nostro», dà spazio a tutti: «Ci piace il confronto con le istituzioni e con i gruppi avversari. Siamo convinti che senza tutte le parti in causa, non si esca dall’incomunicabilità». Tutte. «Anche gli ultras hanno una parte di responsabilità, non c’è dubbio. Il giorno in cui istituzioni e società saranno disposte ad ammettere le loro, le cose miglioreranno». Un tempo bastava un ciclostile e qualche moneta da cento lire. «La Fanzine nasce dalla pancia della curva. un mezzo diretto per dire la nostra sul mondo della Sampdoria e lo preferiamo ad internet, ricettacolo di ogni ingiuria». Gli Ultras Tito hanno una storia che parte dal ”69, qualche primato per la lunghezza delle bandiere srotolate in mezza Europa e in luogo del loro vecchio simbolo, l’Alex di Arancia Meccanica, l’icona di Franco Gasparri avvolto in una sciarpa, eroe da fotoromanzo e agente di ferro in tanti polizieschi all’italiana. Appropriazione involontaria, s’intende. Un portavoce della «Tito Cucchiaroni» concede: «Uscire dai nostri confini è difficile». Niente incontri guidati nelle scuole, come a Brescia. «Viviamo dinamiche contraddittorie, sarebbe difficile spiegare a un ragazzo, la ragione per cui, magari, la domenica, andiamo a picchiarci». A Bologna, il luogo di ritrovo si chiama «Birretta Rossa». Sulle frequenze di Radio Città del Capo, ogni giovedì sera, conduce la tifosa Giusi: «Lasciamo una tribuna aperta anche agli ultras di altre città. La controinformazione educa ad informarsi di più». Anni fa, i tifosi della curva Andrea Costa parteciparono ad un film di Enza Negroni «Quanti siamo quelli che siamo». I protagonisti erano loro e la trama, (nascondere nello stadio alla vigilia di una partita importante un ragazzo colpito da diffida), sorprendentemente simile alla realtà desiderata dai tanti che sui gradoni non possono mettere più piede. Andò male nella finzione, non procede meglio nella vita reale. «Mentalità Ultras», un pool di sigle che raccoglie 80 tifoserie divise da accese rivalità, ha vergato documenti significativi. Un ventaglio di proposte che abbracciano la reintroduzione dei treni speciali e la demilitarizzazione delle arene, scommettendo sulla responsabilità di chi: « visto soltanto come un teppista». Finora la politica li ha ignorati. Per l’ordine pubblico da stadio, l’Italia spende decine di milioni di Euro l’anno. Più di chiunque altro, in Europa. Malcom Pagani