Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  settembre 25 Giovedì calendario

La crisi finanziaria dura da un anno e mezzo, presto se ne potranno trarre le conseguenze in termini di assetto e regolazione del sistema, e se solo vuole, l’Unione Europea, ha un grande ruolo da svolgere

La crisi finanziaria dura da un anno e mezzo, presto se ne potranno trarre le conseguenze in termini di assetto e regolazione del sistema, e se solo vuole, l’Unione Europea, ha un grande ruolo da svolgere. Intanto Bush annuncia solenne dalla Casa Bianca che la nazione è in pericolo e deve affidarsi al Commander in Chief; lui ha un piano brillante. un film già visto, al pubblico non è piaciuto: il Congresso, a maggioranza democratica, non abbocca e chiede, a un mese dalle elezioni, di aggiungere aiuti per i meno abbienti. Fa bene, perché il piano è un obbrobrio, tradisce i principi del capitalismo, la cui rudezza è giustificata solo dal fatto che porta sviluppo e rispetta l’equità; se c’è solo la prima, sarà dura. La mente del piano è il ministro del Tesoro Paulson, ex capo di Goldman che fra pochi mesi potrebbe tornare a Wall Street; esso trascura utili precedenti – come i vecchi «Brady bond» riproposti da Luigi Spaventa sul Financial Times – e invece prevede che lo zio Sam compri i toxic asset che appesantiscono i bilanci delle banche, per 700 miliardi di dollari. Così si stureranno i condotti del mercato finanziario, la liquidità e i capitali torneranno a fluire. Non si sa né quali titoli saranno acquistati, né chi potrà venderli (anche chi li ha prima comprati a sconto?), né come sarà fissato il prezzo. già difficile accettare che a chiedere imperiosamente poteri d’emergenza siano gli stessi corresponsabili del disastro, Bush l’oltranzista della deregulation e Paulson il banchiere; non è però ammissibile che in tre paginette essi chiedano ad ogni cittadino, neonati inclusi, di fidarsi e firmare un assegno in bianco – 2300 dollari sono solo la stima iniziale – pretendendo per di più che nessuna autorità, amministrativa o giudiziaria, possa intervenire. La patria è certo in pericolo, ma questo è troppo anche per Bush. Se vuole davvero sturare il lavandino, dovrà venire a patti con il Congresso anche sull’impostazione stessa del piano. Le banche di cui si tratta sono solo illiquide, o anche insolventi? Nel primo caso serve liquidità, nel secondo capitale di rischio. E poi, è la liquidità il problema? Molti titoli sono sì difficili da valutare, ma a Wall Street ogni cosa, al prezzo giusto, si vende. più probabile che le banche non vendano per non riconoscere le perdite che hanno in pancia. Il che fa propendere per l’insolvenza: se è così servono nuovi capitali.  difficile che voglia metterceli il mercato, pur se l’arrivo di Buffett nel capitale di Goldman è un buon segno; bisogna perciò prevedere massicci aumenti di capitale sottoscritti, o garantiti, dal Tesoro. A che valore? Il problema si risolve se i toxic asset sono scissi in un veicolo che il Tesoro acquista a un prezzo dato. Se il realizzo sarà superiore, la differenza torni alla banca, al netto della remunerazione del rischio addossato al Tesoro, se inferiore, aumenti di conseguenza la sua partecipazione nella banca. Certo, nel frattempo si dovranno imporre misure da tempo di guerra, ma non è in pericolo la patria? Sarebbe opportuno che i bonus (Goldman ne ha pagati per 20 miliardi di dollari nel ’07, anno di crisi) e i dividendi fossero sospesi; si corre il rischio che i più brillanti emigrino verso più ameni lidi? Il contribuente Usa se ne farà una ragione. Goldman e Morgan Stanley si sono trasformate in banche commerciali per rifugiarsi sotto le (ormai mica tanto) capaci ali del Federal Reserve System; il loro business model rallenterà, ma non cambierà, e la garanzia statale incoraggerà rischi eccessivi. Come era facile prevedere ( Corriere, 17 settembre) la pressa dei dollari è ripartita. A Washington non mancano certo le competenze giuste, ma il piano è bacato da un residuo pregiudizio ideologico, dovendosi escludere un conflitto fra gli interessi del Tesoro e quelli di Paulson, ove ritorni a Wall Street. Eppure a lungo andare ci saranno riflessi importanti, sull’inflazione e su molto altro. L’impressionante sequenza di salvataggi, e il loro costo – che le pressioni bipartisan ancora accresceranno – possono essere il detonatore, ha scritto Kenneth Rogoff, di una combinazione di maggiori tasse e minori spese che minerebbero quel predominio militare su cui si basa la forza del dollaro. Non è forse stato scritto che gli Usa hanno i conti pubblici dell’Argentina, con in più il deterrente nucleare?