M.G., Libero 23/9/2008, 23 settembre 2008
M.G. per ”Libero” Quando il greggio cresce, non importa di quanto, sono dei fulmini di guerra. Si riuniscono, ritoccano all’insù il prezzo della benzina e mandano a dire ai telegiornali che a loro è tanto dispiaciuto doverlo fare, ma d’altra parte se il barile va su cosa pretendete
M.G. per ”Libero” Quando il greggio cresce, non importa di quanto, sono dei fulmini di guerra. Si riuniscono, ritoccano all’insù il prezzo della benzina e mandano a dire ai telegiornali che a loro è tanto dispiaciuto doverlo fare, ma d’altra parte se il barile va su cosa pretendete. Sembra inattaccabile, la logica dei petrolieri: se la benzina è rincarata, colpa della materia prima che sale, mica nostra. E ci sarebbe pochissimo da aggiungere, se solo funzionasse davvero così. Perché, se proporzionalità diretta tra i prezzi di barile e pieno ci deve essere, allora deve valere sempre: il costo alla pompa deve cioè sì crescere quando fa altrettanto il greggio, ma deve anche calare quando il petrolio scende. Cosa che non succede. Anzi, succede il contrario: il greggio va giù, e pure in maniera sensibile, ma non solo il prezzo della benzina subisce oscillazioni assolutamente non paragonabili a quelle della materia prima, ma i margini di guadagno delle industrie petrolifere crescono. In soldoni: se il petrolio cresce, i petrolieri guadagnano; se il petrolio cala, pure. Addirittura di più. E allora significa che c’è qualcosa che non funziona. Il conto è presto fatto: il prezzo dei carburanti alla pompa è il risultato di quattro distinti fattori: prezzo del greggio (cioè il costo della materia prima sui mercati internazionali); prezzo industriale (cioè il ricarico effettuato dai petrolieri per raffinazione, trasporto e margini di guadagno); accise; iva. Individuabili anche le quote di influenza dei rispettivi fattori nella determinazione del prezzo. Il prezzo del greggio incide per circa il 35% del totale: sulla benzina verde (per esempio con il prezzo medio alla pompa 1 euro e 40 centesimi al litro), la materia prima vale suppergiù 45 centesimi. Le accise, ossia le tasse che lo Stato impone oltre all’Iva (tra le quali, non è mai superfluo ricordarlo, figurano ancora tributi di scopo relativi a fatti di scottante attualità quali la guerra di Abissinia, il terremoto del Belice, la tragedia del Vajont e analoghe primizie), incidono in misura variabile a seconda del prodotto. L’Iva - calcolata sulla somma di prezzo industriale e accise - è al venti per cento, e fanno, spicciolo più spicciolo meno, venticinque centesimi. Il resto è prezzo industriale. Il quale, a seconda delle variazioni, determina in uguale (e in certo senso reciproca) misura il travaso di soldi dalle tasche di chi fa il pieno o paga la bolletta del riscaldamento a quelle dei petrolieri. E a questo punto, per capire la situazione (i dati che seguono sono limitati alla benzina verde), bisogna incominciare coi numeri, elaborati dal centro studi Sintesi sui dati del ministero delle Attività produttive. Primo dato. L’11 luglio del 2008 il prezzo del petrolio è allo zenit: un barile (159 litri di greggio) costa 142 dollari (pari a 0,585 euro al litro). Il prezzo industriale si attesta a quota 0,710 euro al litro, mentre il prezzo alla pompa schizza a 1,528 euro per litro: il margine di guadagno per le imprese, pertanto, risulta essere 0,125 euro per litro. Secondo dato. Il primo settembre 2008, il greggio è sensibilmente sceso, e tocca i 107 dollari (ossia gli 0,466 euro per litro). Il prezzo industriale si contrae a 0,648 euro per litro, mentre i distributori vendono il prodotto finito a 1,454 euro al litro: e questo porta il margine di guadagno dei petrolieri a salire fino a 0,182 euro per litro. Risultato, mentre il greggio è sceso del 20,37% il prezzo industriale è in flessione solo dell’8,71%. Calcolando la conseguente riduzione dell’Iva (che porta il prezzo al consumo a ridursi del 4,85%), i margini di guadagno dei petrolieri fanno segnare un +45,6%. Analoghi i meccanismi per gasolio (margini di guadagno su dell’11% tra 11 luglio e primo settembre) e gasolio da riscaldamento (+9,5%). E non si tratta di un’anomalia circoscritta all’anno in corso: tra 2006 e 2007 il greggio era calato da 0,306 euro al litro a 0,258, mentre la differenza tra prezzo industriale e barile è aumentata in media del 5,2%. Poi dice che la Robin tax non serve. Dagospia 22 Settembre 2008