Barbara Romano, Libero 21/9/2008, pagina 16., 21 settembre 2008
Libero, domenica 21 settembre Il vulcano e l’acqua cheta. Scoppi di risate e parole in eruzione ne increspano appena la superficie
Libero, domenica 21 settembre Il vulcano e l’acqua cheta. Scoppi di risate e parole in eruzione ne increspano appena la superficie. Quando lui esordisce, lei ha già finito l’intervista. Sono Marina e Carlo Ripa di Meana, incoronati coppia dell’estate sulle macerie del parcheggio del Pincio, che grazie a loro non si farà più. lui ad accoglierci in un salone che sembra la dependance del Guggenheim, impeccabile nella mai dismessa divisa ambientalista: Lacoste e pantaloni verdi con le pences. Tutt’intorno, abat-jour che torreggiano su pile di libri di scultura e cubi traslucidi inanellati in un gioco di specchi tra mille altri indecifrabili oggetti d’arte. Il pezzo forte della collezione, ovviamente, è Marina, ritratta in ogni stile e posa su una ripetizione di immagini alla Andy Warhol, sparse in tutta la casa. Quando si appalesa l’originale in una mise insolitamente sobria (se non fosse per il ciondolo a palla e i polsini d’argento tempestati di gemme), lui sta parlando del fratello (il presidente di Capitalia). «I rapporti con Vittorio sono stati complessi, da parte mia certamente molto affettuosi. Era un lamalfiano...». «Anche molto democristiano», puntualizza lei. «No, no. Mi fai parlare di mio fratello?», protesta lui. «Ha sempre avuto un odio particolare per me, era un prete sfegatato! Anzi, i preti mi amano. Lui invece mi detestava. Il problema di Vittorio sono sempre state le mogliacce». «Dai Marina, sbagli a dire così di Vittorio», sospira lui. «Scusa Carlo, mi ha fatto una tale guerra», rincara lei. «Vabbè, forse è bene che continui tu», si arrende lui. «No, vai avanti tu». Siete diventati i paladini di Roma. Che effetto fa? Lui: «Di un dovere compiuto. Dopo le nostre denunce, sia la Corte dei Conti che l’autorità per le Grandi opere hanno aperto un’inchiesta sul parcheggio del Pincio. una bella soddisfazione». «A me lo sa che effetto che fa?», interviene lei. No, quale? «Mi esalta. Dovrebbero mettere una mia statuetta, magari con i baffi, accanto a quei busti che hanno deturpato». L’avrebbe fatto veramente lo sciopero della fame? «Certo. Ero pronta a incatenarmi anche. Poi si è scoperto che quella porcheria era collegata all’ospedale San Giacomo». «Prima di dire ”si è scoperto”, bisogna provarlo», rettifica lui, «è un’ipotesi di lavoro». «Ma sembrerebbe veritiera», insiste lei, «e poi è facilmente intuibile che chi avrebbe tratto giovamento dall’abbattimento del San Giacomo sono gli alberghi intorno all’ospedale». Sta dicendo che il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, ha deciso la chiusura del San Giacomo in combutta con gli albergatori? «Amore, non affermare cose che non sai. Io mi ritiro», lui se ne va. «Se ci sia un accordo non lo so», precisa lei, «ma il San Giacomo sarà la mia prossima battaglia». Vi siete messi i cartelli al collo nella canicola di Ferragosto. Chi ve l’ha fatto fare? « stato uno dei Ferragosti più belli della mia vita. Per Carlo pure, credo. Tra l’altro, era il suo compleanno». Ha trovato un modo originale di festeggiare. «Mi sono sottratto alla conta: 79!». «Abbiamo risparmiato tantissimo, perché la festa non si è fatta e gli amici che si sono presentati nella nostra villa a Monte Castello di Vibio, in provincia di Perugia, sono stati rispediti tutti a casa», ride lei. C’eravate solo voi a piazza Navona. Non vi sentivate un po’ ridicoli? Lei: «Ridicoli gli altri che non ci credono. Io faccio le cose più folli di questo mondo e non mi sento mai ridicola». Avete convinto anche Alemanno che all’inizio era scettico. Come avete fatto? Lei: «Alemanno ha vinto la campagna elettorale dicendo che certe opere non le avrebbe tollerate, anche se poi c’è stato un tentennamento perché c’erano in ballo tanti soldi...». Il sindaco di Roma ha fatto un peana su di voi che a molti è suonato come un’investitura. Vi ha offerto posti? Lei: «Assolutamente no». Lui: «Alemanno sa che sono già molto impegnato come presidente di Italia Nostra». Volete far credere che non vi piacerebbe assumere un ruolo istituzionale? Lei: «Mi piacerebbe guidare l’assessorato alla bellezza». Sareste gli stessi caterpillar l’uno senza l’altra? «Il nostro matrimonio è basato sul fatto che crediamo negli stessi ideali. Poi per le cose pratiche litighiamo ogni cinque minuti», spiega lei mentre serve al marito il caffè. «Mi fa male», protesta lui, «amore, mi porti il tè verde?». «Ecco, vede?», si snerva lei, «ogni parola che dico, lui mi interrompe». A lui: come farebbe lei senza Marina? Lei: «Si annoierebbe senza di me. Vero?». Lui: «Sì…». Sì o no? Lui: «Marina è molto forte come rabdomante: mi segnala dove sarebbe giusto muoversi. Tanti anni vissuti assieme mi confermano che è molto più intuitiva di me. Mi fa guadagnare tempo». «Io sono il suo contrario», conferma lei, «lui ci mette quindici giorni a dire quello che io dico in cinque minuti». E come fate a stare insieme? Lei: «Io scappo sempre, perché questa lentezza mi esaspera. Ma poi ritorno, perché intorno non c’è di meglio». « troppo appiccicosa», sbuffa lui. Come vi siete conosciuti? Lui: «Dai». Lei: «In ambito craxiano». Lui: «A Venezia, dove si stava preparando la Biennale del dissenso, di cui io ero il presidente». Fu Bettino Craxi a volerla. Lei non era uno dei suoi intellettuali preferiti? Lui: «Era mio grande amico». Fu lui a presentarvi? Lui: «No, ma fu nostro testimone di nozze». Lei: «Quando ci siamo conosciuti io ero fidanzata con altre due persone e mezzo e i miei amici mi dicevano che cominciavo ad avere un’età per cui dovevo mettere la testa a posto». Aveva già raggiunto i suoi primi quarant’anni? «Trentasette. La mia cameriera mi diceva che dovevo cambiare il sangue perché ero ninfomane». Anche lei era molto legata a Craxi, che non disdegnava le belle donne. Con lei c’ha mai provato? «Non è che ci provava, Craxi era uno che ti metteva la mano sul sedere». Craxi le ha toccato il sedere? «Una volta, quando gli portai all’Hotel Raphael Carol Alt, l’attrice che mi impersonava nel film tratto dalla mia biografia, ”I miei primi quarant’anni”. Alla fine del pranzo, lei si allontanò e lui mi diede una gran pacca sul sedere dicendomi: ”Preferisco l’originale”. Lui mi diceva sempre: ”Tu, Marina mia, c’hai tutto. Ma ”sta voce ti rovina”». Quindi non c’è mai stato niente tra voi? «No. Lui era innamorato di Anja Pieroni. Mi parlava sempre di lei. Io ero in mezzo tra la Pieroni e sua moglie». A lei: in passato lei ha giocato anche sulla sua bisessualità… «Ma no, non ci ho mai giocato... Adesso, però, vorrei cominciare, perché gli uomini mi fanno tutti ribrezzo, mi tocca tenermi Carlo... Proponiamo a Gianna Nannini di farsi sotto». Perché la Nannini? «Perché Carlo è pazzo di lei». A lui: vero che una volta lei ha avuto una storia con un trans che si chiamava proprio Gianna? «Sì. Voleva partire per la Grecia con me nell’isola dell’amore: Citera». Lei: «Ecco perché mi vuoi sempre portare a Citera!». Lui: «No, era Gianna che ci voleva andare». Lei: «Poi, però, non siete partiti». Lui: «No, perché l’erotismo si era quasi incapsulato nella melassa sentimentale e non mi allettava l’idea di svegliarmi al suo fianco. Anche perché la mattina l’amor tuo ha un dito di barba…». Come l’aveva conosciuta? «Tramite suo fratello: era il segretario di una sezione socialista nella periferia di Milano. Io ero stato eletto al Consiglio regionale della Lombardia. La sera, quando uscivo dalle riunioni, c’era questa bellezza che passeggiava vicino alla Bocconi e partivamo per amplessi travolgenti, in auto, dove capitava». Quindi il trans Gianna le piaceva. «Moltissimo. Mi intrigava sapere che era anche un po’ uomo. I trans sono delle donne al cubo, hanno delle gambe forti, piene. Ma non si devono guardare le mani». Lei: «A lui piacciono gli uomini, a me le donne, siamo anche una coppia ben assortita». Lui: «No, Marina, non facciamo macabre parate erotiche. Ho solo detto che Gianna mi piaceva». Lei: «C’avevi anche un’altra età». Lui: «E lei credo che un po’ mi volesse bene». Quando vi siete sposati avevate tutti e due un curriculum erotico che neanche Rocco Siffredi. Lei: «Notevole, sì». Carlo Ripa di Meana detto ”Orgasmo da Rotterdam”. «Ad apostrofarmi affettuosamente così fu il mio amico Cesare Garboli, il finissimo letterato ahimé scomparso, che sapeva della mia vita privata». Era la fama di tombeur che la attraeva di Carlo? «No, mi colpì la sua estrema bellezza. Lo immaginavo un signore molto anziano, sapendo che era il presidente della Biennale di Venezia. E quando vidi il suo viso mi dissi: ”Madonna, ma da dove arriva quest’uomo?”». Invece cosa colpì lei di Marina? Lei: «Il fatto che io era innamorata, mentre lui no». A lui: conferma? Lei: «Carlo non sa cosa vuol dire innamorarsi, rispondo io. Piano piano, vedendo questa donna così tenace nel volerlo, si è legato a me. Poi io allora ero così bella e neanche me ne rendevo conto… Potevo avere il mondo ai miei piedi!». A lui: Vero che non era innamorato di Marina? Lei: «Non si è innamorato della mia bellezza, glielo dico io. Lui è stato preso dalla mia tenacia». A lui: è vero o no? Lui: «Ha ragione. Ma non è stata solo la tenacia. La cosa di Marina che per me è fuori commercio è il fatto che è infantile». Lei: «Ah sì, eh?». Lui: «La sento come una bambina che strepita: Pippi Calzelunghe». Lei: « questo il disastro del nostro rapporto: lui pensa che io sia la sua bambinetta. Tutta la vita così». Lui: «Marina non fa la ruggine, è un metallo molto speciale che non hanno ancora classificato. Pur esposto agli agenti atmosferici, non perde il suo impianto naïf e geniale». Non era attratta anche dal titolo nobiliare di Carlo lei che di cognome fa Punturieri e viene da una famiglia borghese? «No, guardi, a tutti dico che io, più che nobile, sono ignobile, quindi chiamatemi Marina. Forse, però, tenevo a essere duchessa…». Per questo si faceva chiamare duchessa quando era moglie di Alessandro Lante della Rovere, pur non avendone diritto, essendo lui è un figlio cadetto? «Forse…». Intraprese anche una battaglia legale per mantenere quel cognome dopo il divorzio. «Sì, perché io allora avevo una ditta di alta moda già avviata con quel marchio e in tribunale Alessandro firmò la concessione del cognome al posto degli alimenti. Ci tenevo, ormai ero una Lante della Rovere, l’idea di richiamarmi Marina Punturieri mi faceva accapponare la pelle. Poi, quando uscì la mia biografia ”I miei primi quarant’anni” firmata Marina Lante della Rovere, lui mi fece causa e bussò a quattrini rivendicando una parte degli introiti del libro». A lei: ricorda la sua prima volta? «Certo che la ricordo: fu col fratello del mio primo marito, in una fratta vicino alle giostre di viale Parioli dove andavo sempre da bambina. Ero giovanissima, avevo credo 14 anni. Lui si chiamava Federico, era bellissimo. Poi però mi mollò e io sposai l’altro Lante della Rovere». Per ripicca? «Beh, insomma… Volevo entrare in questa famiglia in cui i ragazzi erano uno più bello dell’altro. Non era proprio una ripicca perché Alessandro mi piaceva. Quando sei giovane uno vale l’altro». A lui: a Camillo Langone, sul Foglio, lei disse che la sua prima volta invece fu con la sua tata Milena. «Sì. Anch’io avevo 14 anni quando feci sesso per la prima volta, fu durante la Seconda guerra mondiale. Lei aveva delle scarpe ortopediche corrispondenti agli attuali zatteroni. E questo dava al suo corpo un’elevazione superiore al tacco. Milena aveva la sua stanza tra quella delle mie sorelle e quella mia e di Vittorio. Io sgusciai e appena lei mi vide arrivare, capì. Avevo un po’ paura di far rumore e allora fu una cosa un po’ glissante, molto forte. Brevissima, come può immaginare. Era l’abc, io non sapevo nulla». A lei: nel suo libro ”Cocaina a colazione” racconta di essere arrivata a prostituirsi negli anni Settanta per comprare la droga al suo amante, Franco Angeli. «Era il mio periodo ”scapigliato”». A lui: lei è mai stato con una prostituta? «Sì, ma mi ha sempre dato fastidio tirare fuori i soldi, anche se mi rendevo conto che era una pretesa losca la mia. E in effetti, per un certo tempo, mi sono comportato in modo losco con le donne». Cosa faceva? «Nel dopoguerra comprai una di quelle uniformi Usa che ti tiravano dietro nei mercatini e, biondastro com’ero, a molte apparivo veramente come uno yankee. Siccome le signorine allora miravano a sposare un americano, avevo una certa pastura in cui scorrazzavo gratis. Ma ero in malafede quando simulavo un accento italoamericano, perché non avevo nessuna intenzione di sposarmi». Anche quando andò a Praga su mandato di Pietro Ingrao, non faceva che passare da una donna all’altra. «Quella fu un’esperienza speciale, una risposta straordinaria al conformismo sovietico. Fu lì che io, che allora ero comunista, cominciai a sentire che c’era una buona causa nell’essere in dissenso. E dopo i fatti d’Ungheria lasciai il Pci». Non fu il partito a cacciarla perché giudicava immorale la sua condotta a Praga? «Cacciato no, ma fui ripreso perché mi vestivo in jeans e cinturone da cowboy con il mustang, il cavallo selvatico, sulla fibbia, che ai tempi era molto di moda a Praga, ma era giudicato inammissibile dal regime». Non è mai stato geloso di Marina? Si è fatta anche fotografare nuda... «Sono geloso nel senso che la vorrei sempre tutta per me». Lei: «Con gli anni è diventato di una gelosia folle in tutto». Lui: «Ma non è che ti pedino». Lei: «Però vuoi sempre avere tutto sotto controllo e persino sapere con chi sono al telefono». E lei non è gelosa di Carlo? «Moltissimo. Ho fatto delle sceneggiate folli. A Venezia mi buttai dal vaporetto in preda a un raptus di gelosia perché lui non era in barca con me, ma su un altro motoscafo». Lui: «Io ricordo di più la frattura della tibia». Chi gliela fratturò, Marina? Lei: «In quanto presidente della Biennale di Venezia, Carlo fu invitato da Jacques Chirac a inaugurare una mostra al Beaubourg. Io quindi mi precipitai a Parigi, non invitata». Lui: «Non è vero che non ti avevo invitata». Lei: «Allora, o parlo io o parli tu. Divento pazza, mi deve sempre correggere!». Lui: «Vai». Lei: «Arrivo a Pompidou e chi ti trovo? Lui con la sua fidanzata storica, Gae Aulenti, che appena mi vede se la squaglia. Io quindi mi avvento su di lui e gli do un gran calcio alla tibia davanti a Chirac». Qual è l’esperienza più intensa che ha vissuto con Marina? «A marzo ho subìto un intervento a cuore aperto alla clinica Quisisana. In quel momento ho colto la sua capacità di essere un folletto ospedaliero. Quando mi sono svegliato in rianimazione, lei era lì a fare la danza dei sette veli nello sgomento più totale degli infermieri. Non le dico le facce». sempre stato fedele a Marina? Lui: «Direi di sì». Lei: «Ci sono qui io, per forza dice sì». Lui: «Ma non c’è stato più il tempo di correre dietro alle sottane. Mi ha sempre attratto l’eleganza nelle donne, ma Marina mi ha occupato». E lei? «Ma sì, alla fine siamo riusciti a essere pure fedeli». Quindi questo è per entrambi l’ultimo matrimonio? Lui: «Per me sì. Però potrei divorziare», ride. «Ma un nuovo matrimonio lo escludo». Lei: «La cosa curiosa di questo matrimonio è che litighiamo da una vita, però alla fine siamo sempre qui. Siamo così presi dalle cose da fare che non abbiamo neanche il tempo di divorziare». Barbara Romano