Max Hastongs, Corriere della Sera 23/9/2008, 23 settembre 2008
Molti banchieri sono persone orribili, ma avremo tuttavia bisogno di loro. Per anni e anni ai giganti della finanza è stato conferito un potere eccessivo
Molti banchieri sono persone orribili, ma avremo tuttavia bisogno di loro. Per anni e anni ai giganti della finanza è stato conferito un potere eccessivo. Ora certi eccessi vanno contenuti, senza, però, soffocare la crescita. Bill Gross, uno dei più potenti boss dei fondi di investimento, ha sbalordito i suoi compagni repubblicani l’altra settimana dichiarando che avrebbe votato per i Democratici alle prossime elezioni presidenziali in America. «Penso sia arrivato il momento di riequilibrare gli interessi tra i ricchi e i meno ricchi», ha affermato. Può essere interessante domandarsi se questo risveglio di coscienza sociale sia un segno di umiltà o, piuttosto, del puro e semplice terrore che sta assalendo la comunità finanziaria al di qua e al di là dell’Atlantico. Il mondo della finanza naviga su acque inesplorate. Nessuno sa con precisione dove questo viaggio porterà, perché non si riesce a calcolare la scala dei danni irrecuperabili. I comuni mortali al di fuori della comunità finanziaria sono combattuti tra il piacere che provano a vedere umiliati i padroni dell’universo, che si sono sempre pagati incredibili compensi con la scusa di essere gli unici capaci di gestire il mondo, e l’amara consapevolezza che finiranno, tutti, per pagare per il loro fallimento. Mezzo secolo fa, la City, a Londra, era un luogo caratteristico che teneva lontani dalla strada qualche migliaio di ex-studenti di scuole pubbliche relativamente sconosciuti, e che raggranellava denaro attraverso l’autentico business della Gran Bretagna: la produzione di navi, macchine, tessili, lavatrici e cose del genere. Oggi, con le attività della City che costituiscono un terzo del Pnl, la nazione è spaventosamente vulnerabile a causa della loro fragilità. La prima ragione valida per non soccombere a un maligno piacere davanti alla catastrofe finanziaria è che questa mette in rilievo alcuni allarmanti problemi relativi al sostentamento della Gran Bretagna nel XXI secolo. La nostra base produttiva si è mossa verso Oriente, e da lì non farà più ritorno; un paio di anni fa, il comune buon senso ci diceva che tale spostamento non avrebbe compromesso la gestione di un’economia prospera basata sui servizi: turismo et similia, proprietà intellettuale (grazie a Dio, è un’espressione che in inglese funziona), e servizi finanziari, nel quale ci veniva assicurato che eravamo senza pari. Oggi le cose hanno un aspetto differente: al di là delle favolose somme di denaro che certi presunti maghi della finanza hanno perso, c’è la questione della reputazione. Praticamente nessuna grande istituzione finanziaria esce indenne dalla carneficina. Società blasonate come Lehman Brothers e Merrill Lynch hanno preso in prestito cifre esorbitanti dai mercati monetari all’ingrosso, usandole poi per piazzare scommesse alla stessa stregua di qualcuno che punti all’ippodromo di Newbury, o a Las Vegas: il peggio è che in una corsa di cavalli almeno puoi vedere l’animale su cui hai scommesso la tua piccola somma. Nella City e a Wall street, invece, si sono scommessi miliardi su strumenti finanziari la cui complessità sfugge perfino alla comprensione di chi li ha inventati. Un giornalista finanziario assennato ha detto: «La prima regola dell’investimento è quella di non mettere mai dei soldi in qualcosa che non capisci ». Le istituzioni finanziarie americane e europee si sono infischiate di questo principio su scala colossale: il panico prevalente a Londra e a New York, dipende dal fatto che persino adesso le persone coinvolte non hanno idea di quanto vadano male le cose per i loro affari, men che meno per l’intero sistema. Rasserena allora ascoltare un finanziere ammettere, senza alcun imbarazzo: «Quello che sta succedendo rappresenta un grave fallimento del capitalismo di mercato». Colpisce poi che all’interno del mondo finanziario ci si trovi largamente d’accordo sulla prima lezione da trarre da quanto è successo: ai pezzi grossi di Wall street e della City era stato consentito un potere eccessivo nelle loro rispettive società. Per decine di anni i governi si erano rimessi alla supposta saggezza e alla spietata influenza dei banchieri: presidenti e primi ministri si facevano piccoli al cospetto di chi, con una minima parola, poteva spostare trilioni. Ora, invece, questi ultimi sono in ginocchio di fronte ai loro governi e alle banche centrali, e cercano di salvare la pelle. La credibilità della comunità finanziaria avrà bisogno di anni per riprendersi, perché la fiducia, il pilastro del capitalismo, ha toccato il suo punto più basso da decenni. Gli ottimisti, quei pochi che rimangono, affermano che è ancora poco chiaro fino a che punto potrà essere negativo l’impatto delle crisi finanziarie in America e in Europa sull’economia reale. Tuttavia, se la stretta creditizia dovesse continuare e se la gente e le aziende reali avessero difficoltà a ottenere prestiti, saranno dolori. Quando il polverone sarà svanito ci sarà un riequilibrio dei relativi poteri tra comunità finanziarie e autorità di controllo su entrambe le sponde dell’Atlantico. A meno che Inghilterra e Stati Uniti non vogliano affrontare un incubo simile, di nuovo, tra qualche anno, alle banche sarà reso più difficile esporsi al rischio in modo tanto sconsiderato. Sarebbe ingenuo, in ogni caso, suggerire che sia semplice arrivare a una nuova, giusta distribuzione. Il capitalismo di mercato ha dato al mondo occidentale una prosperità incredibile: sarà un compito arduo contenere certi suoi eccessi senza compromettere le condizioni per produrre la ricchezza in futuro. Equivarrebbe però a autoflagellarsi, nel nostro desiderio di punire gli architetti di un fallimento globale, se i governi introducessero delle misure che soffochino la crescita. Allo stesso modo in cui dobbiamo continuare a sperare che la situazione in Iraq si stabilizzi, non dobbiamo dimenticare di avere bisogno di Wall street, della City di Londra, e di qualcuna tra quelle persone davvero orribili. Non esiste alternativa, come amava dire, qualche volta a ragione, Margaret Thatcher. Perché i nostri figli mantengano un lavoro e per mantenere relativamente prospera la nostra società negli anni che verranno, in mezzo all’enorme trasferimento di ricchezza dalle vecchie economie a quelle nuove, l’industria dei servizi finanziari sarà indispensabile per la Gran Bretagna. La prossima generazione di magnati monetari sarà probabilmente piena di ubris quanto quella attuale: è difficile separare l’arroganza dalla ricchezza. A noi toccherà essere sicuri che i padroni dell’universo facciano le loro scommesse usando meno i nostri soldi, e più i loro. 5 Guardian News & Media 2008 Traduzione di Francesca Santovetti