Federico Rampini, la Repubblica 24/9/2008, pagina 29., 24 settembre 2008
la Repubblica, mercoledì 24 settembre SAN FRANCISCO - Sarkozy chiede la riunione di un G-7 speciale sulla crisi finanziaria mondiale
la Repubblica, mercoledì 24 settembre SAN FRANCISCO - Sarkozy chiede la riunione di un G-7 speciale sulla crisi finanziaria mondiale. Si spera abbia le idee chiare su ciò che vuole in quella sede. Gli americani le hanno chiarissime: vogliono soldi. Il segretario al Tesoro Henry Paulson ha chiesto che l´Europa e il Giappone seguano il suo esempio, creando maxi-fondi (il suo è di 700 miliardi di dollari) per acquistare i titoli-spazzatura che affondano i bilanci delle banche. Paulson ha il terrore che i colossi bancari stranieri - soprattutto quelli con ampie attività americane come l´Ubs svizzera o la Barclays inglese - vogliano scaricare la loro «monnezza» finanziaria sul suo fondo. Gli europei, se hanno lucidità e coraggio, dovranno respingere le pressioni di Paulson. Questa crisi l´hanno fabbricata gli Stati Uniti, hanno contagiato il mondo intero: l´onere maggiore per uscirne tocca a loro. Ma non facciamoci illusioni. Perfino se l´Europa trova la forza per dire un secco «no» oggi, nei mesi e negli anni a venire scopriremo che gli Stati Uniti ce l´avranno fatta pagare lo stesso, la fattura di questa crisi. Per il momento il piano Paulson deve superare un fuoco di sbarramento in America. Col passare dei giorni quel maxi-fondo per il salvataggio delle banche ha rivelato difetti macroscopici. 700 miliardi che l´Amministrazione Bush chiede al contribuente rischiano di essere non il tetto finale ma la base minima di partenza. I costi possono lievitare ben oltre, se il Tesoro fissa un prezzo troppo alto per i titoli che compra dalle banche: cioè i titoli strutturati che rappresentano altrettanti mutui-casa, e che sono all´origine di questa crisi. Il dilemma è reale. Se Paulson compra quei titoli dalle banche a prezzi troppo bassi, nei bilanci degli istituti di credito possono aprirsi nuovi buchi, che provocheranno altri fallimenti. Pagarli generosamente, invece, servirebbe a ricapitalizzare le banche, restituendo un po´ di solidità a un sistema finanziario disastrato. E´ difficile trovare l´equilibrio. Da una parte c´è il rischio del favoritismo, la prospettiva di offrire un regalo scandaloso a una classe di banchieri incompetenti e ingordi (da cui proviene lo stesso Paulson). D´altra parte se il Tesoro è troppo «tirchio» la cura può rivelarsi inadeguata e ci saranno nuove crisi. Sulla valutazione dei titoli-spazzatura Paulson inizialmente ha adottato un atteggiamento sospetto. Il suo primo messaggio è stato: fidatevi di me. Ha chiesto al Congresso un mandato aperto, carta bianca, poteri assoluti. Dopo decenni in cui la mancanza di trasparenza e l´inadeguatezza dei controlli hanno creato le premesse del grande crac, Paulson ha riproposto la stessa ricetta: zero trasparenza, nessun controllo. E´ la ragione per cui il Congresso di Washington non gli ha dato subito la sua approvazione, condizionandola a una serie di concessioni. Per esempio che vi sia un tetto alle buonuscite milionarie per i top manager delle banche che riceveranno l´aiuto pubblico. Sembra il minimo ma Paulson fino a ieri ha opposto una fiera resistenza. Il Congresso esige che il piano includa aiuti alle famiglie bisognose che subiscono i pignoramenti delle case. E´ giusto che i parlamentari insistano sulla dimensione sociale di questa crisi. Ci sono milioni di pensionati e pensionandi, per esempio, che hanno visto decurtato il valore dei loro fondi pensione dopo la caduta di Wall Street. C´è il rischio tuttavia che a un mese e mezzo dalle elezioni (non solo presidenziali ma anche legislative) si assista a una gara demagogica, col risultato che il costo del piano di salvataggio salirà a 1.000 miliardi e oltre. Dal 5% del Pil americano la fattura potrebbe lievitare al 7% o più su. Le conseguenze saranno pesanti per il contribuente americano ma anche per noi. Dagli eccessi di debiti tutti gli Stati storicamente sono usciti stampando moneta, creando inflazione e svalutazione. In queste ore Washington genera una nuova colossale montagna di debiti, che l´America «spalmerà» sul resto del mondo come ha sempre fatto. Nell´immediato il potenziale inflazionistico non si vede, e probabilmente non lo si vedrà per qualche tempo. Perché siamo nel mezzo di una vera recessione - che coinvolge simultaneamente Stati Uniti, Europa e Giappone - e quindi la debolezza della domanda comprime i prezzi. La crescita sottozero dell´Unione europea a sua volta deprime l´euro, quindi si è arrestato il deprezzamento del dollaro. L´iperinflazione del petrolio e delle materie prime ha lasciato il posto alla deflazione, salvo brusche fiammate in controtendenza: la volatilità è dovuta alle scommesse degli hedge funds che non hanno più una bussola, in uno scenario mondiale ad altissima incertezza e instabilità. La forza della deflazione poggia su un dato dell´economia reale: le case in America perderanno ancora il 25% o il 30% del loro valore, la disoccupazione è in crescita, i consumi ristagnano. Ma quando sarà passata questa recessione vedremo l´immenso potenziale inflazionistico le cui premesse nascono adesso. Al di là dei frenetici sbalzi d´umore quotidiani dei mercati finanziari, dietro questa grande crisi c´è lo squilibrio fondamentale che da anni affligge l´economia mondiale. Da una parte c´è una nazione - ancora per qualche tempo la più ricca del pianeta - che ha vissuto al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati, debiti delle famiglie e disavanzi commerciali con l´estero, buchi nel bilancio federale e nelle banche. Dall´altra ci sono le potenze asiatiche - dall´Estremo Oriente al Golfo Persico, con Cina e Giappone in testa - che hanno forti avanzi commerciali e colossali eccessi di risparmio. Questa è la madre di tutti gli squilibri, la faglia sismica profonda da cui hanno origine in superficie i sussulti tellurici che chiamiamo crac finanziari. Finché non si cura questo immenso squilibrio non saremo fuori dalle tempeste. Uno degli ingredienti della cura sarà la svalutazione del dollaro, con cui l´America ridurrà il valore dei debiti che ha con il resto del mondo. Federico Rampini