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 2008  settembre 30 Martedì calendario

Colpiti e affondati: Bush, il maxipiano di salvataggio delle banche americane, Wall Street e tutte le Borse del pianeta

Colpiti e affondati: Bush, il maxipiano di salvataggio delle banche americane, Wall Street e tutte le Borse del pianeta. Lo schiaffo brutale della Camera di Washington è avvenuto mentre nuovi fronti della crisi bancaria si aprivano in Europa, rivelando una fragilità estrema dell´Unione. La Grande Crisi del 2008 si avvita in una spirale rovinosa. E rivela una dimensione finora sottovalutata: questa non è una crisi americana con delle "code" in altre zone del mondo. Il sistema europeo non è colpito solo di striscio, indirettamente. Al contrario i risparmiatori, i lavoratori, l´economia reale del nostro continente sono altrettanto esposti dell´America. una realtà rimossa a lungo nelle nostre capitali, da Roma a Bruxelles, da Berlino a Parigi: ora siamo nell´occhio del ciclone. Per quanto clamoroso e inaspettato, il colpo di scena avvenuto a Washington non deve occultare la gravità del dramma parallelo che ieri ha avuto il suo epicentro proprio in Europa. Un weekend di paura nel susseguirsi di crisi bancarie tra Benelux, Germania e Inghilterra, ha spazzato via per sempre l´illusione che questa sia una crisi prevalentemente americana. Lunedì mattina il risveglio è stato nefasto sui mercati europei, prima ancora che aprisse Wall Street e arrivasse la sorpresa politica da Washington. Le Borse del vecchio continente erano già crollate per conto loro, senza neppure sapere che il piano Paulson sarebbe stato bocciato. La ragione è evidente: il vortice dei crac bancari ha investito in pieno l´Europa. In un solo weekend ha rischiato di saltare la più grande banca belga, Fortis, salvata solo in extremis nella tarda serata di domenica dall´ingresso nel suo capitale di tre Stati (Belgio, Olanda e Lussemburgo); il governo inglese ha dovuto a sua volta nazionalizzare un istituto di credito immobiliare in fallimento; la Germania ha messo in campo una cordata di banche per lanciare un salvagente a un altro colosso sull´orlo del crac, la Hypo Real Estate; perfino l´Islanda ha nazionalizzato un´azienda di credito in bancarotta. L´affannosa corsa delle autorità europee intente a "tappare" un buco dopo l´altro è avvenuta in ordine sparso, rivelando la fragilità strutturale dell´Unione di fronte a questa emergenza. Il caso Fortis è stato emblematico. In un clima di angosciata improvvisazione il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet è accorso a Bruxelles per un summit con i capi dei governi belga olandese e lussemburghese. Ma Trichet ha dimostrato la sua impotenza: è fallito il suo tentativo di fare intervenire altri istituti europei (la francese Bnp e l´olandese Ing) a rilevare la Fortis. A quel punto non restava che usare massicciamente le risorse pubbliche dei tre Paesi più coinvolti, per scongiurare un assalto dei depositanti agli sportelli Fortis il lunedì mattina. L´operazione ha richiesto l´intervento congiunto di tre Stati per una ragione semplice e inquietante: il bilancio della Fortis vale il triplo del Pil del Belgio. Il governo di Bruxelles o quello dell´Aia da soli non potevano farcela, di fronte alla dimensione mastodontica che hanno raggiunto istituti come Fortis, frutto di anni di fusioni-acquisizioni sovranazionali. E questa sproporzione non riguarda solo i paesi piccoli dell´Unione. La Deutsche Bank ha un bilancio pari all´80% del Pil tedesco. La Barclays pesa il 100% del Pil inglese. questa una delle ragioni per cui noi siamo addirittura più esposti e vulnerabili degli americani. Negli Stati Uniti i rischi di contagio sistemico hanno costretto le autorità ad ammettere che ci sono colossi finanziari (come Aig) "troppo grandi per essere lasciati fallire". L´Europa scopre che c´è di peggio: avere in casa degli istituti troppo grandi per essere salvati, smisurati rispetto alle dimensioni e alle capacità dei nostri vecchi Stati-nazione. Si capisce che il trauma di questa scoperta abbia ripercussioni anche in Italia, dove per stamattina Tremonti ha convocato il governatore della Banca d´Italia Draghi e i capi di tutte le authority di vigilanza sui mercati (Consob e Isvap). Questa crisi ha già provocato una svolta storica, in America come in Europa: un´ondata di ri-nazionalizzazioni quale non avveniva dai tempi della Grande Depressione. un ritorno in forze dello Stato-padrone che non nasce da meditati ripensamenti ideologici, solo da un impellente stato di necessità. il dito infilato nella falla della diga, sperando che eviti il peggio. Ma l´analogia nelle reazioni dispiegate sulle due rive dell´Atlantico si ferma qui. Le differenze tra Europa e Stati Uniti invece sono molte, e purtroppo sono spesso a nostro sfavore. Da una parte affiora il sospetto che le banche europee siano state più lente e reticenti di quelle americane nel rivelare la vera entità dei "buchi" nei loro bilanci, provocati dai titoli-spazzatura. D´altra parte è paurosa la palese inadeguatezza degli strumenti politici e istituzionali con cui l´Europa affronta questa tempesta. Lo sciagurato piano Paulson, se vi si aggiungono tutti gli aiuti pubblici che lo hanno preceduto, sarebbe costato all´America fino a 1.000 miliardi, cioè il 7% del Pil Usa. un salasso micidiale per le finanze pubbliche ma non è uno sforzo impossibile. L´Unione europea da parte sua riuscirebbe mai a darsi l´equivalente di un piano Paulson (possibilmente emendato)? O comunque potremo avere un giorno un New Deal continentale per curare i danni di questo cataclisma economico? No, l´Unione non sarebbe in grado di mettere in campo risorse simili, se non stravolgendo tutti i suoi principi di rigore finanziario, stracciando il patto di stabilità. E soprattutto, a condizione di riuscire a mettere d´accordo i suoi Stati membri: ardua impresa, i cui tempi lunghi contrastano con i sussulti istantanei dell´economia. Crisi di questa portata avvengono forse una volta ogni secolo. L´Europa dei governi vi è arrivata completamente impreparata. Mentre le sue banche sono già degli attori di dimensioni globali, sovente irresponsabili, di fronte a loro non esiste nell´Unione una singola autorità dei mercati. La Bce non ha gli stessi poteri istituzionali della Fed americana. I compiti di vigilanza bancari restano balcanizzati fra attori nazionali. Tantomeno esiste un ministro del Tesoro europeo. Sarkozy, presidente di turno dell´Unione, annuncia la riunione di un vertice straordinario sulla crisi finanziaria, ma dovrà aspettare diversi giorni perché il summit si riunisca, anziché i pochi minuti che occorrono a Paulson e Bernanke per incontrarsi e decidere. Al vertice europeo - pur nella versione ristretta agli Stati più grandi - bisognerà mettere d´accordo almeno quattro premier, due rappresentanti comunitari e un banchiere centrale. In Europa si percepiva fino a qualche giorno fa una punta di compiacimento per la rovinosa caduta del "modello" americano. ora di cominciare a guardare in casa nostra, velocemente.