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 2008  settembre 27 Sabato calendario

Corriere della Sera, sabato 2 settembre «Dobbiamo lasciar prosciugare i pozzi profondi a cui è appesa la corda? Sarebbe vita questa? Non sottomettiamoci al casato di Kish! Scendiamo piuttosto in guerra»

Corriere della Sera, sabato 2 settembre «Dobbiamo lasciar prosciugare i pozzi profondi a cui è appesa la corda? Sarebbe vita questa? Non sottomettiamoci al casato di Kish! Scendiamo piuttosto in guerra». Mentre gli anziani della città di Uruk sono pronti a cedere alle pretese di Agga, re della vicina Kish, il sovrano Gilgamesh ascolta con compiacimento il pressante invito dei suoi giovani a non arrendersi. La civiltà della prima città-Stato del mondo occidentale – ove fioriscono scrittura e legge, matematica e ingegneria, poesia e astronomia – sa quando è il caso di ricorrere alle armi. Come insegna uno dei poemi sumerici che costituiscono il primo nucleo di quella che è nota come La saga di Gilgamesh (si veda il bellissimo volume curato da Giovanni Pettinato per gli Oscar Mondadori), nel «fangoso » paese di Sumer l’acqua è garanzia di sopravvivenza e prosperità. Senza di essa niente agricoltura, niente commercio e nessuno dei lussi (igiene compresa) che rendono piacevole l’esistenza – ma solo lo spettro di una inesorabile sete. C’è da stupirsi che già quattro millenni prima di Cristo la scarsità delle risorse idriche potesse essere causa di conflitto? Quella tra Uruk e Kish, col senno di poi, potrebbe sembrare solo una scaramuccia locale. Ma se ci mettiamo nei panni di Gilgamesh e dei suoi concittadini, o in quelli del re Agga e dei suoi guerrieri invasori, scopriamo che tale guerra, se non fu uno scontro di civiltà, era comunque una lotta per la sopravvivenza delle strutture destinate a incivilire il mondo. Così, l’attuale geopolitica dell’acqua appare come una variazione su un tema antichissimo, anche se il teatro del confronto è oggi il mondo intero, diviso da nazioni e religioni, ma diventato una sorta di «Sumer globale » grazie all’impetuoso sviluppo di quella scienza e di quella tecnica che hanno avuto i loro splendidi inizi nella Mesopotamia di seimila anni fa.  stata annunciata la prossima apertura, nell’area sudmilanese (Assago), di un science center che sarà il primo al mondo dedicato all’acqua: non si tratterà di un museo tradizionale che espone oggetti, ma di un centro dove il pubblico potrà compiere direttamente esperimenti per apprendere la «storia naturale » della preziosa sostanza. Come vicenda inserita nell’evoluzione cosmica, che va dalla fisica del Big Bang alla chimica degli elementi (la formazione dell’ossigeno e la produzione di acqua per sintesi di questo elemento con l’idrogeno), fino alla comparsa dell’acqua sul nostro pianeta, premessa dell’emergere della vita, si dovrebbe tener conto, a mio avviso, della stessa avventura d’idee che si esprime nel mito prima ancora che nella filosofia o nella scienza. E qui l’acqua appare insieme portatrice di vita e vigilia di distruzione. La versione più nota e relativamente completa dell’epica di Gilgamesh – composta a Babilonia verso il XII secolo a.C. – inserisce come un sovrappiù la vicenda di Utanapishtim (il Noè dei Sumeri e degli Accadi) che, diventato immortale, vive «alla foce dei fiumi», relegato ai confini del mondo, per essere stato l’unico (insieme alla consorte) a sopravvivere alla «morte per acqua» dispensata liberamente dalle divinità, stanche del chiacchiericcio degli esseri umani. Ancor più fosco che nella corrispondente versione biblica (Genesi, 6, 5-22; 7, 1-18), il Grande Diluvio sia «peggio delle invasioni delle bestie selvagge, delle carestie o della peste», annunciato all’alba del primo giorno da una nuvola nera e cessato al settimo giorno, quando «l’intera umanità è ormai diventata argilla e come un tetto è stato livellato il paese». Eppure, è sempre dall’acqua che rinasce la vita. Come apprende (a sue spese) lo stesso Gilgamesh, alla disperata ricerca del segreto dell’immortalità, che sulla via del ritorno, durante un bagno purificatore, si vede sottrarre la preziosa «pianta della perpetua giovinezza» (o meglio «irrequietezza », come suggerisce il testo accadico) da un serpente che, appena sfiora il magico vegetale, «perde la sua vecchia pelle». A Gilgamesh, costruttore di mura, trivellatore di pozzi e narratore delle sue stesse imprese, non resta che l’orgoglio di essere comunque il democratico protettore del suo popolo. Acqua vuol dire trasformazione. Nell’osservazione scientifica come nel poema mitologico. Non meno rilevante è l’aspetto politico: senza acqua niente polis, cioè niente urbanizzazione, né tanto meno Stato. L’epica sumera della resistenza ad Agga vede i servi e i ministri di Gilgamesh irretire progressivamente l’impetuoso signore di Kish; e quando infine Gilgamesh in persona si mostra luminoso sulle mura della città assediata, le truppe dell’invasore finiscono «ricoperte di sabbia» (immagine di siccità!) e il loro capo viene fatto prigioniero. Per quanto i Sumeri e gli Accadi (Assiri e Babilonesi) possano aver goduto, nel Vecchio Testamento, della fama di popoli «feroci e terribili», essi danno prova di una capacità di negoziazione che contiene non pochi elementi di saggezza. Diversamente dai conquistatori biblici, che praticano spesso lo sterminio di massa, o dagli stessi eroi dei Greci e dei Romani, che infieriscono sul cadavere del vinto (come Achille con Ettore) o ricorrono all’omicidio politico (come il «pio» Enea, che uccide Turno quando questi si è arreso), Gilgamesh riconosce allo sconfitto Agga i suoi meriti e lo lascia andar via libero, nella speranza di una futura intesa. Il confronto aspro non esclude la possibilità di una reciproca cooperazione per la crescita di tutte le componenti in gioco. Sulle mura di Uruk non trova posto la cieca volontà di vendetta; ma neanche l’arrendevole perdono. Abita invece la fiera difesa dell’indipendenza e del proprio diritto a partecipare alla libera concorrenza per accaparrarsi le migliori risorse. Senza dimenticare che cooperare è a un tempo utile ed etico. Un aspetto, questo, di proficua tolleranza di cui l’Occidente «libero e democratico» ha oggi più che mai bisogno. Giulio Giorello