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 2008  settembre 23 Martedì calendario

Uno dei pregi di MiTo è di dare l’illusione che la vita musicale italiana non sia così irrimediabilmente paesana com’è

Uno dei pregi di MiTo è di dare l’illusione che la vita musicale italiana non sia così irrimediabilmente paesana com’è. Per esempio, ai suoi concerti si vedono anche dei giovani, oltre ai soliti noti. E ci si ascoltano musiche e muscisti che è abituale incontrare nel resto del mondo civilizzato, ma mai in Italia. Tipo Cecilia Bartoli che, benché viva a Zurigo con l’amato bene (il baritono Oliver Widmer), è forse la primadonna italiana più famosa al mondo e sicuramente la più venduta. Ma da noi non canta, non si capisce se a causa del crasso provicialismo dei patrii teatri o per le paturnie di certa critica, anche se recentemente si moltiplicano le conversioni sulla via di Zurigo. Sta di fatto che i due recital di questa popstar dell’opera, oggi a Torino appunto per MiTo e dopodomani a Roma, sono l’eccezione invece della regola: «E io - sospira lei - sono contentissima di cantare a casa mia». Sono due ennesime tappe del suo Malibran-tour: «Quanti concerti ho già fatto? Mah, credo almeno una cinquantina. Però non è finita. Adesso andrò il tour negli Stati Uniti». Il programma è tutto di arie scritte per Maria Malibran, la Callas del Romanticismo: rarità di García (il papà, nonché celebre tenore rossiniano), Bériot (il grande amore, famoso violinista), Persiani, Balfe, Hummel e della stessa Maria, ma anche tre hit rossiniane come il rondò della Cenerentola, la cavatina della Semiramide e la canzone del salice dell’Otello. La Bartoli sarà accompagnata dall’orchestra di strumenti «d’epoca» dell’Opera di Zurigo, «La Scintilla», diretta come si faceva all’epoca, cioè dal primo violino, Ada Pesch. Per la Malibran, superCecilia ha sviluppato una vera passione. Ma, per fortuna, è rimasta lucida. «Reincarnazione? Io? Ma no! Maria era unica. La sola che davvero la ricordasse, come voce e personalità, fu la sorella minore, il grande contralto Pauline Viardot». Insomma, la Bartoli non è come una celebre primadonna del passato prossimo che, richiesta di spiegazioni sulle sue scelte artistiche, rispondeva: «Perché faccio così? Perché me l’hanno detto la Malibran e la Pasta», colleghe del passato remoto interpellate via medium. Tornando alla Bartoli, resta il mistero di una divina dell’opera che di opere, in teatro, ne canta pochissime. «Sì, però faccio molti concerti. Siete bizzarri, voi giornalisti. A me chiedete sempre perché faccio poche recite, ma mai ai miei colleghi perché fanno pochi concerti. La mia è una scelta. Senza contare che per una nuova produzione fatta bene ci vuole moltissimo tempo». Quindi, nella stagione ventura, un titolo solo, sempre nel suo feudo svizzero: la ripresa della Semele di Händel, direttore Christie, regista Carsen, uno spettacolo che in un’ipotetica Michelin dell’opera avrebbe le tre stelle con la scritta: «vale il viaggio». I fan si consolano con i dischi. Il 17 ottobre esce una Sonnambula di cui lei è evidentemente soddisfatta: «Si tratta della prima incisione dell’opera come Bellini la scrisse. Integrale, basata sull’autografo, suonata da un’orchestra con strumenti originali e cantata da un mezzosoprano, com’era la Pasta per cui fu composta. Nulla contro i soprani, ma trovo che un timbro più scuro dia alla parte languore e pateticità». Duetta Juan Diego Florez, col quale si dovrebbe incidere anche un Otello, naturalmente quello di Rossini. La Bartoli Desdemona, Florez ovviamente Rodrigo, resta il problema del Moro. «Ma in Decca non mancano certo i tenori. Per esempio, mi sembra che Jonas Kaufmann abbia la voce scura che ci vuole, e anche le agilità...». Intanto, mentre conferma che uscirà il dvd della divertente Clari di Halévy, superCecilia pensa a un recital di lamenti rinascimentali: «Frescobaldi, la Strozzi: grande musica. Ma voglio rassicurare i fan: non lascio il barocco». Certo che il momento è propizio per il belcanto, se perfino Santa Cecilia (intesa come l’Accademia) lo sdogana dedicandogli un Festival: «Giustissimo. Basta pregiudizi. un repertorio da rivalutare e tutt’altro che facile. Anzi, per un direttore è più difficile Sonnambula che Parsifal». Insomma, tutto bene. Ma si vorrebbe capire perché la Bartoli non debba essere profetessa in patria. «Lo ripeto: sono felice di tornare e fiera di essere italiana. Ma ho venduto quasi sette milioni di dischi e vinto cinque Grammy. Non sono una debuttante in cerca di scritture». che, dicono i teatri, lei costa troppo... «Senta, io ho cantato dappertutto, perfino tre volte in Turchia. Non credo che solo in Italia manchino i soldi. O forse servono tutti per mantenere i nostri 500 mila politici?»