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 2008  settembre 23 Martedì calendario

All’Africa che cresce, si sviluppa, che «rende» e diventa protagonista della globalizzazione, negli uffici della torre «Bolloré» a Puteaux, vicino a Parigi, beati loro, hanno sempre creduto

All’Africa che cresce, si sviluppa, che «rende» e diventa protagonista della globalizzazione, negli uffici della torre «Bolloré» a Puteaux, vicino a Parigi, beati loro, hanno sempre creduto. Adesso scrutano soddisfatti la grande carta del continente punteggiata di bandierine: sono porti, depositi, docks, ferrovie, piantagioni. Quasi un nuovo impero francese, con il vessillo dei buoni affari al posto di tricolore e marsigliese. Un segno dei tempi. Anche quando l’afropessimismo imperava e gli investitori erano sollevati dallo strisciare fuori incolumi dal continente delle stragi etniche, delle carestie, della corruzione rapace, Vincent Bolloré ha continuato, per venti anni, a sistemare paziente le sue bandierine colorate, ad unghiare nuovi possessi. Sfida inevitabile, quasi scontata per un uomo d’affari che ha dato alla sua storia personale la cifra della «revanche», della costruzione di nuovi immancabili destini che cauterizzassero la ferita del fallimento del padre. E cosa meglio dell’Africa per dimostrare, per cimentarsi, per trionfare orgogliosamente sugli scetticismi e i luoghi comuni? Sì: Bolloré «l’africano». Che sta diventando sempre più importante a fianco di quello parigino, «il piccolo principe del cash flow» dall’aspetto di gagliardo elegante, l’acrobata della Borsa che investe il suo tesoro ormai su tutto, cinema, pubblicità, stampa; e di quello bretone, dove la storia di famiglia è sbocciata, dove l’avventura industriale cavalca anche qui la sfida della modernità, si direbbe quasi il sogno innovativo. L’africano si collega e si incrocia strettamente con il Bolloré più discusso, ovvero l’amico del presidente Sarkozy. Quello ormai celebre dello yacht «Paloma» e degli aerei prestati per le godurie del fine settimana presidenziale. Sarkozy ha fatto il miracolo di mantenere i legami con due irriducibili e danarosi nemici, Bolloré appunto e Martin Bouygues, il re del cemento e dei giornali. Il presidente ricambia le amicizie: innaffia i moderni pascià africani in visita all’Eliseo di lodi del suo «amico di 25 anni». Nulla è cambiato. Un tempo dicevano maliziosamente che il capo della cellula Africa dell’Eliseo sotto la presidenza di Chirac, Michel de Bonnecorse, era in realtà l’ambasciatore del gruppo. Bolloré in Africa è ormai la Francia in Africa. L’influenza di Parigi, militare e politica, ripiega sotto i colpi americani e cinesi. Niente paura: Bolloré ne prende il posto con legami ancor più inestricabili. Gli altri si affannano a controllare, acquisire, inglobare la pancia dell’Africa, il suo scrigno di miniere. Troppo ovvio, e complicato per la concorrenza sempre più feroce e la necessità di far ruotare le mandibole infaticabili della corruzione. Vincent l’africano ha scelto di controllarne invece le vene e le arterie: i porti le strade le ferrovie. Indispensabili perché quelle materie prime, quella tavola di Mendeleev, diventino ricchezza. A parte una breve visita alle sue piantagioni di tè in Kenya alcuni anni fa, Bolloré non si fa vedere in Africa, non infurentisce con interviste, non fa passerella neocoloniale. Eppure è uno degli uomini che controllano il continente. Per la prima volta la sigla che raggruppa tutte le sue attività esibisce orgogliosamente la parola Africa, «Bolloré Africa logistics», come a dire: siamo africani a tutti gli effetti perché abbiamo avuto il coraggio di scommettere sul continente. Un coraggio che rende. Quest’anno il volume di affari, che è legato essenzialmente all’attività portuale e alla gestione dei cosiddetti «corridoi» che collegano gli scali e la destinazione finale delle merci, è salita a 1,6 miliardi di euro; in crescita dell’undici per cento. Ci sono paesi che dipendono per la loro economia ormai dai moli di Bolloré, a Lagos, Douala, Tema, Abidjan, Owendo, dalle migliaia di camion e rimorchi di Bolloré, dai suoi treni che corrono su linee ferroviarie lunghe migliaia di chilometri prese in concessione in Costa d’Avorio, Camerun, Burkina Faso. Una flotta di 400 collega Durban e il bacino minerario del Katanga.  una nuova geografia economica che sta cambiando il continente. Basi logistiche spuntano in Namibia, Kenya, Tanzania. Si punta a controllare uno dei miti africani, la ferrovia Gibuti-Addis Abeba dove si incontrarono i soldati di Badoglio e di Graziani. Un tempo si dominava soprattutto sull’obbediente cortile di casa francofono, l’Africa dell’Ovest. Ma ormai Bolloré va all’assalto dell’Africa anglofona, il Sud Africa, l’Angola. Quelli che Bolloré definisce già «i futuri Singapore e Malesia dell’Africa». Defilato, attento a non far parlare di sé come i vecchi arroganti«monsieur Afrique», tratta alla pari con i fragili Stati miracolati dall’oro nero. Non sviluppa più il settore delle piantagioni e del legname, pure assai redditizi, perché stonano con la nuova attenzione per l’ambiente. Rispunta, astutamente, il Bolloré «patron socialista» dell’epoca Mitterrand. Domenico Quirico