varie, 24 settembre 2008
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Ames Jonathan
• New York (Stati Uniti) 23 marzo 1964. Scrittore • «I critici lo adorano, David Letterman lo invita di continuo nel suo salotto mentre star del calibro di Julianne Moore, Mia Farrow e Jason Bateman hanno fatto a gara per interpretare il film tratto dal suo [...] libro, Sveglia, Sir! [...] giudicato “un divertentissimo romanzo tutto da ridere” dal New York Times Book Review che l’ha definito “uno dei 100 libri più importanti dell’anno”. [...] uno dei nuovi scrittori americani più originali e idiosincratici, giudicato da molti l’erede della grande tradizione ebraica a cavallo tra comicità e tragedia. Da Mort Sahl a Lenny Bruce, da Philip Roth a Woody Allen, dagli eroi della Borschtbelt a Jon Stewart. [...] “Ammiro Saul Bellow, Phil Roth, Woody Allen, Jerry Seinfeld, Larry David, Jon Stewart e Jackie Mason, ma nessuno di loro ha influenzato direttamente il mio lavoro. I miei modelli sono stati piuttosto Spalding Gray, P.G. Wodehouse, John Kennedy O’Toole e Paul Auster. Tra gli scrittori americani i miei preferiti sono Raymond Chandler, Dashiell Hammett e Charles Bukowski. Da piccolo i miei eroi erano Jack Kerouac, Kurt Vonnegut, Hunter Thompson, F. Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Raymond Carver” [...] è molto spesso ospite del David Letterman show: “L’idea di risultare noioso o stupido di fronte a milioni di telespettatori — dice — mi inietta un sacco di adrenalina nel circuito sanguigno. E la paura è elettrizzante”. [...]» (Alessandra Farkas, “Corriere della Sera” 13/5/2006) • «[...] “Sono uno scrittore autobiografico [...] Alla Jack Kerouac e Tom Wolfe, anche se non sono un fan di quest’ultimo. Il mio referente [...] è piuttosto Charles Bukowski [...] Sono cresciuto leggendo Tolstoj, Baudelaire e Thomas Mann ma anche Italo Calvino e Primo Levi” [...] giura di “non scrivere mai sotto l’influenza delle droghe, perché non mi servono certo ad essere più creativo”. Ma poi ammette che “ti danno spunti interessanti che non avresti da sobrio, specialmente la marijuana”. Dopo l’uscita del suo primo libro, fu costretto ad andare coi genitori dallo strizzacervelli — che continua a frequentare, ma telefonicamente — per spiegar loro che cosa nel testo fosse vero e cosa inventato. Perché preoccuparsi tanto? “Mamma e papà vivevano tranquilli nel sobborgo benpensante e conformista del New Jersey dove sono nato — replica — quando un bel giorno il loro unico figlio maschio pubblica un libro che parla di sesso selvaggio e stramberie varie, tra lo stupore-orrore dei vicini”. Gli Ames si sono ripresi dallo shock, ma da allora hanno smesso di leggere i suoi libri. “Non mi dispiace se perfetti sconosciuti scoprono i miei segreti; è dei parenti che mi preoccupo. [...] Il suo modello è Klaus Kinski, musa di Werner Herzog, proprio in quanto uomo che “sapeva essere sempre se stesso, senza vergogna. Quanto vorrei avere il suo fegato”. E invece si deve accontentare di un impavido alter-ego: Patrick Bucklew, pittore e performance artist in odore di scandalo a causa della cosiddetta mangina. Una mega vagina in plastica di cui ha realizzato vari esemplari e che indossa ai party e durante le sue performance teatrali nei club più trasgressivi di downtown. “Patrick è completamente pazzo e sembra uscito dalla Berlino degli anni Trenta; io sono il suo biografo ufficiale”. Il fascino per i transessuali è del resto uno dei leitmotiv delle sue opere. “Il transessuale è da sempre presente nella nostra cultura, dagli dei hindu alle statue dei nativi americani. Come diceva Carl Jung, siamo tutti bisessuali”. Grazie alla loro bellezza, secondo Ames, i trans permettono agli uomini di “esplorare la propria indole bisex senza vergogna”. “Forse l’evoluzione della specie umana favorisce una convergenza dei generi: un’alternativa pacifista al macho aggressivo e guerrafondaio e alla femmina passiva e docile” [...] un figlio [...] “Avevo 23 anni quando trascorsi una sola notte con sua madre, parecchio più vecchia di me. Due anni più tardi ricevetti una lettera che m’informava di avere un figlio di 15 mesi” [...]. A Brooklyn Ames è arrivato [...] attratto dagli affitti economici che l’hanno trasformato nel quartiere degli artisti. Una comunità in realtà ben poco aggregata. “Non frequento gli altri scrittori della zona e soltanto alle feste mi capita d’incontrare gente come Jonathan Lethem e Paul Auster. Colson Whitehead, anche lui di Brooklyn, ha scritto un editoriale sul New York Times proprio per sfatare il mito della ‘comunità di scrittori’”. Nel 1989 quando uscì Veloce come la notte, Ames fu paragonato a Bret Easton Ellis e Jay McInerney, due scrittori verso i quali, confessa, “allora provavo gelosia”. Vent’anni più tardi, mentre Ellis e McInerney sono dati per “finiti” dai critici, Ames si è trasformato nel beniamino della critica. “Devo parecchio a Joyce Carol Oates, mia docente di scrittura a Princeton, la cui incredibile generosità è il più grande dono che un insegnante può fare a uno scrittore”. Per lui si è scomodato perfino Philip Roth che nella prefazione di Veloce come la notte l’ha definito “un misto di Jean Genet e del Giovane Holden nell’età dell’Aids”. Il sodalizio tra Ames e il leggendario autore di Pastorale americana è nato per caso. “Avevo dato una copia del libro a Joanna Clark, scrittrice polacca e amica mia di Princeton, che è anche amica di Roth. A mia insaputa lei gli spedì il manoscritto”. Il resto è storia. “So solo — dice — che è la prima e ultima volta che Roth ha patrocinato uno scrittore sulla copertina di un libro”» (Alessandra Farkas, “Corriere della Sera” 17/11/2008).