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 2008  settembre 27 Sabato calendario

In Svezia vent’anni fa fallirono tutte le banche, anche allora a causa di una crisi del mercato immobiliare

In Svezia vent’anni fa fallirono tutte le banche, anche allora a causa di una crisi del mercato immobiliare. Il reddito scese di oltre il 5% e la disoccupazione salì dal 2 al 10%. La crisi durò tre anni. Lo Stato nazionalizzò le banche e per salvarle spese 6 punti di pil, più o meno quanto costerebbe il piano del Segretario Paulson negli Stati Uniti. Si avviò anche un ripensamento profondo del modello sociale svedese: nei quindici anni successivi l’economia crebbe a un tasso medio di oltre il 3% l’anno, quasi il doppio dei Paesi europei continentali, trascinata da un boom di produttività. Le crisi scuotono i Paesi, ma talvolta consentono quelle riforme che in tempi normali è impossibile realizzare. Un punto di crescita in più per un decennio significa guadagnare quasi 15 punti di reddito, più che sufficienti a compensare la recessione nei tre anni di crisi. Dopo qualche anno il governo di Stoccolma rivendette le banche e recuperò quasi per intero quanto aveva speso per salvarle. Con il piano Paulson il Tesoro acquisterebbe dalle banche (mediante un’asta) mutui immobiliari con uno sconto del 60-70% sul loro valore nominale. I prezzi delle case americane sono scesi del 20%: anche ammettendo che scendano ancora, acquistando per 30-40 centesimi mutui che valgono un dollaro, Paulson – e quindi i contribuenti americani – fanno un buon affare: oggi risolvono la crisi e domani, quando il Tesoro rivenderà i mutui, potrebbero incassare una plusvalenza sufficiente a cancellare una parte del debito pubblico. Non solo: il Tesoro scambia titoli pubblici su cui paga un interesse del 2% con obbligazioni che rendono il 10%. Un incasso netto di quasi 50 miliardi di dollari l’anno (meglio ancora, il Tesoro potrebbe acquistare azioni delle banche, come accadde in Svezia: oggi ne rafforza il capitale, a crisi finita le rivende incassando un premio). Fra 5 anni potremmo esserci dimenticati della crisi e ricominciare a guardare con ammirazione gli Usa che crescono più di noi e con meno debito pubblico. L’opinione comune in Europa è che la «deregulation selvaggia» dei mercati finanziari americani abbia rovinato il mondo: se Washington avesse seguito l’esempio europeo, si dice, i guai che oggi osserviamo non sarebbero accaduti. Vero, ma la deregulation degli anni 80 consentì anche a investitori audaci («barbari» li chiamò Tom Wolfe in un libro che divenne famoso) di comprare aziende a debito, smontarle come i pezzi di un meccano e poi rivenderle lasciando che il mercato le rimontasse in modo più efficiente.