Vittorio Sabadin, La Stampa 27/9/2008, pagina 17, 27 settembre 2008
La Stampa, sabato 27 settembre I caccia e i bombardieri israeliani erano pronti a decollare nel maggio scorso per colpire i siti nucleari dell’Iran, ma il presidente degli Stati Uniti George Bush li ha fermati, dicendo all’allora premier Ehud Olmert che non avrebbe appoggiato il blitz e non avrebbe cambiato idea fino alla fine del proprio mandato alla Casa Bianca
La Stampa, sabato 27 settembre I caccia e i bombardieri israeliani erano pronti a decollare nel maggio scorso per colpire i siti nucleari dell’Iran, ma il presidente degli Stati Uniti George Bush li ha fermati, dicendo all’allora premier Ehud Olmert che non avrebbe appoggiato il blitz e non avrebbe cambiato idea fino alla fine del proprio mandato alla Casa Bianca. La clamorosa rivelazione, pubblicata ieri dal «Guardian» con grande evidenza in prima pagina, rende più comprensibili alcuni avvenimenti degli ultimi mesi, come la spettacolare esercitazione aerea che Israele ha condotto sul Mediterraneo il 2 giugno scorso, pochi giorni dopo avere incassato il no americano. La distanza percorsa dagli aerei era più o meno la stessa che separa Tel Aviv da Natanz, dove si trova uno dei principali laboratori nei quali l’Iran arricchisce l’uranio. Anche se bloccato dal veto della Casa Bianca, Israele ha voluto mostrare i muscoli e fare vedere agli Stati Uniti e ai paesi interessati che resta comunque pronto a colpire. Bush ha comunicato il proprio parere negativo a interventi militari contro Teheran in un incontro privato con Olmert, avvenuto il 14 maggio, in occasione della visita del presidente americano per il sessantesimo anniversario dello stato di Israele. Al colloquio non erano presenti né interpreti né collaboratori e il «Guardian» ha potuto ricostruirne i contenuti solo grazie a una fonte anonima vicina a un capo di governo europeo, il quale venne messo al corrente da Olmert della nuova posizione della Casa Bianca. Dopo avere minacciato infinite volte interventi drastici contro il programma nucleare di Mahmoud Ahmadinejad, il presidente americano ha negato il proprio appoggio a Israele sostenendo che il blitz avrebbe avuto come conseguenza un inasprimento degli attacchi contro obiettivi americani in Iraq e in Afghanistan e, quasi certamente, anche nel territorio degli Stati Uniti. Teheran avrebbe inoltre potuto facilmente danneggiare il traffico marittimo nel Golfo, cosa della quale - con le attuali tensioni sui prezzi del petrolio - non si sente alcun bisogno. Secondo gli esperti militari americani, Israele non sarebbe poi stata in grado di annientare gli obiettivi con una sola ondata di attacchi e avrebbe dovuto impegnare i suoi aerei in ripetuti raid per diversi giorni, correndo il rischio di scatenare una guerra su larga scala. I costi dell’attacco - ha detto Bush a Olmert - non avrebbero compensato i benefici. Per Israele è molto difficile effettuare un blitz sull’Iran senza l’appoggio degli Stati Uniti. I bombardieri devono sorvolare l’Iraq, il cui spazio aereo è completamente sotto il controllo americano, e hanno bisogno di assistenza logistica e militare. Nei mesi scorsi, molte richieste israeliane al Pentagono per la fornitura di bombe in grado di perforare i bunker erano rimaste inevase e ora si capisce per quale ragione. Olmert ha rinunciato a premere il pulsante che avrebbe dato il via all’operazione sia perché senza l’appoggio Usa i rischi di fallimento sarebbero aumentati, ma anche in quanto non poteva permettersi di essere politicamente sconfessato dal più importante alleato. Nel discorso alla Knesset pronunciato il giorno dopo l’incontro con Olmert, Bush ha tenuto l’atteggiamento di sempre, ribadendo che l’America sta a fianco di Israele nell’opporsi fermamente alle ambizioni nucleari iraniane: «Permettere al principale sponsor mondiale del terrorismo di possedere le armi più micidiali sarebbe un tradimento imperdonabile per le future generazioni». Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, Bush sembra avere deciso di lasciare la pratica iraniana al proprio successore. La sua netta presa di posizione dovrebbe anche scongiurare la «sorpresa di ottobre», quell’evento - come un attacco militare a Teheran - che molti sospettavano accadesse o per sostenere la candidatura di John McCain o come ultimo colpo di coda dei falchi del Pentagono e del vicepresidente Dick Cheney, in previsione di una vittoria di Barack Obama. Il no di Bush ha forse avuto conseguenze persino in Israele, dove i sostenitori dell’attacco all’Iran hanno dovuto fare un passo indietro. Dopo le dimissioni di Olmert, Shaul Mofaz, che aveva minacciato Teheran contemplando l’opzione militare, è stato sconfitto nel voto per guidare il partito Kadima e diventare primo ministro. Al comando c’è ora Tzipi Livni, una signora di sicuro carattere, ma con posizioni un poco più responsabili. Vittorio Sabadin