Giuseppe Turani, la Repubblica 21/9/2008, pagina 28, 21 settembre 2008
la Repubblica, domenica 21 settembre I disegnatori americani più spiritosi si sono già lanciati in vignette che dovrebbero rappresentare il nuovo corso «austero» di questa fase economica
la Repubblica, domenica 21 settembre I disegnatori americani più spiritosi si sono già lanciati in vignette che dovrebbero rappresentare il nuovo corso «austero» di questa fase economica. Vi si vede una utilitaria giapponese con sopra una cover che simula una Porsche (macchina-emblema dei broker rampanti) oppure si vede Bill Gates, l´uomo più ricco del mondo, da poco ritiratosi dagli affari, che chiede di tornare al lavoro. E così via. Nessuno sa ancora se la grande crisi finanziaria di questi mesi può considerarsi finita dopo gli interventi in parte già decisi dalle autorità americane. Probabilmente no, perché il virus dei «titoli tossici» è arrivato quasi ovunque e ci vorrà molto tempo perché tutte le condutture del credito e della finanza mondiale siano disinquinate, ripulite e perché in essi i soldi tornino a scorrervi agevolmente. Su una cosa, però, si può stare certi sin da oggi: questa grande crisi ci regala non una maxi-depressione (a cui non crede quasi nessuno), ma assai più semplicemente una lunghissima stagione di crescita economica molto modesta. Probabilmente non stiamo precipitando in un buco nero, ma di sicuro ci stiamo avviando verso anni grigi, molto grigi. Nei grandi uffici studi gli economisti stanno cercando di calcolare le conseguenze di quello che è appena successo e stanno rivedendo le loro stime. E ci vorrà un po´ di tempo per avere i risultati. Qui, però, è possibile tracciare qualche linea di tendenza. I fatti, purtroppo, sono semplici e del tutto evidenti. La premessa da cui partire è che ai consumatori americani fa capo circa il 20 per cento del Pil mondiale. Sono loro, cioè, con i loro acquisti a far girare un quinto dell´economia del pianeta. Questo consumatore americano è un tipo molto tosto. Nell´ultimo decennio ha affrontato crisi pesanti (dalla new economy all´attacco alle Twin Towers) e le ha sempre superate brillantemente, cioè senza spaventarsi più di tanto. Si è sempre mostrato convinto cioè non solo di vivere nel paese migliore del mondo, ma anche nel paese dove la sua qualità della vita non poteva che migliorare e crescere, crisi o non crisi. Per molti versi il consumatore americano ha dato prova di ritenersi una specie di Superman, impermeabile di fronte alle difficoltà del mondo e capace di superarle tutte. Ebbene, oggi l´aria sta cambiando. In America è in corso la campagna elettorale e entrambi i candidati (come è ovvio, come accade ovunque) stanno promettendo di diminuire le tasse. Ma è impossibile che questo accada. Sulla base dei primi studi che si stanno facendo in questi giorni, si può dire che l´America, dovendo far fronte ai costi di ben due guerre (Afganistan e Iraq) e ai costi (spaventosi) della crisi subprime (migliaia di miliardi di fondi statali), per i prossimi 7-8 anni, forse addirittura dieci, non avrà alcuna possibilità di ridurre le tasse. Anzi, solo un miracolo e una sapiente e crudele riduzione delle spese potrà consentirle di non aumentare le imposte (che resta comunque la cosa più probabile, subito dopo le elezioni, almeno per qualche anno). Se a questo si aggiunge il fatto che questa crisi ha messo nei guai non solo i broker con la Porsche, ma anche tanta gente comune (o perché aveva comprato una casa, finita poi nel ciclone del credito o perché aveva soldi investiti a Wall Street), ci si accorge che non corrono tempi entusiasmanti per il consumatore americano. Non solo i consumi «alti» sono stati colpiti duramente, ma anche quelli «bassi» perché questa crisi sta creando comunque disoccupazione e i disoccupati hanno di solito poca voglia di spendere. Il risultato di tutto ciò è che gli Stati Uniti per 7-8 anni, forse dieci, dovranno fare i conti con un consumatore americano (l´ex-Superman dei centri commerciali) non più allegro e tenace spendaccione, ma misurato padre di famiglia, attento al dollaro. Tutto questo porterà, inevitabilmente, anche una volta superate le fasi calde di questa crisi, anche dopo il suono delle sirene del «cessato pericolo», a un´America che cresce timidamente e con grande cautela. Ma poiché il grande motore dell´economia mondiale è stato proprio quello, in questi anni, è inevitabile arrivare alla conclusione che una certa età dell´oro è davvero finita. Davanti ci sono un bel po´ di anni grigi. Ci sarebbe, però, il consumatore cinese, si sente dire. E´ vero. E anche lui è un tipo tosto e promette di crescere bene (dal punto di vista di chi vende prodotti). Solo che oggi rappresenta solo il 2 per cento del Pil mondiale: corre in fretta, insomma, ma parte da molto lontano e per ora conta molto poco. Nell´attesa, non rimane che prendere atto del fatto che qui non siamo di fronte a una manovra di punta-e-tacco (un colpo di freno e poi via con l´acceleratore). Purtroppo è cominciata la frenata e sarà una frenata lunga, lunghissima. E non riguarderà solo l´America, ovviamente, ma anche noi (non a caso in Europa la vendita di auto sta crollando fra il 20 e il 30 per cento). Siamo tutti fuori dal Paradiso, ormai. Giuseppe Turani