Francesco Manacorda, La Stampa 25/9/2008, pagina 2, 25 settembre 2008
Cercasi Enron disperatamente. Ma ci si accontenterebbe anche di una WorldCom o al limite di una Tyco
Cercasi Enron disperatamente. Ma ci si accontenterebbe anche di una WorldCom o al limite di una Tyco. I lampi polizieschi e giudiziari nella tempesta della finanza Usa, come quelli aperti ieri dal raid dell’Fbi a Wall Street, spingono molti a sognare una rapida ed esemplare punizione per i responsabili di reati finanziari. Pratica nella quale gli Stati Uniti, forti anche dei casi sopraccitati dell’ultimo decennio, si sono dimostrati maestri. E infatti, ricapitolando: 24 anni di carcere per il gran capo di Enron Jeffrey Skilling, creatore di veicoli finanziari fuori bilancio; dodici mesi in più a Bernard Ebbers che della WorldCom era amministratore delegato; fino a 25 anni anche per Dennis Kozlowsky, che resterà alla storia per la festa di compleanno sarda da 2 milioni di dollari - graziosamente offerta dalla stessa Tyco - per sua moglie. Non basta? Aggiungere nomi meno noti come Adelphia, Cedant o Dygney, rinfrescare con la recentissima indagine «mutui maligni» lanciata nel giugno sempre a Wall Street sull’onda dello scandalo subprime. Eventualmente guarnire con la mitica Martha Stewart, regina delle televendite finita in carcere cinque mesi - vabbè carcere lieve, tanto da essere soprannominato «campo tortina» - per un banalissimo caso di insider trading. Cercasi Enron, ma offresi al contrario sulle nostre sponde Cirio, Parmalat, Federconsorzi e affini. Non c’è a memoria d’uomo un caso di scandalo finanziario italiano concluso con una pena detentiva scontata da chicchessia. Si arena nelle secche delle eccezioni procedurali e della giustizia lumaca il processo per la bancarotta fraudolenta di Parmalat che si celebra a Parma e che vanta 135 mila tra azionisti e obbligazionisti stangati dalle scorribande finanziarie di Tanzi&Tonna: cinque milioni di pagine dattiloscritte di atti, trentacinquemila parti civili di cui l’astuta difesa nel marzo scorso ha provato a chiedere l’audizione - di tutti e 35 mila, naturalmente - come testi. Il 30 ottobre ci sarà la requisitoria del pubblico ministero, ma di pene definitive si parlerà tra alcuni anni, in Cassazione, sempre che i quindici anni dopo i quali scatta la prescrizione non siano trascorsi. Intanto Tanzi, per alcuni reati «minori» come aggiotaggio, falso in bilancio e false comunicazioni alla Consob ha chiesto di patteggiare con una pena di due anni e otto mesi. Storie non dissimili, che si perdono nelle notizie a una colonna delle pagine giudiziarie, per casi come Federconsorzi, Eurolat, Bond argentini. Nel crac Cirio è stato chiesto un anno fa il rinvio a giudizio di Sergio Cragnotti, dell’attuale presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, Cesare Geronzi, dell’ex dominus della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani e di un’altra trentina di persone. Sette condannati, otto prescritti e ventisei assolti quest’anno - a quasi un decennio dai fatti - nella sentenza di primo grado per gli strumenti finanziari distribuiti da Banca121. Quest’estate al processo per il crac Giacomelli, l’ex presidente Gabriella Spada, prova a patteggiare quattro anni di reclusione. Il giudice respinge perché le pene sono «insufficienti rispetto ai reiterati episodi criminosi che dimostrano notevoli spinte antisociali». Ma siamo solo all’udienza preliminare. Latitano anche le leggi. Con il falso in bilancio per le società non quotate sostanzialmente depenalizzato e i poteri della Consob rafforzati invece dalla direttiva europea sugli abusi di mercato, ci si trova nella paradossale situazione che insider trading e aggiotaggio vengono - sulla carta - puniti dai tribunali più duramente di bancarotta e falso in bilancio. E la scomparsa totale, tra le nebbie della politica e quelle del potere finanziario, delle norme sui requisiti di onorabilità dei banchieri non aiutano certo la trasparenza del sistema. Sarà anche per questo che il tintinnar di manette a Wall Street ha un effetto tonificante sui risparmiatori imbufaliti. Proprio i fatti di questi giorni, però, lasciano più di un dubbio sull’effettivo potere deterrente di pene esemplari e sull’efficacia delle regole più rigide imposte dopo ogni scandalo. Il Sarbanes Oxley Act è la legge che nel 2002 intendeva porre una barriere alle «mele marce». La certezza del diritto, insomma, è fondamentale ma la certezza che la finanza fraudolenta corra più veloce di qualsiasi codice è matematica. Francesco Manacorda