Mario Deaglio, La Stampa 30/9/2008, 30 settembre 2008
Il crollo dell’edificio finanziario americano provocherà anche il crollo dell’edificio finanziario europeo? Se lo domandano oggi milioni di risparmiatori europei, sconvolti dalle notizie di banche in difficoltà e dalle durissime cadute di Borsa
Il crollo dell’edificio finanziario americano provocherà anche il crollo dell’edificio finanziario europeo? Se lo domandano oggi milioni di risparmiatori europei, sconvolti dalle notizie di banche in difficoltà e dalle durissime cadute di Borsa. Un mercato ancora largamente immaturo si intreccia con mezzi di informazione impreparati a una tempesta di questo genere, che ne sottolineano i disastrosi aspetti esteriori. Si rischia così non già di suscitare una consapevole presa di coscienza dei rischi, bensì di scatenare un’ondata di panico ingiustificato e potenzialmente molto dannoso. Occorre ragionare a mente fredda e, se possibile, a nervi distesi. Questa crisi nasce negli Stati Uniti, dove hanno avuto origine non solo i famigerati titoli sub-prime ma anche quasi tutti i titoli oggi appropriatamente definiti «tossici»; la loro crescita è stata addirittura incoraggiata fino a quasi un anno fa e ha raggiunto livelli astronomici; il loro valore sui mercati è attualmente pari a zero o prossimo allo zero (e come tali devono essere indicati nei bilanci, dando luogo a perdite ingenti), anche se una parte rilevante sarà regolarmente rimborsata alla scadenza. Negli Stati Uniti la crisi finanziaria ha innescato una forte debolezza dell’economia reale, spesso minimizzata, o addirittura negata, dal governo di quel Paese, e combattuta a lungo, e colpevolmente, con gli strumenti sbagliati, ossia continuando a finanziare i consumi. Il resto del mondo, e in particolare l’Europa continentale, è stato contagiato di riflesso, ossia per aver acquistato, spesso «impacchettati» in altri prodotti, i «titoli tossici». Questi costituiscono, in ogni caso, una parte molto piccola, talvolta trascurabile, del patrimonio delle banche italiane, e comunque piuttosto limitata anche nel patrimonio delle altre banche europee. Molto raramente, e quasi sempre solo per via indiretta, il veleno si è fatto strada nei prodotti finanziari in cui è investita la stragrande maggioranza dei risparmi degli europei. Le banche europee che si sono trovate nelle difficoltà, che hanno suscitato un pronto intervento dei governi dalla Germania all’Islanda, dalla Gran Bretagna ai Paesi Bassi, devono le loro angustie - oltre che a scelte strategiche sbagliate come per la Banca Fortis - all’aver finanziato operazioni di lungo periodo con denaro a breve periodo, il che una volta era vietato e probabilmente tornerà a esserlo molto presto. Sarebbe del tutto fuori luogo trarre da questi avvenimenti indicazioni generali di collasso del sistema europeo, mentre questa conclusione non è irragionevole per il sistema americano. Due elementi giocano a favore dell’Europa, e in particolare dell’Italia. Il primo è quello che, fino a ieri, veniva chiamato «arretratezza finanziaria» e che oggi viene etichettato come «saggezza»; per una serie di motivi, compresa forse una loro non eccessiva capacità tecnica, le banche italiane non sono andate dietro alle ultime mode finanziarie. Gli istituti bancari italiani hanno partecipato in misura ridottissima al gioco di creazione di ricchezza finanziaria priva di basi veramente credibili. Uno dei motivi per cui non hanno «giocato» è rappresentato dal sistema della vigilanza bancaria, ed è questo il secondo elemento favorevole. Negli Stati Uniti questo sistema può ben essere definito una farsa, frutto di un’ideologia che esaltava la capacità di autoregolarsi del mercato e bollava come oppressiva e liberticida anche solo una supervisione attenta e dettagliata delle operazioni da parte della banca centrale. Tale ideologia, che oggi subisce un tempestoso tramonto, non ha mai pienamente attecchito in Europa, e in particolare in quella continentale: mentre il governo della moneta si accentrava nella Banca Centrale Europea, le singole banche centrali non hanno rinunciato, e anzi hanno intensificato la vigilanza sul sistema, con vari gradi di severità. Questa vigilanza è al massimo in Italia, ed è questo uno dei motivi per cui il Governatore della Banca d’Italia è stato nominato presidente del Financial Stability Forum, con l’incarico di proporre nuove regole per ottenere un mercato efficiente. Il sistema bancario italiano può quindi essere considerato una navicella sana che regge bene un mare in gran tempesta, nel quale la nave ammiraglia, ossia il sistema americano, imbarca acqua ed è inclinata sul fianco mentre le altre navicelle europee hanno qualche vela ammaccata. Nessuno sa come la tempesta si evolverà, c’è motivo di molta attenzione in un percorso che non è certo una passeggiata, ma chi istericamente si mettesse a gridare che la nave affonda dovrebbe, finché non torna la calma, essere confinato sottocoperta.