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 2008  settembre 21 Domenica calendario

la Repubblica, domenica 21 settembre Come si sabota l´ordine del Papa sulla liberalizzazione della vecchia messa in latino

la Repubblica, domenica 21 settembre Come si sabota l´ordine del Papa sulla liberalizzazione della vecchia messa in latino. Louis De Lestang, cattolico tradizionalista di Versailles, la racconta così: «C´è il prete che ti dice che è un problema per l´unità della parrocchia. Il curato che afferma di non saperla celebrare. Il parroco che ti risponde di avere già due o tre messe domenica mattina e di non poter fare di più». Poi ci sono le autorità ecclesiastiche che mettono a disposizione solo una chiesetta di campagna oppure un edificio più grande, ma solo una volta al mese. La diocesi respinge le valutazioni di «tono aggressivo», ma Louis, trentatre anni, operatore turistico, sposato con cinque figli, sostiene che nell´area di Versailles i gruppi che reclamano la messa in latino sono presenti in metà delle tremila parrocchie. A volte si tratta di trenta, quaranta persone, a volte persino di seicento. C´è chi può seguire la messa tridentina ogni domenica, chi ogni quattro, chi niente.A llora Louis e i suoi amici hanno avuto l´idea di organizzare per fine mese un convegno nazionale per vagliare l´applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, che dal 14 settembre 2007 autorizza gruppi stabili di tradizionalisti a esigere in parrocchia la celebrazione della messa preconciliare. Le adesioni stanno fioccando. Ha ragione Louis, hanno ragione i parroci. Succede lo stesso in Italia e nelle altre nazioni europee. I tradizionalisti, una volta mobilitati, non trovano spazi adeguati alle loro esigenze, mentre i parroci - stremati dalla mancanza di clero, dall´accorpamento delle parrocchie, dal correre di qua e di là per coprire le esigenze di migliaia di fedeli che appartengono al loro territorio - fanno fatica a organizzare una pastorale parallela per un pugno di persone. «Lasciatemi il tempo di imparare», ha esclamato un parroco toscano quando i tradizionalisti si sono presentati in canonica per la messa preconciliare. Perché il meccanismo del documento papale ha una sua logica inesorabile. Con Giovanni Paolo II toccava ai vescovi autorizzare il vecchio rito. L´ordine di Ratzinger trasforma invece la questione in un diritto dei fedeli tradizionalisti, a cui le parrocchie devono assicurare questo servizio. I parroci non sono convinti, sono abituati alla liturgia postconciliare molto più comunicativa, partecipativa e più ricca nell´utilizzazione dei testi sacri. Ma soprattutto i vescovi non sono per niente d´accordo con la bontà del motu proprio che di fatto permette una sorta di Chiesa parallela. Se c´è una riforma che né i vescovi né i cardinali a maggioranza volevano, è questa. Il gesuita Tom Reese, ex direttore dell´influente rivista America, annota: «Fu uno schiaffo all´episcopato». In Italia personalità come il cardinale Carlo Maria Martini o vicepresidenti della Cei come Plotti e Corti non hanno nascosto le loro forti riserve. Il vescovo Brandolini, membro della commissione liturgica della Cei, esclamò alla notizia: «È un giorno di lutto, si affonda una delle riforme più importanti del Concilio». Se la Chiesa cattolica fosse governata come quelle ortodosse dal principio di decisione collettiva dei Sinodi, il cambiamento non sarebbe stato autorizzato. Tipico quanto è avvenuto il 23 marzo 2006 in Vaticano. Benedetto XVI convoca il collegio cardinalizio per discutere della messa in latino e dei rapporti con il movimento scismatico lefebvriano. I cardinali non hanno problemi, a certe condizioni, sulla messa tridentina ma ribadiscono che la Santa Sede deve chiedere ai lefebvriani non solo obbedienza al pontefice, ma «leale adesione» al concilio Vaticano II. Giugno scorso: la commissione Ecclesia Dei (incaricata dei rapporti con i tradizionalisti) manda ai lefebvriani un documento ultimativo, esigendo da loro obbedienza al Papa e rinuncia ad un magistero alternativo a quello papale. Nessuna parola sul Concilio. Come se il parere dei cardinali, largamente condiviso in questa materia dall´episcopato mondiale, non contasse nulla. Quando, invece, è noto che i tradizionalisti vogliono la messa tridentina, più che per il latino, per il suo spirito preconciliare. «Con papa Ratzinger stiamo tornando a Trento e a Lepanto», chiosa Giovanni Avena, direttore dell´agenzia d´informazione religiosa Adista. Risultato, i vescovi fanno il muro di gomma ripetendo che tutto va bene e profondendosi in attestazioni di ossequio al pontefice. Chiedo al portavoce del cardinale Schönborn di Vienna come vanno le cose e il signor Erich Leitenberger assicura che «non ci sono mai stati problemi», spiegando che le richieste sono limitate e comunque ogni domenica si può seguire una messa del vecchio rito in una chiesa di Vienna e in una cappella di suore del diociottesimo distretto. Anche il nunzio vaticano monsignor Farhat l´ha celebrata un paio di volte nella chiesa degli Agostiniani e dei Francescani. Da Treviri il direttore dell´Istituto liturgico monsignor Eberhardt Hamon fa sapere che i «vescovi tedeschi non hanno fatto resistenza» e che alla prossima riunione plenaria esamineranno lo stato delle cose. Monsignor Hamon rimarca che i cattolici tedeschi «si trovano bene» con il rito postconciliare e che il rito vecchio e quello nuovo «non sono equiparati». Perché - scandisce - «quello ordinario (di Paolo VI) è quello ordinario». Sembra una tautologia, ma non lo è. Ha il valore di un segnale. I vescovi tedeschi, peraltro, hanno elaborato precise linee guida per l´applicazione della riforma papale. Giorni fa, ad un convegno a Roma, monsignor Camille Perl, segretario della commissione Ecclesia Dei, ha dichiarato amareggiato che la «maggioranza dei vescovi italiani, con poche ammirevoli eccezioni, hanno posto ostacoli al motu proprio di Benedetto XVI». Poi, come dicono nella patria di Ratzinger, monsignore ha avuto paura del suo coraggio e a Repubblica spiega di aver parlato per un uditorio «quasi privato» e che in merito «la Santa Sede non ha dichiarato nulla». Alla Cei non vogliono polemizzare. Si limitano a dire che le decisioni spettano ai singoli vescovi e che il tradizionalismo è un «fenomeno di nicchia». Poi rimandano all´intervento del cardinal Bagnasco del settembre 2007, che emana ottimismo sulla valorizzazione del documento papale, però mette in guardia da quanti ricercano il «proprio lusso estetico, slegato dalla comunità, e magari in opposizione ad altri». In Italia, dopo le prime polemiche dell´anno scorso - in Cei una serie vescovi avrebbe voluto elaborare linee applicative come in Germania, ma i filo-papali lo impedirono, qualche prete annunciò che «non sarebbe tornato al passato», un gruppo di liturgisti pubblicò un manifesto di protesta - si è entrati in un tran tran soporifero. A Genova la messa tridentina la celebra don Baget Bozzo, a Milano c´è una messa in rito ambrosiano preconciliare, a Firenze per i tradizionalisti ci sono due chiese, a Palermo, a Napoli, a Bologna una. Qualche contentino in provincia. Un elenco provvisorio tradizionalista parla ancora di messe preconciliari nella diocesi di Bolzano, a Torino, Legnano, Mantova, Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine, Padova, Treviso, Venezia, Verona, Vittorio Veneto, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Barberino, Filetto, Gricigliano, Piombino, Poggibonsi, Prato, Corigliano e Aulpi. A cui si può aggiungere un´altra dozzina di iniziative spontanee. Ma in fondo ha ragione monsignor Perl. Il presidente dell´associazione tradizionalista Una Voce, l´ex magistrato Riccardo Turrini Vita, rileva: «C´è stata una modesta disponibilità ad applicare le norme. Siamo ben lontani dall´avere una messa almeno in ogni diocesi». A Roma, nel giugno scorso, è stata inaugurata in gran pompa alla Trinità dei Pellegrini una «chiesa personale» apposta per i tradizionalisti. L´anno passato hanno potuto celebrare anche a Santa Maria Maggiore. Però l´appetito vien mangiando. «Sono insaziabili», ha detto il cardinale Castrillon Hoyos, presidente di Ecclesia Dei, quando i tradizionalisti hanno chiesto di avere a disposizione sistematicamente la basilica. Nella diocesi di Novara il vescovo Corti ha rimosso tre sacerdoti che nelle loro parrocchie si erano messi a celebrare soltanto in latino, rifiutando l´italiano al grido di «non siamo juke-box». Il pasticcio ormai è fatto. Dice il cardinale di Curia Herranz che il gesto di papa Ratzinger ha lo scopo di «aprire i cuori al senso di unità della Chiesa, per capire che ci sono tanti spazi nella casa di Dio». I critici si trincerano dietro al cardinal Martini, che da subito annunciò che non avrebbe celebrato l´antica messa: «Non posso non risentire quel senso di chiuso che emanava dall´insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora si viveva». Marco Politi